Richard Newbury: ciò che succede in Europa ha origini antiche

mercoledì 14 settembre 2022


Richard Newbury, storico e giornalista, collaboratore de “La Stampa” e “Il Foglio”, vive e lavora a Cambridge e a Torre Pellice, città d’origine di sua moglie Erica Scroppo, anche lei autrice e giornalista. Nei giorni del lutto per la morte della regina Elisabetta II, da Newbury cercavamo risposte sul perché il Regno britannico è politicamente stabile nei secoli, nonostante le tensioni autonomiste. Ma anche delle riflessioni sulle buone esperienze delle democrazie basate su monarchie costituzionali liberali. Ne è scaturito un discorso sullo stato dell’Europa e sul “metodo” di azione britannico.

Cosa fa una regina (o un re)?

Ha molto da fare, anche se poco appare: soprattutto segue e controlla ogni azione di Governo. Di mattina legge i giornali, risponde alle lettere inviate dai cittadini e legge i cinque “red box” che contengono i documenti amministrativi e politici che vanno firmati. Dopo il tè pomeridiano, passa un’altra ora a lavorare alla scrivania. Una volta alla settimana ha un incontro con il premier. Deve sottoscrivere ogni legge. In teoria, dovrebbe sottoscrivere anche la propria condanna a morte, qualora questa venisse approvata dal Parlamento.

Elisabetta II ha stretto la mano a 15 premier, nel corso del suo regno. In Italia, nel frattempo, abbiamo avuto 29 presidenti del Consiglio, una guerriglia civile con le Brigate Rosse e una guerra incivile e senza fine tra le opposte fazioni della partitocrazia…

Il compito di Elisabetta era parlare, non risolvere problemi. Rappresentava il Regno Unito, non il “popolo” e la politica inglese è soprattutto arte del possibile. È pragmatica, non idealista. Il segreto è questo. L’anarchia del sistema italiano consiste nel fatto che nessuno si prende responsabilità. Il premier inglese è come un arbitro di calcio: invece di essere il capo di una fazione, lavora per tutti. Essere anglicani e protestanti significa essere personalmente responsabili, il che induce a operare bene o almeno a non fare troppi errori. Al contrario, del modello storico del Vaticano, il re e il Governo non hanno funzioni taumaturgiche e salvifiche: a ciascuno tocca il carico di tutti.

E l’Europa?

In Francia tra Luigi XVI ed Emmanuel Macron ci sono state molte forme di governo (rivoluzionario, impero, monarchia post restaurazione, il Secondo Impero di Luigi Napoleone Bonaparte ovvero Napoleone III, le cinque Repubbliche, ndr). Non si costruisce sulle macerie, serve evitare il conflitto sociale auspicato da Karl Marx, che in realtà è un conflitto tra diverse fazioni, lobby, corporazioni e partiti. La Francia è stata segnata dalla Rivoluzione, che produsse soprattutto ideali. Ma le persone non mangiano idee, anche se giuste. Conosco abbastanza bene le vicende della Seconda guerra mondiale, anche perché mio padre era una delle duecento persone che organizzarono il D-day. Nel 1941 l’aiuto ai maquis veniva da pochi aristocratici, così all’inizio la Resistenza ai nazisti fu tale solo in qualche valle di montagna. Il generale Charles de Gaulle poi fu condannato a morte, invece di avere l’appoggio almeno morale di tutto il popolo. La Germania della prima metà dell’Ottocento era una confederazione di Stati divisi, nonostante i tentativi dei gruppi liberali che guidavano il processo di riunificazione sotto l’egida della monarchia prussiana. Solo nel 1871 venticinque diversi Stati proclamarono Guglielmo di Prussia imperatore della Germania, ma il cancelliere Otto von Bismarck a ogni passo lamentava il perdurare della divisione. Poi arrivarono la Repubblica di Weimar, il Terzo Reich, la Repubblica federale di Bonn e infine la Germania riunificata.

Un susseguirsi di forme di Stato che si accompagnava a un susseguirsi di guerre e rivoluzioni…

Nel Regno Unito invece dopo il 1945 gli inglesi ebbero il cibo razionato fino al 1954. Io assaggiai la mia prima arancia a nove anni di età. Mangiarono poco ma con una forza e coesione altrove inconcepibili. Dopo la guerra, l’aristocrazia fu tassata dal Labour fino al 90 per cento di tasse, per finanziare il Welfare State, e il Governo negò che il giorno del matrimonio di Elisabetta col principe Filippo di Edimburgo fosse festa nazionale, per non bloccare la ricostruzione postbellica. Ebbene, mentre in Germania le macerie erano ancora fumanti, il Regno Unito cominciò a inviare pezzi di ricambio per le industrie della Repubblica di Bonn, nemica mortale fino a pochi mesi prima. Accelerare la ripresa della produzione di Volkswagen implicava una visione lungimirante: contenere la Russia sovietica. Bisogna sempre guardare lontano e in profondità. Gli inglesi non vollero diventare padroni delle industrie tedesche. Mentre la Volkswagen veniva ricostruita, si puntò a creare una rete internazionale di assistenza, realizzando per i primi cinque anni dopo la fine della guerra soltanto pezzi di ricambio. Questa soluzione fu un fattore importante per la ripresa delle industrie nella Germania libera e per la reputazione dell’efficienza della sua industria. Invece i tedeschi non volevano più avere un esercito vero e proprio. Se pensiamo ad Adolf Hitler, avevano ragione, ma così facendo affidarono alla Nato tutta la loro politica estera, la diplomazia e il duro scontro geopolitico della Guerra fredda. Nasce da lì la non percezione europea del nemico, anche quando è chiara la formazione di forze ostili, come è avvenuto negli anni di Vladimir Putin. Nelle scuole della Germania del Primo dopoguerra si parlava dei tedeschi come di un popolo oppresso da Usa e Regno Unito. La Repubblica di Weimar cominciò a idealizzare il comunismo, ma fu anche peggio dopo il 1945, quando la socialdemocrazia incorse nello stesso errore, proprio mentre a Berlino Est altri tedeschi conoscevano il peso dello stalinismo e della repressione della libertà. Così si distrugge la Storia. Invece in Europa si dovrebbe studiarla molto bene, almeno a partire dal 1800, per gestire al meglio le grandi questioni del nuovo millennio.

I romani dicevano “Si vis pacem, para bellum”. Se invece vuoi la guerra, parla di “pace e disarmo”, che era lo slogan dei partiti comunisti e socialdemocratici europei. Da dove nascono le guerre?

La prima causa delle guerre non è lo sfoggio della forza ma l’esibizione della debolezza. Le cause di ogni conflitto risalgono a secoli fa. Nel 1820 la Cina era la prima economia del mondo, sotto la dinastia Qing, che considerava l’Europa come un insieme di popoli barbari e incivili. E non si aprì al commercio globale. Fu così che il Regno Unito divenne la potenza egemone. L’Europa colpita dalla Peste nera perse un terzo dei suoi abitanti, ma alla fine dell’epidemia ci fu un grande boom demografica e non c’era più terra per tutti. Quella attuale è una situazione simile: non c’è più terra (né Terre rare, ndr), e mancano persone capaci di affrontare questi problemi. Sir Francis Drake, ai tempi di Elisabetta I, navigava con navi grandi quanto un camion. Con la sua guerra da corsaro, ottenne profitti del 4500 per cento, un guadagno che andava tutto alla Marina inglese e ai suoi azionisti. Al tempo di Elisabetta I, però, gli inglesi pagavano bene i marinai e gli ufficiali. Nacque così il primo capitalismo. Un particolare tra i tanti che rivelano quanto il Regno Unito sia legato alla sua storia: parte del tetto dell’edificio londinese dove si riunisce l’Ordine degli avvocati inglesi è fatto con il legno delle navi di sir Drake.

Come scrivi nel tuo libro su Elisabetta I (Claudiana, 2006) “nacque allora il primo Governo parlamentare dell’era moderna, con una Marina destinata a dominare i mari del globo, una City capace di gestire i mercati, e una lingua, quella di Shakespeare, che si è affermata non per imposizione dall’alto ma per adozione dal basso”. Nella domanda di Elisabetta II a un “pubblico dibattito sulla transustanziazione tra otto teologi cattolici e otto protestanti, da lei organizzato, la regina domandò perché Filippo II di Spagna non lascia che i suoi sudditi vadano all’inferno nel modo in cui preferiscono?.

Non a caso, da allora spagnoli e portoghesi persero il loro dominio sui mari e sul commercio, perché non avevano capacità di investire e di rischiare come facevano gli aristocratici e grandi borghesi dell’età elisabettiana, i quali – invece di sfruttare i latifondi e i contadini – puntavano il loro denaro per costruire e mandare navi in India, a rischio di naufragi, sabotaggi, ammutinamenti.

Le Repubbliche marinare italiane diedero il via ai commerci via mare, un modello che poi il Regno Unito applicò su scala globale…

È vero. L’unificazione dello Stato in forma democratica aperta è stato un motore formidabile. Se la monarchia è un motore immobile, gli inglesi, che hanno inventato le regole di moltissimi sport, obbediscono alle regole più di altri ma si riservano il diritto di cambiarle. E questo è il compito del Parlamento, non del monarca. Se Elisabetta II fosse stata condannata a morte, sarebbe stata obbligata ad apporre la sua firma sul testo del provvedimento. La monarchia ha successo perché lascia che tutto scorra. Non agisce come un freno, così l’Amministrazione non diventa un’auto ferma basata su codici e leggi, non su programmi in evoluzione continua.

Come si arriva al regno di Carlo III?

Edoardo VII, figlio della regina Vittoria, si doleva del fatto che lei fosse una madre eterna e non un re eterno. In effetti, Vittoria separò troppo la sua famiglia dall’aristocrazia e dalla borghesia. Si arrivò così a Edoardo VIII, nazista e anti-cristiano, un uomo ignorante e poco intelligente, a differenza di Lilibet (Elisabetta II, ndr). Lilibet è stata una grande signora dell’aristocrazia di campagna, quella che leggeva poco ma faceva molto. Noi che leggiamo molto siamo spesso incapaci di essere pratici. Per capire Carlo III dobbiamo partire dall’esilio dalla Grecia della famiglia reale di cui faceva parte suo padre Filippo. Dopo aver servito come militare nella Royal Navy, Filippo alla fine della guerra aveva in banca 6 pound e una paga di 11 sterline a settimana, un vestito e un’auto. Carlo III studiò nella stessa scuola che aveva ospitato suo padre, quella di Gordonstoun, in Scozia, dov’era alloggiato in un ex capannone militare con altri 14 coetanei, tutti vessati da una gang di studenti più grandi che li accolsero torcendo la carne delle loro braccia con delle pinze, picchiandoli poi regolarmente per estorcere cibo e denaro. Li piazzavano anche per ore sotto le docce (prive di acqua calda). Le finestre restavano aperte anche quando c’era la neve. Quando finalmente Carlo andò all’università di Cambridge, aveva come vicino di stanza un gallese di origine operaia che lo convinse a iscriversi al Labour. Non ha avuto certo una vita facile.


di Paolo Della Sala