Addio Lilibet! Salve, o’ regina

martedì 13 settembre 2022


Che cos’è una Corona senza un Impero? Per esempio, una Regina, anzi “La Regina”. E fu così che Elisabetta II ha rappresentato nei suoi lunghi 70 anni di regno qualcosa di molto più profondo e politicamente determinante della regale “Moral Suasion”, che pure l’ha resa così famosa e amata in tutto il mondo durante la sua permanenza sul trono d’Inghilterra. Non un commento, non una parola fuori posto; nessun impedimento alla nomina di primi ministri a Sua Maestà palesemente sgraditi, come poteva esserlo “Maggie”, ovvero Margaret Thatcher. Su di Lei e attraverso di Lei è passata la Storia, quella grande del XIX secolo, quando il suo prime minister era Winston Churchill, e quella ben più infima di una famiglia reale a pezzi, che la costrinse perfino all’impopolarità per aver preso le distanze dalla sorte di quella sua nuora divorziata, Diana Spencer, trincerandosi nella sua residenza estiva pur di anestetizzarsi dal lutto dell’intero Paese, per poi riconciliarsi con la sua Nazione (grazie a un abile mediatore come Tony Blair), inchinando leggermente il capo di fronte al mare di fiori depositati per Lady Diana dinnanzi a Buckingham Palace. Memore della sorte inflitta alla sorella Margaret e poi a suo figlio Carlo, ai quali in epoche diverse vietò di sposare persone divorziate, Lilibet ha fatto tesoro dei suoi errori scoprendo che la tanto vituperata “Rottweiler”, Camilla Parker Bowles, era in realtà la vera regina di cuori che avrebbe costituito il solidissimo piedistallo di affetto, lealtà, lucidità politica e buon senso, di cui Carlo III aveva estremo bisogno, riconoscendole prima di morire il diritto all’appellativo di “regina consorte”.

Molti, oggi, rimproverano a Elisabetta l’esito della Brexit, sfavorevole ai paneuropeisti che allora si ritrovarono tutti concentrati nelle grandi metropoli inglesi del benessere e della dissacrazione sociale, ai quali si opposero la moltitudine dei “paysans” alla francese, che vivevano nella campagna inglese, alla quale è da sempre appartenuta l’anima di una regina consacrata alla sua terra. Sarebbe, forse, bastato, come è accaduto per il recente referendum sull’indipendenza della Scozia, un suo salomonico commento sul tipo “Meglio pensarci bene”, per spostare il consenso maggioritario sul “Remain”. Con lei, con ogni probabilità, verrà meno anche la finzione postcoloniale del Commonwealt, in cui Elisabetta figurava simbolicamente come la sovrana di Stati ex coloniali, divenuti indipendenti. E qui, forse, vale la pena di aprire un’interessante parentesi. Con ogni probabilità, il “decoupling” del 2016 tra Gran Bretagna e Ue ha molto a che fare con i rancori mai sopiti di un grande impero perduto, per cui la maggioranza degli inglesi non ha accettato una sudditanza a regole burocratiche e al condizionamento di Trattati che venivano da Bruxelles, in cui l’Inghilterra non era più la dominatrice storica ma uno dei tanti Stati dell’Unione, il cui voto valeva come quello degli altri. Questa frizione di valori era già emersa in modo molto netto con le clausole di “opt-out” e di “rebating”, volute in particolare dalla Thatcher, in cui si è preteso e ottenuto di adottare “à la carte” una parte dei Trattati europei (perché ritenuti scomodi o incompatibili con la way of life inglese e con le istituzioni anglosassoni) e di riavere indietro quota-parte della contribuzione inglese al bilancio comune europeo, perché ritenuta “incongrua e ingiusta”, dal punto di vista di Londra.

E qui, come al solito, la regina non ha mosso ciglio. Ma nemmeno ha mai fatto capire che cosa pensasse sul fatto di stare in un’alleanza politico-economica con la Germania, che l’aveva vista adolescente tra le macerie dei bombardamenti nazisti della Londra martoriata dalle V1 e V2 tedesche. Probabilmente, fin dal suo incoronamento Elisabetta aveva appreso che l’arte della conduzione della Nazione, da parte di un monarca costituzionalista e di capo della Chiesa anglicana, consisteva nel silenzio partecipato, esercitando un ruolo discreto di consigliera che illumina (quando ritenuto strettamente necessario) il cammino dei governanti della sua Nazione, a garanzia dell’unità dello Stato e del prestigio inesorabilmente declinante della monarchia. E lo ha fatto attraverso la discrezione e le cose appena sussurrate dietro le porte delle prestigiose stanze delle sue residenze regali, incontrando con la massima riservatezza i responsabili politici e i personaggi più influenti del suo regno. Unica donna, per molto tempo, in una società di uomini di potere, Elisabetta ha adottato, per far rimarcare ovunque la sua presenza regale e risaltare la sua minuta statura, i colori iper elettrizzanti dei suoi singolarissimi tailleur e cappellini, che facevano di Lei un magnifico fiore di campo in un terreno anonimo e banalmente formale.

Probabilmente, spetterà a Carlo III d’Inghilterra, progressista e modernista, il compito di compiere un passo che non sarebbe mai appartenuto all’indole materna: ripensare il ruolo della Gran Bretagna nel mondo e, soprattutto, nei confronti dell’Europa, dato che tutti i canoni della convivenza civile tra Nazioni dell’Occidente sono stati stravolti dalla guerra in Ucraina. In questo tragico conflitto, che si sta drammaticamente svolgendo alle porte dell’Europa, ancora una volta l’Inghilterra si è ritrovata praticamente da sola a condividere la linea radicale degli Usa, in merito alla necessità di una sonora sconfitta sul campo dell’aggressore russo. Anche qui, non ci si può esimere da un’amara constatazione su come per i grandi imperi del XIX, quello inglese dei Tudor e quello dei Romanov russi, la perdita degli Stati satelliti, conquistati con la forza degli eserciti, accumuli nell’anima della Nazione così defraudata un tale risentimento che non si può tacitare né dissolvere attraverso nessuna regola politica pacifica (l’Onu, come la Ue), fatta di norme internazionali condivise. Nel senso che, se la Germania e l’America non avessero fatto nel 1992 l’errore tragico di umiliare la Russia post-sovietica, rifiutandosi di smantellare la Nato a favore della costruzione di una nuova alleanza politico-militare euroasiatica, con ogni probabilità questa nuova creatura sarebbe andata in frantumi in meno di un ventennio, perché al fondo né Londra Mosca vogliono vedersi dettare legge da Bruxelles o da New York, dove ha sede il Palazzo di Vetro.

Questo perché il “mercantilismo” e con esso stesso la globalizzazione mercatista possiedono un’anima imperiale, totalitaria e “a-valoriale” che non è fatta di spirito della Nazione (come quello letteralmente incarnato dalla Regina Elisabetta), dato che una cosa simile non può più esistere nella logica materialista della Globalizzazione guidata dagli “animal spirits” della finanza speculativa mondiale. Per quest’ultima, infatti, non hanno più diritto di sopravvivenza le identità nazionali che tendono a sottrarsi alla dittatura del politically correct, sponsorizzata e portata avanti dai grandi gruppi multinazionali digitali, padroni incontrastati dei social network, come Google, Amazon, Apple, Meta. Questi mostri di egoismo globale strumentalizzano buonismo e libertarismo per fare velo sui loro immensi profitti, e sulle terribili disparità che la stessa economia globalizzata ha creato tra “have” (pochissimi) e “have-not” (moltissimi), pari questi ultimi al 80 per cento della popolazione mondiale! Se fosse possibile (e di certo non lo è!) dare un consiglio a un giovane Re appena nato ma già anziano, potremmo auspicare che Carlo III svolga una sorta di funzione riconciliatrice di “Papa laico”, iniziando a visitare regolarmente le maggiori capitali dell’Unione, per ricucire almeno culturalmente quello spirito ecumenico messo in sonno (si spera solo temporaneamente) dalla Brexit. Lunga vita al nuovo Re, dunque, e “Salve O’ Regina” per Elisabetta II nel regno dei cieli.


di Maurizio Guaitoli