Guadagnino, il Leone d’argento e i registi iraniani perseguitati

lunedì 12 settembre 2022


Luca Guadagnino con il suo Bones and all ha vinto il Leone d’argento al Festival del cinema di Venezia. Premio che Guadagnino dedica ai registi iraniani Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad, arrestati al pari di Jafar Panahi in Iran. Non fa molto “notizia”, la repressione verso artisti e registi che si ribellano al regime; Rasoulof e Aleahmad, sono colpevoli di aver aderito a manifestazioni antigovernative e protestato contro la violenza nei confronti dei civili. In quanto a Panahi: si reca presso la Procura di Teheran con alcuni colleghi e avvocati per aver notizie dei due. Il regime coglie la palla al balzo; si ricorda di una sentenza del 2010: una condanna a sei anni di prigione per “propaganda contro il sistema”; Panahi ha trascorso due mesi in prigione; poi la condanna è trasformata in semilibertà condizionale, a patto che non faccia più film e non lasci il Paese. Giuridicamente la condanna di sei anni è stata scontata, sostituita dalla misura della semilibertà, e comunque di anni ne sono passati dodici. Ma il portavoce del Ministero della Giustizia dichiara: “Panahi nel 2010 è stato condannato a un totale di sei anni di prigione, perciò è entrato nella prigione di Evin dove sconterà la sentenza”. 

Panahi nel 1995 ha vinto la Caméra d’Or a Cannes, per Il palloncino bianco; nel 1997 il Pardo d’oro a Locarno per Lo specchio; il Leone d’oro a Venezia nel 2000 per Il cerchio; molti altri premi. Le vere “colpe” di Panahi, Rasoulof e Aleahmad sono di aver realizzato film che documentano nefandezze, repressioni e censure del regime iraniano. Sono tanti i registi perseguitati dal regime accusati di “propaganda contro il regime”, perché ne denunciano le malefatte, la mancanza di libertà, le censure e la repressione che in Iran sono pane quotidiano.

Il regime iraniano ha paura di questi registi che denunciano la realtà di una teocrazia che opprime il Paese. Li considera corruttori di giovani, li occidentalizzerebbero. Le prime persecuzioni risalgono quando al potere c’era l’ayatollah Khomeynī: è il 1979 quando prende il potere, tanti in Occidente la scambiano per una “rivoluzione”. Fin da subito il regime vieta i festival, la Corte Islamica processa e condanna i registi. Dice Khomeynī: “Non ci opponiamo al cinema, ma condanniamo il cattivo uso che se ne fa”.

Così Panahi ha dovuto contrabbandare il suo documentario Questo non è un film in una chiavetta di computer nascosta dentro una torta. In questo modo è arrivato a Cannes. La trama è semplice: un regista, lo stesso Panahi, segregato in casa, racconta il film che avrebbe voluto realizzare e non può. Quasi tutte le riprese sono girate con un iPhone. Guadagnino dedica il suo premio a questi coraggiosi registi perseguitati dal regime iraniano, e questo naturalmente va a suo merito. Peccato che quasi nessun giornale e rete televisiva abbia colto l’occasione per raccontare le loro storie, le persecuzioni che patiscono.


di Valter Vecellio