lunedì 1 agosto 2022
A distanza di alcuni mesi, dopo aver approfondito gli scenari sulla guerra russo-ucraina attraverso le lenti dell’informazione e dell’opinione pubblica turca, ci confrontiamo nuovamente con Maurice Pascal Ambetima sull’evolversi del conflitto nell’Europa orientale. Ambetima è dottorando in Diritto internazionale all’Università Sapienza di Roma ed è reduce da un viaggio in Israele: è proprio in questo Paese, dove da decenni si alternano le situazioni più delicate a livello internazionale, che il ricercatore ha acquisito elementi per una diversa e convincente lettura della guerra in Ucraina.
Alla luce del suo recente viaggio in Israele, vorrei chiederle di più sui convincimenti dell’opinione pubblica israelo-palestinese sulla situazione di crisi in Ucraina.
Innanzitutto, in questa occasione, diversamente rispetto alla nostra ultima intervista sulla Turchia, non conoscendo l’ebraico ho dovuto fare affidamento a conversazioni approfondite con alcune delle persone che ho incontrato nel mio percorso a Gerusalemme. Ahimè, non ho potuto usufruire dei contenuti dei giornali locali. Nonostante questa condizione a prima vista sfavorevole, sono riuscito ad avere degli scambi intellettualmente significativi. In particolare, ho approfittato con delle guide turistiche che ci accompagnavano nelle località storico-religiose della Città santa. La prima, una donna ebrea sefardita impegnata, si immagini, con un uomo ucraino, mi raccontava di come ci sia una certa difficoltà, in un Paese storicamente alleato degli Stati Uniti con una numerosa comunità russa, ad avere una posizione ben definita sul chi e sul come supportare nel conflitto tra Mosca e Kiev. L’impressione di questa persona è stata che gli unici impegni che Israele avrebbe preso nei confronti del partner ucraino, pur riconoscendo l’aggressione della Russia, sarebbero legati all’invio di medicinali e di beni di prima necessità. Diversamente, sia la guida del mio secondo giro turistico – palestinese e musulmana – sia altri abitanti del quartiere arabo di Gerusalemme tendono a nutrire dei dubbi rispetto alla natura di questa guerra. Le risposte che venivano date più spesso erano “come facciamo a sapere la verità?”, “qualcuno sicuramente ci starà guadagnando”, “capiamo gli ucraini che, proprio come noi, hanno subito un'invasione, ma anche la Russia ha le sue ragioni”.
Crede, dunque, che possa esistere una marcata tendenza di israeliani e palestinesi ad avere opinioni divergenti sulla questione?
Credo che, per motivazioni storiche e influenze culturali, l’approccio alla questione sia particolarmente diversificato per i soggetti che ha menzionato. Per esempio, parlavo con il proprietario del mio hotel, palestinese che ha innalzato negli anni ’70 la sua struttura ricettiva a Gerusalemme est. E proprio lui alludeva alla questione dell’empatia nei confronti del popolo ucraino accompagnandola, allo stesso tempo, all’interesse nelle risorse naturali che l’Unione europea e gli Stati Uniti avrebbero nei confronti dello Stato di Kiev. Gli israeliani, e parliamo soprattutto della parte della popolazione che professa la religione ebraica (gli israeliani musulmani sono una parte consistente in termini demografici, per chi non lo sapesse), riconoscono come opinione pubblica le colpe dello Stato russo, ma non hanno la forza politica di intraprendere delle azioni punitive nei riguardi di un partner storicamente tanto importante quanto Mosca. Per non parlare, come dicevo prima, della comunità di immigrati russi che vivono in Israele, che sembrerebbero essere i primi, in termini numerici, tra tutte le comunità straniere residenti in questo Stato.
Facciamo un’ipotesi per assurdo: la soluzione due popoli –due Stati è andata in porto. Come si comportano lo Stato palestinese e quello israeliano davanti a uno scenario delle relazioni internazionali così tanto complesso?
Probabilmente lo Stato israeliano si comporterebbe esattamente nelle modalità che stiamo vedendo in questi ultimi mesi. L’ipotesi di uno Stato palestinese effettivamente in grado di esercitare la propria autorità governativa, che agisce in uno scenario di tale complessità, è molto interessante. Credo che, se ne avessero la possibilità, i politici palestinesi si schiererebbero apertamente contro i cosiddetti Stati occidentali e loderebbero questa forma di “resistenza” della Russia. Ovviamente, le mie sono solo impressioni, ma molte delle opinioni che ho sentito per strada tra i cittadini palestinesi coincidevano con risposte che vengono date tipicamente dai cittadini russi, quando vengono intervistati sulla questione della guerra in Ucraina.
Nota qualcosa di simile tra l’attuale situazione governativa in Italia e quanto sta accadendo in Israele?
Molti tratti di similarità. Una pluralità di partiti in uno stato conflittuale tra loro. Coalizioni governative che si formano solo in funzione di abbattere nemici comuni: veda la destra di Naftali Bennett che collabora con centristi e laburisti contro il mostro “Bibi” Netanyahu. Un’opinione pubblica spaccata sui temi valoriali. L’unico aspetto che, mi sento di dire, differisce particolarmente dall’Italia è il peso specifico della religione in generale – particolarmente quella ebraica – sull’indirizzo della società israeliana. Dire che abbia un ruolo preponderante è un Ça va sans dire.
di Enrico Laurito