Tunisia: la sindrome autoritaria

mercoledì 27 luglio 2022


Cosa rappresenta la nuova Costituzione tunisina? La risposta potrebbe essere questa: un compromesso tra l’appartenenza araba, Umma, mista all’Islam e un progetto modernista sulla scia di un Illuminismo arabo. Ma anche una visione di “nazionalismo arabo”.

E quali sono le radici del fenomeno Kaïs Saied? Dopo l’indipendenza – del 1956 – la Tunisia politica ha evidenziato un problema che si manifesta nel rapporto differenziato degli strati sociali con la politica. In realtà, le élite godono della loro cittadinanza sulla base di una libertà politica e di uno Stato di diritto, ma la maggior parte della popolazione vede la politica solo dal punto di vista dell’accesso a condizioni di vita dignitose. In pratica, la massa dipende da quanto le politiche pubbliche siano in grado di soddisfare i bisogni della gente.

Così, oltre 11mila seggi elettorali si sono aperti per questa nuova avventura della “Sentinella d’Europa”. Tuttavia, nonostante la pressante guerra mediatica, l’affluenza si è fermata al 30,5 percento, con 2,76 milioni di elettori dei 9,3 milioni di aventi diritto, come comunicato dall’Isie (Alta autorità indipendente per le elezioni). Il “sì” avrebbe raccolto circa il 94 per cento dei consensi, secondo un sondaggio exit pool realizzato dall’Istituto Sigma Conseil. Ma se la maggior parte dei tunisini non ha partecipato al voto, boicottandolo, c’è anche chi ha motivato il proprio voto a favore del cambiamento con deriva autoritaria. Le interviste presenti sui social mostrano che il voto a favore per il cambiamento del Paese va nella linea che vede la vita economica dei tunisini deteriorata dopo la Rivoluzione del 2011. Gli stipendi sono rimasti stabili, ma il potere di acquisto è notevolmente diminuito. Pertanto, i tunisini sono costretti a diventare “religiosi”, “digiuni”, prima della fine del mese: questo è ciò che affermano molti intervistati. La speranza di coloro che hanno votato “sì” è che, dopo il referendum, la corruzione venga sradicata, fidandosi di quanto Kaïs Saied ha fatto e ha promesso di fare dopo il cambiamento costituzionale.

A ogni buon conto, circa la preoccupazione per un cambiamento nella natura del regime o per un presidente che diventa un autocrate attraverso la Costituzione uscita dal referendum, alcuni intervistati hanno dichiarato che “nessuno può fare il dittatore del popolo tunisino”, ricordando che l’ex presidente Zine El-Abidine Ben Ali, nonostante la sua forza e autorità, è stato deposto e tutti sanno con quale destino. Altri hanno ammesso “preferiamo che almeno un ladro sia ritenuto responsabile invece di dieci”, facendo esplicitamente riferimento alle accuse di corruzione rivolte al movimento Ennahda, che aveva la maggioranza sia nei parlamenti che nei governi successivi alla Rivoluzione.

Comunque, l’esito del referendum sulla nuova Costituzione iper-presidenziale, come da normativa, potrà essere comunicato entro una settimana. Ma nel tracciato autoritario, per necessità politica, del fine giurista Saïed c’è un punto debole, cioè la scarsa partecipazione al voto. E ora? Il presidente autocrate Saïed commetterebbe un grave errore se dovesse interpretare il “sì” del referendum come un assegno in bianco. La scarsa partecipazione dovrebbe suonare come un allarme, convincerlo a ripensare al suo metodo di transizione forzata su una Carta egocentrica. Il dogmatico Saïed ha dimostrato che intende portare a termine il suo progetto, che combina una autocrazia illiberale a un populismo anti-élite.

Un’avventura che rischia sia di aggravare le fratture interne alla società tunisina, invece di esaltare la funzione aggregante del presidente, sia di isolare il Paese sulla scena internazionale. Ricordo che la Tunisia è già inesorabilmente stretta tra due poli regionali, quello algerino e l’asse egizio-emiratino. Inoltre, questa deriva autoritaria potrebbe mettere in discussione i suoi floridi rapporti con l’Occidente. Saïed dovrà valutare i pericoli della sua corsa a capofitto verso un’autocrazia, sotto alcuni aspetti giustificabile, ma in generale non tollerabile da un popolo troppo vicino mentalmente e fisicamente a regimi che gestiscono la democrazia con raffinatezze autoritarie. Ma il genio dei tunisini è sempre sveglio e spetterà a lui districare la “questione”.


di Fabio Marco Fabbri