martedì 3 maggio 2022
Il Vecchio Continente è tornato nello spettro del terrore nucleare. Percepiamo come imminente un capovolgimento degli equilibri, una distruzione totale, un annientamento ancora più globale di quello ipotizzato qualche tempo fa. In questi mesi hanno prevalso una comunicazione nozionistica, i sensi di colpa per un mancato appoggio o per un intervento tardivo, i dubbi per le infinite prospettive del dramma che il mondo potrebbe subire. Torniamo a parlare con Maurice Pascal Ambetima, dottorando in Diritto internazionale alla Sapienza e visiting researcher a Bruges – attualmente è in Turchia – di guerra e comunicazione, questa volta leggendo i fatti attraverso i filtri della nazione turca.
Alla luce del suo recente viaggio a Istanbul, le vorrei chiedere una raffigurazione generale della copertura della guerra in Ucraina sui media turchi.
Innanzitutto, ci tengo a precisare che per una comprensione profonda delle varie testate giornalistiche locali ho approfittato delle abilità interpretative della mia partner, che per metà è turca. Una premessa è d’obbligo: il panorama mediatico della Turchia vive uno stato di profonda limitazione intellettuale, dovuto principalmente alla subalternità dei più grandi gruppi editoriali alla figura di Recep Tayyip Erdogan. Spesso gli articoli che riguardano il presidente turco – nelle principali testate del Paese, Hürriyet, Sabah e Posta – sono scritti con sfumature di giubilo e, non di rado, qualche giornalista perde il posto per una parolina di troppo. Per ciò che concerne l’Ucraina, la figura di Erdogan è spesso rappresentata come quella del “grande mediatore” tra gli Stati in conflitto. Mentre su Erdogan la visione di questi giornali è particolarmente uniforme, ci sono diverse interpretazioni sul ruolo della Nato e degli Usa, che va dall’apparente atlantismo di Hürriyet, laico e liberale, alla denuncia anti-americanista di Sabah, il quale ha rilanciato negli ultimi giorni la notizia di finanziamenti del Pentagono ai guerriglieri curdi presenti in Siria, da questo giornale additati come terroristi. Per concludere, si potrebbe facilmente affermare che, in questo Paese, la formula del presidente della Repubblica come simbolo dell’unità nazionale ha trovato nei media la sua piena realizzazione.
La figura di Ergodan è vista come quella più “terza” nelle trattative tra Russia e Occidente. Oltre alle mire autoritarie, cos’è che lega nel profondo il presidente turco e Vladimir Putin?
Ritengo che, se c’è qualcosa che può essere simile delle due figure politiche, questo sia il trattamento riservato agli oppositori. È notizia di qualche giorno fa la condanna all’ergastolo di Osman Kavala, imprenditore e noto attivista dei diritti umani, considerato da Erdogan come il George Soros turco. Il reggente di Ankara ha liquidato la storia così: “È un successo per la nostra democrazia che i nostri tribunali siano imparziali”. Ciò di cui Erdogan non parla è la questione dell’indipendenza della magistratura turca, che come in Russia sembra essere particolarmente accanita nei confronti di chi vorrebbe cambiare lo status quo. Vedi Alexei Navalny, prima avvelenato e poi condannato.
Negli scorsi articoli abbiamo parlato anche di violazione delle norme internazionali: la sua impressione è che il senso di rispetto della legalità internazionale sia presente nei media turchi?
Credo che i media turchi rispecchino, per le situazioni estere che non riguardano strettamente Erdogan, la qualità dei media internazionali in genere. C’è chi ha più “tatto” e approfondisce la questione Ucraina anche in termini di violazioni di norme e chi, invece, si limita a comunicare le informazioni più sensazionalistiche, come lo show televisivo russo in cui gli ospiti speculavano su missili di ultima generazione, che sembrerebbero poter raggiungere Londra nel giro di 200 secondi. Il pubblico a cui si rivolgono queste letture, chiaramente, è molto diverso.
La stampa turca tira in ballo le “responsabilità” di Usa e Nato nelle guerre passate e nell’attuale invasione in Ucraina?
Devo dire che la questione delle responsabilità morali di Usa e Nato, da ciò che abbiamo potuto leggere questi giorni, non viene molto caldeggiata dai media su carta stampata della Turchia. Credo che i giornali si stiano comportando similmente al loro presidente. Da un lato, denunciano i rischi provocati dall’invasione russa in Ucraina. Dall’altro, hanno un approccio critico nei confronti delle posizioni dei Paesi occidentali, pur ricordando sempre che la Turchia sarà garante della sicurezza di Kiev in caso di accordo di pace tra le due parti. Qualora servisse, la Turchia, anche in quanto Stato membro della Nato, sa bene da quale parte stare in un potenziale conflitto a larga scala. A Volodymyr Zelensky, in realtà, un vicino così fa molto comodo.
di Enrico Laurito