Il Pakistan si libera del presidente autocrate e filocinese

martedì 12 aprile 2022


Mentre si stanno formando nuove spaccature geopolitiche tra l’Est asiatico e l’Occidente, i leader degli opposti schieramenti cercano di allargare la propria sfera di influenza alle nazioni non allineate. Si prenda il caso della Repubblica indiana: il primo aprile il primo ministro indiano ha ricevuto il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, durante la sua visita ufficiale, volta a rinsaldare le relazioni indo-russe. Lunedi 11 aprile il premier indiano, Narendra Modi e il presidente degli Usa, Joe Biden, hanno avuto un collegamento virtuale in preparazione del quinto dialogo ministeriale 2+2 di martedì 12 aprile a Washington, tra i ministri della Difesa e degli Esteri indiani e i loro pari statunitensi Antony Blinken e Lloyd Austin. Il tema centrale del colloquio di Washington è il contenimento delle pretese egemoniche cinesi in tema di commercio e di “hard power”, con le minacce su Taiwan, le richieste di controllare i giacimenti di idrocarburi in aree marine Zee non cinesi (nel mare del Vietnam, per esempio). Un altro tema centrale è stata quella che il presidente Biden ha definito “andatura oscillante” del Governo indiano rispetto all’invasione russa in Ucraina (in sede Onu l’India si è astenuta). Di recente, la Indian Oil Corporation ha acquistato circa tre milioni di barili di greggio dalla Russia, venduto a un prezzo molto scontato, dopo l’embargo delle nazioni occidentali.

In ogni caso il miglioramento delle relazioni con l’India, facilitate dall’ingresso cinese nel corridoio afghano, sono un fattore positivo. L’India potrebbe sostituire la Cina come fornitrice di manifattura per il mondo Occidentale, con minori costi di trasporto e un minore inquinamento, grazie a una maggiore vicinanza all’Europa, all’Africa e all’Australia. L’India, inoltre, è l’unica nazione in grado di dare una spallata all’incubo di un’alleanza militare e geopolitica tra Cina, Russia e Iran, se abbandonerà la sua tradizionale amicizia con la Russia. Chissà se a Nuova Delhi e dintorni qualcuno abbia sentito il mio mantra sulla necessità di avvicinare l’India, grazie alla comunanza democratica e di interessi commerciali e geopolitici tra le comunità occidentali e quelle asiatiche non legate alla Cina.

Fatto sta che qualcosa si muove sul piano militare. Piloti della marina militare indiana sono stati addestrati al volo su elicotteri Black Hawk Mh-60 (serie “Romeo”) della nordamericana Sikorsky, una competitrice della AgustaWestland nella costruzione e vendita di elicotteri per uso multiruolo. Il Black Hawk è utilizzato dall’Esercito italiano per il soccorso medico e le unità di evacuazione. È progettato anche per portare a destinazione piccoli gruppi di soldati delle truppe d’assalto, completi di armamento pesante, ed è armato con un obice da 105 millimetri. La serie acquistata dall’India è specializzata della caccia ai sottomarini, tramite sensori e sonoboe (boe radioacustiche con tecnologie di rilevamento sonar), con armamenti basati su torpedini e missili Hellfire. I primi velivoli saranno consegnati a metà giugno del 2022. I Black Hawk opereranno nell’Oceano indiano su portaerei, cacciatorpediniere, corvette e fregate.

Si stringe quindi un nuovo legame tra India e Usa in funzione anticinese, anche se l’India si è astenuta nelle votazioni Onu sulle malefatte russe in Ucraina e anche se il presidente indiano, Narendra Modi, ha acquistato da Mosca i sistemi di difesa aerea S-400. Tuttavia, Modi ha anche aderito all’alleanza Quad on Usa, Australia e Giappone, mentre l’acquisto di armamenti dagli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è passato da zero dollari a venti miliardi.

La questione in Pakistan

Buone notizie arrivano dal Pakistan, il secondo peggior nemico dell’India, con il quale è in corso un conflitto strisciante fin dalla fine dell’Impero inglese, causata non solo dalle opposte guerre “sante” induista e musulmana, e non solo dal contenzioso sui confini, che peraltro è più pericoloso nella zona del Kashmir, dove l’India perse una porzione di territorio nel corso del conflitto armato del 1962 contro la Cina che aveva appena assoggettato il Tibet. Imran Khan è il primo premier del Pakistan rimosso con un voto di sfiducia della sua stessa maggioranza e col placet dei militari. Il suo successore reggerà le sorti del Pakistan fino alle elezioni del 2023.

A Islamabad l’esercito controlla soprattutto la politica internazionale e la sicurezza interna (il servizio segreto pachistano è uno dei più efficienti al mondo). L’ormai ex presidente Khan, pur essendo stato eletto con l’assenso dei militari (e non per la sua gloria di giocatore di cricket), stava progressivamente allontanando la nazione dalla tradizionale alleanza con gli Usa (molto ambigua, comunque) in nome di un progressivo slittamento nelle braccia della Cina, evidente nel corso della “reconquista” dei pashtun talebani in Afghanistan, rispetto alla quale Islamabad e Pechino non sono certo state estranee. Khan ha reagito alla mozione di sfiducia dichiarandosi “vittima di un complotto americano”, il che però è un leitmotiv dei tiranni almeno dal 1492, quasi tutti nemici del “complotto demo-pluto-giudeo-massone-anglosassone” di cui alti lai levò un certo Benito Mussolini.

Comunque sia l’allontanamento di Imran Khan conferma la tradizionale “collaborazione” del gigante asiatico (221 milioni di abitanti) con l’Occidente, nella speranza che una più ampia parte di democrazia cresca anche in Pakistan.


di Paolo Della Sala