La guerra sporca contro Volodymyr l’influencer

martedì 12 aprile 2022


Una “guerra sporca”. Da una parte l’Armata russa da 45,8 miliardi di dollari e i 200mila effettivi di Vladimir Putin e dall’altra la “Resistenzadi Volodymyr Zelensky difficile da quantificare dopo l’arruolamento di mercenari, legionari, il battaglione Azov e i civili armati. Una “guerra sporca” perché guerra di montature, fake news, manipolazioni per distrarre il nemico e colpire l’opinione pubblica. Il primo conflitto che usa il web come arma con accese divisioni dall’una e dall’altra parte. Per i russi è sceso in campo il presunto sito di fact-checking Guerra ai falsi”, che ha mostrato cadaveri che si muovono e si mettono seduti nel mattatoio di Bucha. Ma ci sono anche gli orrori di Mariupol, di Kharkiv, della stazione di Kramatorsk. Il capo delegazione ucraino, Mykhailo Podolyak, ha definito gli stermini nella città a nord di Irpin e Kiev “la Srebrenica del Ventunesimo secolo” con corpi ovunque e famiglie intere buttate nelle fosse comuni. Stesse macabre descrizioni della maggior parte dei nostri inviati, in particolare i coraggiosi reporter Fausto Biloslavo e Gabriella Simoni di Mediaset. Una “guerra sporca” poiché il numero degli scettici cresce e si organizza. Come i negazionisti del Covid, No vax e filorussi hanno costituito il gruppo “DuPre (Dubbio e precauzione), animato dal televisivo Carlo Freccero con la partecipazione del filosofo Massimo Cacciari, che si sono uniti in un convegno a Roma per discutere di possibili messe in scena e avrebbero in cantiere addirittura un progetto editoriale per smascherare i falsi della storia.

Il fronte dei prudenti annovera, oltre all’icona degli inviati di guerra Toni Capuozzo, dissidenti dell’informazione omologata come il sociologo Alessandro Orsini, che con le sue tesi si è guadagnato una fetta di popolarità a “Carta Bianca su Rai Tre con Bianca Berlinguer e a “Piazzapulita” su La7 con Corrado Formigli. Circolano anche inchieste serie come quella commissionata dalla tv pubblica Bbc all’Institute for Strategic Dialogue, secondo la quale la popolarità di Vladimir Putin dopo l’attacco sarebbe cresciuta di migliaia di follower. Anche questa una strategia invasiva di invasi ed invasori. Di fronte alla durezza delle dirette coi missili, carri armati e caduti, la cronaca è entrata in una miscellanea di opinioni, di letture, di pareri e partigianerie, che decompongono i fatti e li ricollocano. A tutto contribuisce anche lo stile diverso dei due guerrieri. Se “Vladimir Putin novello Adolf Hitler” appare in fotogrammi statici mentre esce ed entra dalle sale del Cremlino, Volodymyr Zelensky dispiega la sua arte nelle puntate della sua “fiction verità”. Non solo la serie in onda su La7, “Servitore del popolo”, ideata, scritta e prodotta nel 2015 dallo stesso prima di essere eletto presidente nel 2019: tutti i collegamenti del presidente ucraino sono un set. Mediaticamente studiati, con luci, inquadrature e annunci ad affetto. E con l’inconfondibile t-shirt verde militare, che Zelensky indossa a meno zero e che è già diventata un must.

Ma l’orrore gronda. Una “guerra sporca”, perché sta radendo al suolo un Paese da 44 milioni di abitanti, con morti tra donne e bambini. Uno sragionevole conflitto, che cancellerà una generazione di giovani, oltre all’esodo milionario di profughi, il cui dolore e le cui ragioni diventano afonie in un Guernica elettronico in cui l’immagine è il messaggio. E per l’immagine si fa tutto. Da ultimo Zar sull’orlo dell’abisso e come eroico influencer della resistenza armata, combattuta, perduta.


di Donatella Papi