Ucraina: referendum e autodeterminazione

martedì 29 marzo 2022


E siamo tornati al 2014. Secondo le ultime notizie, Volodymyr Zelensky avrebbe rifiutato, al tavolo delle trattative, di sottoporre la separazione della Crimea (e poi, presumibilmente, del Donbas) a nuovo referendum. Come allora, anche oggi, Kiev non contesta l’ombra di irregolarità sul voto per presunti brogli – al contrario di quanto, semplificando, sostengono i media internazionali – ma la sua stessa legittimità. In parole semplici – questa è la posizione di Kiev – per l’indipendenza di una parte dell’Ucraina non basta la preponderante volontà dei cittadini di lingua russa delle regioni separatiste, ma servirebbe anche l’accordo di tutto il resto della nazione. Perché questo è ciò che prevede la Costituzione ucraina.

Ovviamente – come ebbe a rimarcare l’ambasciatore Sergio Romano, in risposta a nostro quesito – la Costituzione ucraina è stata scritta in guisa tale da impedire qualsiasi riduzione della propria integrità territoriale. Dal fronte opposto, la Russia già nel 2014 protestava, in sede Onu, l’incongruenza e l’asimmetria di questa situazione rispetto ad altri precedenti storici: se avessero dovuto aspettare il consenso della madre patria inglese, neppure gli Stati Uniti d’America avrebbero guadagnato l’indipendenza. E, più vicino ai nostri giorni, la comunità internazionale non aveva subordinato all’accordo della Serbia, il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo (peraltro e per contrappasso, la Russia si trova, oggi, a difendere le, mai sopite, pretese della Serbia sul Kosovo).

E così via. Secondo il diritto internazionale, un plebiscito che modifichi la latitudine della sovranità nazionale è illegittimo, ove espresso in contrasto con il suo ordinamento costituzionale. Lo è quindi, sicuramente, un referendum per la secessione della Padania dall’Italia (ma non il giusto diritto delle Regioni, in questione, all’ampliamento dell’autonomia amministrativa e fiscale). Per conversa analogia, dovremmo ritenere illegittimi anche i plebisciti negli Stati preunitari per ratificare la loro annessione al Regno d’Italia, svolti con buona pace di quanto prevedessero i rispettivi ordinamenti. Ma l’Italia è fatta (con il marchese d’Azeglio, aspettiamo, ancora, gli italiani).

Esiste, tuttavia, più di un’eccezione che legittimerebbe la pretesa secessionista, principalmente: A) Se la nazione e la regione indipendentista siano abitate da due diverse popolazioni e B) se questa ultima sia oggetto di qualsiasi tipo di discriminazione da parte del governo centrale. Mentre il primo punto sembra incontestabile, per quanto riguarda il secondo aspetto, le opinioni di Kiev e Mosca divergono diametralmente. Fatto sta che gli impegni degli accordi di Minsk – che prevedevano autonomia e non interferenza – sono stati violati da ambo le parti: da Kiev, per quanto riguarda la tutela dei diritti dei gruppi russofoni (incluso il bilinguismo) e dalla Russia, per il rifiuto di ritirarsi dai territori degli Oblast occupati. Le milizie nazionaliste e separatiste hanno continuato a combattersi da lì ad oggi.

Semplificare la questione – come fanno i media e i commentatori occidentali – suggerendo la strumentalità dell’anelito indipendentista della popolazione russofona – allontana e fragilizza la prospettiva di una soluzione negoziale del conflitto. Non vi è dubbio che l’aggressione del vicino russo violi l’autodeterminazione dell’Ucraina ma il diritto all’autodeterminazione dei popoli finisce in Crimea e Donbas? La strada per porre termine al conflitto, ovviamente, non può essere che diplomatica, con l’obiettivo di costruire le basi di un accordo sulla falsariga di altri precedenti, come quello della secessione del Sud Sudan, a chiusura e pacificazione di una lunga e sanguinosa stagione di guerra.

O quello che pose fine al contenzioso tra Italia e Austria attraverso il riconoscimento di ampia autonomia legislativa, amministrativa e linguistica dell’Alto Adige (che per l’Austria è Sud Tirolo). Entrambi tali accordi presero la luce sotto l’egida dell’Onu (perché latita, oggi, l’organizzazione “nata per proteggere la pace del mondo”?). Anche la secessione del Sud Sudan fu ratificata da un referendum ma, soprattutto, sugellata dal reciproco riconoscimento delle parti in causa, anche per quello che riguardava gli aspetti di natura economica che si sarebbero creati subito dopo. Il nodo della neutralità dell’Ucraina è sicuramente molto più facile da sciogliere.


di Raffaello Savarese