martedì 22 marzo 2022
Sono trascorse tre settimane da quando il presidente russo Vladimir Putin ha iniziato la sua invasione dell’Ucraina, ma non è ancora chiaro perché lo abbia fatto e cosa spera di ottenere. Analisti, commentatori e funzionari governativi occidentali hanno avanzato più di una dozzina di teorie per spiegare le azioni, le motivazioni e gli obiettivi di Putin. Alcuni analisti ipotizzano che Putin sia motivato dal desiderio di ricostruire l’impero russo. Altri affermano che è ossessionato dall’idea di riportare l’Ucraina nella sfera di influenza della Russia. Alcuni credono che Putin voglia controllare le vaste risorse energetiche offshore dell’Ucraina. Altri ancora ipotizzano che Putin, da vecchio autocrate, stia cercando di mantenere la sua presa sul potere. Mentre alcuni sostengono che Putin abbia una strategia proattiva a lungo termine volta a stabilire il primato russo in Europa, altri credono che sia un reazionario a breve termine che cerca di preservare ciò che resta del ruolo declinante della Russia sulla scena mondiale. Quelle che seguono sono otto teorie diverse, ma complementari, che cercano di spiegare perché Putin ha invaso l’Ucraina.
Costruire l’Impero
La spiegazione più comune dell’invasione russa dell’Ucraina è che Putin, bruciando di risentimento per la fine dell’Impero sovietico, è determinato a ristabilire la Russia (generalmente considerata una potenza regionale) come una grande potenza in grado di esercitare un’influenza su scala globale. Per i sostenitori di questa teoria, Putin mira a riprendere il controllo dei 14 Stati post-sovietici – spesso chiamati il “vicino estero” della Russia – che sono diventati indipendenti dopo il crollo dell’Unione Sovietica avvenuto nel 1991. Questo fa parte di un piano più ampio per ricostruire l’Impero russo, che territorialmente era ancora più esteso di quello sovietico.
Per i teorici dell’Impero russo, l’invasione della Georgia da parte di Putin nel 2008 e della Crimea nel 2014, così come la sua decisione del 2015 di intervenire militarmente in Siria, facevano tutte parti di una strategia per ripristinare la posizione geopolitica della Russia e minare l’ordine internazionale a guida americana basato su regole. Coloro che credono che Putin stia cercando di ristabilire la Russia come grande potenza affermano che, una volta ottenuto il controllo sull’Ucraina, il presidente russo focalizzerà l’attenzione su altre ex Repubbliche sovietiche, inclusi i Paesi baltici di Estonia, Lettonia e Lituania, e in seguito sulla Bulgaria, sulla Romania e persino sulla Polonia. L’obiettivo finale di Putin, dicono, è cacciare gli Stati Uniti dall’Europa, stabilire nel continente una sfera di influenza esclusiva per la Russia e dominare l’ordine di sicurezza europeo.
La letteratura russa supporta avvalora questa tesi. Nel 1997, ad esempio, lo stratega russo Aleksandr Dugin, un amico di Putin, ha pubblicato un libro molto importante dal titolo “Fondamenti di geopolitica: Il futuro geopolitico della Russia”, in cui sostiene che l’obiettivo a lungo termine della Russia dovrebbe essere la creazione, non di un Impero russo, ma di un Impero eurasiatico. Il libro di Dugin, che è utilizzato nelle accademie militari russe, afferma che per far tornare grande la Russia, la Georgia dovrebbe essere smembrata, la Finlandia dovrebbe essere annessa e l’Ucraina dovrebbe cessare di esistere: “L’Ucraina, in quanto Stato indipendente con determinate ambizioni territoriali, rappresenta un enorme pericolo per tutta l’Eurasia”. Dugin, che è stato soprannominato il “Rasputin di Putin”, ha aggiunto: “L’Impero eurasiatico sarà costruito sul principio fondamentale del nemico comune: il rifiuto dell’atlantismo, il controllo strategico degli Usa e il rifiuto di consentire ai valori liberali di dominarci”. Nell’aprile 2005, Putin ha fatto eco a questo sentimento quando, nel suo discorso annuale sullo stato della nazione, ha definito il crollo dell’Impero sovietico come “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”. Da allora, Putin ha ripetutamente criticato l’ordine mondiale guidato dagli Stati Uniti, in cui la Russia ha una posizione subordinata.
Nel febbraio 2007, durante un discorso tenuto alla Conferenza di Monaco sulla Politica di sicurezza, Putin ha attaccato l’idea di un ordine mondiale “unipolare” in cui gli Stati Uniti, come unica superpotenza, sono riusciti a diffondere i propri valori democratici liberali ad altre parti del mondo, inclusa la Russia.
Nell’ottobre 2014, in un discorso al Valdai Discussion Club, un think tank russo di alto profilo vicino al Cremlino, Putin ha criticato l’ordine internazionale liberale del Secondo dopoguerra, i cui principi e norme, inclusa l’adesione allo Stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e la promozione della democrazia liberale, oltre a preservare la sacralità della sovranità territoriale e dei confini esistenti, regolano la conduzione delle relazioni internazionali da quasi ottant’anni. Putin ha invocato la creazione di un nuovo ordine mondiale multipolare che sia più favorevole agli interessi di una Russia autocratica.
Il defunto Zbigniew Brzezinski (ex consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter), nel suo libro del 1997 “The Grand Chessboard” (La grande scacchiera), scrisse che l’Ucraina è essenziale per le ambizioni imperiali russe: “Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero euroasiatico. (…) Tuttavia, se Mosca riottiene il controllo dell’Ucraina, con i suoi 52 milioni di abitanti e importanti risorse, oltreché l’accesso al Mar Nero, la Russia riconquisterà automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente Stato imperiale esteso tra Asia ed Europa”.
Lo storico tedesco Jan Behrends ha twittato: “Non c’è dubbio: per #Putin la questione non l’Ue o la Nato, il suo obiettivo è quello di ripristinare l’Impero russo. Né più né meno. L’#Ucraina è solo una fase, la Nato è solo una seccatura. Ma l’obiettivo finale è l’egemonia russa in Europa”.
L’esperto ucraino Peter Dickinson, scrivendo per l’Atlantic Council, ha osservato: “L’estrema animosità di Putin nei confronti dell’Ucraina è modellata dai suoi istinti imperialisti. Viene spesso suggerito che Putin desideri ricreare l’Unione Sovietica, ma in realtà è tutt’altro che vero. Di fatto, è un imperialista russo che sogna un impero zarista risorto e incolpa le prime autorità sovietiche di aver consegnato le ancestrali terre russe all’Ucraina e ad altre repubbliche sovietiche”.
Lo studioso bulgaro Ivan Krastev è d’accordo: “L’America e l’Europa non sono divise su ciò che vuole Putin. Nonostante tutte le congetture sui motivi, questo è chiaro: il Cremlino vuole una rottura simbolica dagli anni Novanta, seppellendo l’ordine del dopo Guerra fredda. Ciò assumerebbe la forma di una nuova architettura di sicurezza europea che riconosca la sfera di influenza della Russia nello spazio post-sovietico e rifiuti l’universalità dei valori occidentali. Più che la restaurazione dell’Unione Sovietica l’obiettivo è la ricostituzione di quella che Putin considera la Russia storica”.
Andrew Michta, un analista di sicurezza transatlantica, ha aggiunto che l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin è stata “il culmine di quasi due decenni di politica volta a ricostruire l’Impero russo e riportare la Russia nella politica europea come uno dei principali attori autorizzati a plasmare il futuro del Continente”. Scrivendo per il blog sulla sicurezza nazionale 1945, Michta ha spiegato: “Dal punto di vista di Mosca, la guerra ucraina è in effetti la battaglia finale della Guerra fredda: per la Russia è il momento di rivendicare il proprio posto sulla scacchiera europea come un grande impero, in grado di plasmare il destino futuro del continente. L’Occidente deve capire e accettare che solo una volta che la Russia sarà inequivocabilmente sconfitta in Ucraina sarà finalmente possibile un vero e proprio accordo post-Guerra fredda”.
La zona cuscinetto
Numerosi analisti attribuiscono l’invasione russa dell’Ucraina alla geopolitica, che tenta di spiegare il comportamento degli Stati attraverso la lente della geografia. La maggior parte del territorio occidentale della Russia si trova nella pianura russa, una vasta area priva di montagne che si estende per oltre 4.000.000 di chilometri quadrati (1,5 milioni di miglia quadrate). Chiamata anche pianura dell’Europa orientale, la vasta area pianeggiante costituisce per la Russia un grave problema di sicurezza: un esercito nemico che invadesse dall’Europa centrale o orientale incontrerebbe pochi ostacoli geografici per raggiungere il cuore della Russia. In altre parole, la Russia, a causa della sua geografia, è particolarmente difficile da difendere. Robert Kaplan, navigato analista geopolitico, ha scritto che la geografia è il punto di partenza per comprendere tutto il resto della Russia: “La Russia rimane illiberale e autocratica perché, a differenza della Gran Bretagna e dell’America, non è una nazione insulare, ma un vasto continente con poche caratteristiche geografiche per proteggerlo dall’invasione. L’aggressione di Putin deriva in definitiva da questa fondamentale insicurezza geografica”.
I dirigenti russi hanno storicamente cercato di creare una profondità strategica spingendosi verso l’esterno per istituire zone cuscinetto: barriere territoriali che aumentano la distanza e il tempo che gli invasori incontrerebbero per raggiungere Mosca. L’Impero russo comprendeva i Paesi baltici, la Finlandia e la Polonia, che fungevano tutti da cuscinetto. L’Unione Sovietica ha creato il Patto di Varsavia – che includeva Albania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Germania dell’Est, Ungheria, Polonia e Romania – come un vasto cuscinetto per proteggersi da potenziali invasori. La maggior parte degli ex Paesi del Patto di Varsavia sono ora membri della Nato. La Bielorussia, la Moldavia e l’Ucraina, strategicamente situate tra la Russia e l’Occidente, sono gli unici Paesi dell’Europa orientale a fungere da Stati cuscinetto della Russia. Alcuni analisti sostengono che la percepita necessità della Russia di un cuscinetto sia il fattore principale nella decisione di Putin di invadere l’Ucraina.
Mark Galeotti, un eminente esperto britannico della geopolitica russa, ha osservato che il possesso di una zona cuscinetto è legato alla comprensione della Russia dello status di grande potenza: “Dal suo punto di vista, Putin ha costruito gran parte della sua identità politica attorno all’idea di fare della Russia una grande potenza e di farla riconoscere come tale. La sua concezione di grande potenza è quella di un geopolitico del XIX secolo. Non è la potenza dell’influenza economica, o dell’innovazione tecnologica, per non parlare del soft power. No. Una grande potenza, secondo i vecchi termini, ha una sfera di influenza, ossia Paesi la cui sovranità è subordinata alla sua”.
Altri ritengono che il concetto di Stati cuscinetto sia obsoleto. L’esperto di sicurezza internazionale Benjamin Denison, ad esempio, ha affermato che la Russia non può legittimamente giustificare la necessità di una zona cuscinetto: “Una volta che sono state inventate le armi nucleari (…) gli Stati cuscinetto hanno perso la importanza geografica poiché la deterrenza nucleare è servita a garantire l’integrità territoriale delle grandi potenze dotate di capacità nucleari. (…) L’utilità degli Stati cuscinetto e le questioni geografiche sono inevitabilmente cambiate in seguito alla rivoluzione nucleare. Senza la preoccupazione di rapide invasioni nella patria di una grande potenza rivale, gli Stati cuscinetto perdono la loro utilità indipendentemente dalla geografia del territorio… Legare strettamente gli interessi nazionali alla geografia e imporre che la geografia spinga gli Stati a ripetere le passate azioni compiute nel corso della storia, si limita a promuovere un approccio inaccurato e giustifica l’accaparramento di terre da parte dei russi come se fosse normale”.
L’indipendenza ucraina
L’ossessione di Putin per l’estinzione della sovranità ucraina è strettamente legata alle teorie sulla costruzione di un impero e sulla geopolitica. Putin sostiene che l’Ucraina è parte integrante della Russia da secoli e che la sua indipendenza proclamata nell’agosto 1991 è stato un errore storico. L’Ucraina, egli afferma, non ha il diritto di esistere.
Putin ha ripetutamente minimizzato o negato il diritto dell’Ucraina all’indipendenza e alla sovranità:
– nel 2008, Putin disse a William Burns, all’epoca ambasciatore degli Stati Uniti in Russia (ora direttore della Cia): “Non sai che l’Ucraina non è nemmeno una nazione? Una parte è davvero Est Europa e una parte è davvero russa”.
– Nel luglio 2021, Putin ha scritto un saggio di 7 mila parole intitolato “Sull’utilità storica dei russi e degli ucraini”, in cui esprime disprezzo per la sovranità ucraina, mette in dubbio la legittimità dei confini dell’Ucraina e sostiene che l’Ucraina moderna occupa “le terre della Russia storica”. E conclude dicendo: “Sono convinto che la vera sovranità dell’Ucraina sia possibile solo in collaborazione con la Russia”.
– Nel febbraio scorso, appena tre giorni prima di lanciare la sua invasione, Putin ha affermato che l’Ucraina è un falso Stato creato da Vladimir Lenin, il fondatore dell’Unione Sovietica: “L’Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia o, per essere più precisi, dai bolscevichi, dalla Russia comunista. Questo processo iniziò praticamente subito dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e i suoi collaboratori lo portarono avanti in un modo che risultò estremamente duro per la Russia, separando quello che è storicamente una terra russa. (…) L’Ucraina sovietica è il risultato della politica dei bolscevichi e può giustamente essere chiamata “l’Ucraina di Vladimir Lenin”. Quest’ultimo ne fu il creatore e l’architetto”.
Lo studioso russo Mark Katz, in un articolo titolato “Dare la colpa a Lenin: cosa sbaglia Putin sull’Ucraina”, afferma che Putin dovrebbe trarre lezioni dalla consapevolezza di Lenin che un approccio più accomodante nei confronti del nazionalismo ucraino servirebbe meglio gli interessi a lungo termine della Russia: “Putin non può eludere il problema che Lenin stesso ha dovuto affrontare in merito a come fare accettare ai non russi il fatto di essere governati dalla Russia. L’imposizione forzata del Governo russo in parte dell’Ucraina – figuriamoci su tutta – non porterà a un tale raccordo. Perché anche se gli ucraini non possono opporre resistenza all’imposizione forzata del governo russo su parte o su tutta l’Ucraina ora, il successo di Putin nell’imporlo non farà altro che intensificare i sentimenti di nazionalismo ucraino e portarlo a esplodere di nuovo ogni volta che se ne presenta l’occasione”.
L’indipendenza politica dell’Ucraina è stata accompagnata da una lunga contesa con la Russia sulla fedeltà religiosa. Nel gennaio 2019, in quella che è stata definita come “la più grande spaccatura nel Cristianesimo da secoli”, la Chiesa ortodossa in Ucraina ha ottenuto l’indipendenza (autocefalia) dalla Chiesa russa. La Chiesa ucraina era sotto la giurisdizione del patriarcato di Mosca dal 1686. La sua autonomia ha inferto un duro colpo alla Chiesa russa, che ha perso circa un quinto dei 150 milioni di cristiani ortodossi sotto la sua autorità.
Il governo ucraino ha affermato che le chiese in Ucraina sostenute da Mosca venivano utilizzate dal Cremlino per diffondere la propaganda e sostenere i separatisti russi nella regione orientale del Donbass. Putin vuole che la Chiesa ucraina torni nell’orbita di Mosca e ha messo in guardia contro “un pesante conflitto, se non uno spargimento di sangue” riguardo a qualsiasi tentativo di trasferire la proprietà dei beni della chiesa.
Il capo della Chiesa ortodossa russa, il patriarca di Mosca, Kirill, ha dichiarato che Kiev, luogo di nascita della religione ortodossa, è paragonabile per importanza storica a Gerusalemme: “L’Ucraina non è alla periferia della nostra Chiesa. Chiamiamo Kiev “la madre di tutte le città russe”. Per noi Kiev è ciò che Gerusalemme è per molti. L’ortodossia russa è iniziata lì, quindi in nessun caso possiamo abbandonare questo rapporto storico e spirituale. Su questi legami spirituali si basa tutta l’unità della nostra Chiesa locale”.
Il 6 marzo, Kirill – un ex agente del Kgb chiamato “il chierichetto di Putin” a causa della sua sottomissione al leader russo – ha pubblicamente appoggiato l’invasione dell’Ucraina. In un sermone, il patriarca ha ribadito le argomentazioni di Putin il quale ha accusato il governo ucraino di genocidio contro i russi residenti in Ucraina: “Da otto anni in Donbass è in atto la repressione, lo sterminio delle persone. Otto anni di sofferenza e il mondo intero tace”.
L’analista geopolitico tedesco Ulrich Speck ha scritto: “Per Putin, distruggere l’indipendenza dell’Ucraina è diventata un’ossessione. (…) Putin ha spesso detto, e persino scritto, che l’Ucraina non è una nazione separata e non dovrebbe esistere come Stato sovrano. È questa negazione fondamentale che ha indotto Putin a condurre questa guerra totalmente insensata che non può vincere. E questo ci porta al problema di arrivare alla pace: o l’Ucraina ha il diritto di esistere come nazione e come Stato sovrano, oppure no. La sovranità è indivisibile. Putin la nega, l’Ucraina la difende. Come si può scendere a compromessi sull’esistenza dell’Ucraina come Stato sovrano? Impossibile. Ecco perché entrambe le parti non possono che combattere fino a quando non vinceranno”.
“Normalmente le guerre che hanno luogo tra Stati riguardano i conflitti che hanno tra di loro. Eppure, questa è una guerra sull’esistenza di uno Stato, che viene negata dall’aggressore. Ecco perché non si applicano i soliti concetti di pacificazione, come l’obiettivo di trovare un compromesso. Se l’Ucraina continua ad esistere come Stato sovrano, Putin avrà perso. Non è interessato ai guadagni territoriali in quanto tali, piuttosto sono un peso per lui. Gli interessa solo controllare l’intero Paese. Tutto il resto per lui è una sconfitta”.
L’esperto ucraino Taras Kuzio, ha aggiunto: “La vera causa della crisi odierna è il tentativo di Putin di riportare l’Ucraina nell’orbita russa. Negli ultimi otto anni, ha utilizzato una combinazione di intervento militare diretto, attacchi informatici, campagne di disinformazione, pressione economica e diplomazia coercitiva per cercare di costringere l’Ucraina ad abbandonare le sue ambizioni euro-atlantiche… L’obiettivo finale di Putin è la capitolazione dell’Ucraina e l’assorbimento del Paese nella sfera di influenza russa. Il suo ossessivo perseguimento di questo obiettivo ha già fatto precipitare il mondo in una nuova Guerra fredda… Null’altro che il ritorno dell’Ucraina nell’orbita del Cremlino soddisferà Putin o placherà i suoi timori per l’ulteriore disgregazione dell’eredità imperiale russa. Non si fermerà finché non sarà fermato. Per raggiungere questo obiettivo, l’Occidente deve diventare molto più forte nel rispondere all’aggressione imperiale russa, accelerando anche l’integrazione euro-atlantica dell’Ucraina”.
Nato
Secondo questa teoria, Putin ha invaso l’Ucraina per impedirle di aderire alla Nato. Il presidente russo ha ripetutamente chiesto che l’Occidente garantisca “immediatamente” che l’Ucraina non sarà autorizzata ad aderire alla Nato o all’Unione Europea.
Un convinto fautore di questo punto di vista è il teorico americano delle relazioni internazionali John Mearsheimer, il quale, in un articolo controverso titolato “Perché la crisi dell’Ucraina è colpa dell’Occidente” afferma che l’allargamento verso est della Nato ha spinto Putin ad agire militarmente contro l’Ucraina: “Gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità della crisi. La radice del problema è l’allargamento della Nato, l’elemento centrale di una strategia più ampia per fare uscire l’Ucraina dall’orbita della Russia e integrarla in Occidente… Dalla metà degli anni Novanta, i leader russi si sono fermamente opposti all’allargamento della Nato e negli ultimi anni hanno puntualizzato che non sarebbero rimasti a guardare mentre il loro vicino strategicamente importante si trasformava in un bastione occidentale”.
In una recente intervista al New Yorker, Mearsheimer ha accusato gli Stati Uniti e i suoi alleati europei per l’attuale conflitto: “Penso che tutti i problemi in questo caso siano iniziati davvero nell’aprile 2008, al vertice della Nato a Bucarest, dove in seguito la Nato ha rilasciato una dichiarazione in cui si affermava che l’Ucraina e la Georgia sarebbero entrate a far parte della Nato”.
In effetti, Putin non si è sempre opposto all’allargamento della Nato. Diverse volte è arrivato al punto di affermare che l’espansione verso est dell’Alleanza Atlantica non era una preoccupazione della Russia. Nel marzo 2000, ad esempio, in un’intervista con lo scomparso presentatore televisivo della Bbc, David Frost, a Putin venne chiesto se considerava la Nato un potenziale partner, un rivale o un nemico. E Putin rispose: “La Russia fa parte della cultura europea. E io non riesco a immaginare il mio Paese isolato dall’Europa e da quello che spesso chiamiamo mondo civile. Pertanto, per me è difficile vedere la Nato come un nemico”.
Nel novembre 2001, in un’intervista alla National Public Radio, a Putin venne chiesto se fosse contrario all’ammissione nella Nato dei tre Stati baltici: Lituania, Lettonia ed Estonia. Egli rispose così: “Ovviamente non siamo in grado di dire alla gente cosa fare. Non possiamo vietare alle persone di fare determinate scelte se vogliono aumentare la sicurezza delle loro nazioni in un modo particolare”.
Nel maggio 2002, Putin, alla domanda sul futuro delle relazioni tra Nato e Ucraina, disse seccamente che non se ne curava minimamente: “Sono assolutamente convinto che l’Ucraina non eviterà i processi finalizzati ad ampliare l’interazione con la Nato e con gli alleati occidentali nel loro insieme. L’Ucraina ha le sue relazioni con la Nato; c’è il Consiglio Ucraina-Nato. In fin dei conti, la decisione spetta a Nato e Ucraina. Spetta a questi due partner”.
La posizione di Putin sull’allargamento della Nato è cambiata radicalmente dopo la Rivoluzione arancione del 2004, innescata dal tentativo di Mosca di truccare le elezioni presidenziali in Ucraina. Una massiccia rivolta pro-democrazia ha finito per portare alla sconfitta del candidato preferito di Putin, Viktor Yanukovich, che successivamente, nel 2010, è diventato presidente dell’Ucraina, ma è stato estromesso in seguito alle proteste dell’Euromaidan del 2014.
L’ex segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, in una recente intervista a Radio Free Europe, ha parlato di come siano cambiate le opinioni di Putin sulla Nato: “Putin è cambiato nel corso degli anni. Il mio primo incontro è avvenuto nel 2002 (…) ed è stato molto positivo riguardo alla cooperazione tra Russia e Occidente. Poi, gradualmente, ha cambiato idea. E dal 2005 al 2006 circa, è diventato sempre più negativo nei confronti dell’Occidente e nel 2008 ha attaccato la Georgia. (…) Nel 2014, ha preso la Crimea e ora abbiamo assistito a un’invasione su vasta scala dell’Ucraina, pertanto, è davvero cambiato nel corso degli anni”.
“Penso che le rivoluzioni in Georgia e in Ucraina nel 2004 e nel 2005 abbiano contribuito al suo cambiamento di rotta. Non dobbiamo dimenticare che Vladimir Putin è cresciuto nel Kgb. Quindi, il suo pensiero è molto influenzato da quel passato. Credo che soffra di paranoia. E pensava che dopo le rivoluzioni colorate in Georgia e in Ucraina, l’obiettivo (dell’Occidente) fosse quello di avviare un cambio di regime al Cremlino, anche a Mosca. Ed è per questo che si è rivoltato contro l’Occidente”.
“Ho dato interamente la colpa a Putin e alla Russia. La Russia non è una vittima. Abbiamo teso la mano alla Russia diverse volte nel corso della storia. (…) In primo luogo, abbiamo approvato nel 1997 l’atto costitutivo delle relazioni tra Russia e Nato. (…) La volta successiva è stata nel 2002, le abbiamo ancora una volta teso la mano, abbiamo stabilito qualcosa di molto speciale, ossia il Consiglio Nato-Russia. E nel 2010, abbiamo deciso in un vertice Nato-Russia che avremmo sviluppato un partenariato strategico tra Russia e Nato. Quindi, abbiamo ripetutamente teso la mano alla Russia”.
“Credo che avremmo dovuto fare di più per scoraggiare Putin. Nel 2008, egli attaccò la Georgia, prese di fatto l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Avremmo potuto reagire in modo molto più determinato già all’epoca”.
Negli ultimi anni, Putin ha ripetutamente affermato che l’allargamento della Nato dopo la Guerra fredda rappresenta una minaccia per la Russia, che non ha altra scelta se non quella di difendersi. Ha anche accusato l’Occidente di aver tentato di accerchiare la Russia. Di fatto, dei 14 Paesi che confinano con la Russia, solo cinque sono membri della Nato. I confini di questi cinque Paesi – Estonia, Lettonia, Lituania, Norvegia e Polonia – sono contigui con solo il 5 per cento dei confini complessivi della Russia.
Putin ha affermato che la Nato ha infranto le solenni promesse fatte negli anni Novanta che l’alleanza non si sarebbe estesa a est. “Negli anni Novanta, ci avevate promesso che la Nato non si sarebbe spostata di un centimetro ad est. Ci avete ingannato spudoratamente”, ha dichiarato in una conferenza stampa tenuta nel dicembre scorso. Mikhail Gorbachev, allora presidente dell’Unione Sovietica, ha replicato che tali promesse non erano mai state fatte.
Di recente, Putin ha formulato tre richieste del tutto irrealistiche: la Nato deve ritirare le sue forze ai confini precedenti al 1997; la Nato non deve offrire l’adesione ad altri Paesi, tra cui Finlandia, Svezia, Moldavia o Georgia; la Nato deve fornire garanzie scritte che l’Ucraina non si unirà mai all’Alleanza.
Scrivendo per Foreign Affairs, lo storico russo Dmitri Trenin, in un articolo titolato “Ciò che Putin vuole davvero in Ucraina”, afferma che Putin vuole fermare l’allargamento della Nato, e non desidera annettere altri territori: “Le azioni di Putin indicano che il suo vero obiettivo non è conquistare l’Ucraina e assorbirla nella Russia, ma cambiare la configurazione post-Guerra fredda nell’est dell’Europa. Quella configurazione ha fatto sì che la Russia obbedisse alle regole senza avere molta voce in capitolo sulla sicurezza europea, che era centrata sulla Nato. Riuscendo a tenere la Nato fuori dall’Ucraina, dalla Georgia e dalla Moldavia, e i missili statunitensi a raggio intermedio fuori dall’Europa, Putin pensa di poter riparare a parte dei danni inflitti alla sicurezza russa dopo la fine della Guerra fredda. Non a caso, questo potrebbe fungere da risultato utile per il 2024, quando Putin si ricandiderà per la rielezione”.
La democrazia
Questa teoria sostiene che l’Ucraina, una democrazia fiorente, rappresenta una minaccia esistenziale al modello di governo autocratico di Putin. L’esistenza di un’Ucraina allineata all’Occidente, sovrana, libera e democratica potrebbe ispirare il popolo russo a pretendere lo stesso.
L’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia Michael McFaul e Robert Person, professore presso l’Accademia militare degli Stati Uniti, hanno scritto che Putin è terrorizzato dalla democrazia in Ucraina: “Negli ultimi trent’anni, l’importanza della questione [l’allargamento della Nato] è aumentata e diminuita non principalmente a causa delle ondate di espansione della Nato, ma piuttosto a causa delle ondate di espansione democratica in Eurasia. In uno schema molto chiaro, le lamentele di Mosca riguardo la Nato aumentano improvvisamente dopo la svolta democratica… Poiché la principale minaccia per Putin e il suo regime autocratico è la democrazia, non la Nato, quella minaccia percepita non scomparirebbe magicamente con una sospensione dell’espansione della Nato. Putin non smetterà di cercare di minare la democrazia e la sovranità in Ucraina, in Georgia o nell’intera regione se la Nato smettesse di espandersi. Finché nei Paesi liberi i cittadini eserciteranno i loro diritti democratici per eleggere i propri leader e stabilire il proprio corso nella politica interna ed estera, Putin li terrà nel mirino... La causa più grave delle tensioni è stata una serie di svolte democratiche e di proteste popolari per la libertà avvenute nel corso degli anni 2000, quelle che molti chiamano le “rivoluzioni colorate”. Putin crede che gli interessi nazionali russi siano stati minacciati da ciò che lui definisce i colpi di stato appoggiati dagli Stati Uniti. Dopo ciascuno di essi – la Serbia nel 2000, la Georgia nel 2003, l’Ucraina nel 2004, la Primavera araba nel 2011, la Russia nel 2011-2012 e l’Ucraina nel 2013-2014 – Putin si è incentrato a politiche più ostili nei confronti degli Stati Uniti, e poi ha invocato la minaccia della Nato per giustificare questa ostilità… Gli ucraini che si sono sollevati a difesa della loro libertà erano, secondo Putin, fratelli slavi con stretti legami storici, religiosi e culturali con la Russia. Se è potuto accadere a Kiev, perché non a Mosca?”.
L’esperto di Ucraina Taras Kuzio concorda: “Putin resta ossessionato dall’ondata di rivolte pro-democrazia che hanno colpito l’Europa orientale alla fine degli anni Ottanta, ponendo le basi per il successivo crollo sovietico. Vede la neonata democrazia ucraina come una sfida diretta al proprio regime autoritario e riconosce che la vicinanza storica dell’Ucraina alla Russia rende questa minaccia particolarmente seria”.
Le fonti energetiche
L’Ucraina è il secondo Paese in Europa dopo la Russia per riserve di gas naturale, ha giacimenti per oltre un trilione di metri cubi. Tali riserve, sotto il Mar Nero, sono concentrate intorno alla Penisola di Crimea. Inoltre, sono stati scoperti grandi giacimenti di gas di scisto nell’Ucraina orientale, intorno a Kharkiv e Donetsk.
Nel gennaio 2013, l’Ucraina ha firmato un accordo cinquantennale da 10 miliardi di dollari con la Royal Dutch Shell per le attività di esplorazione e trivellazione del gas naturale nell’Ucraina orientale. Nello stesso anno, Kiev ha firmato un accordo di condivisione della produzione di gas di scisto della durata di 50 anni da 10 miliardi di dollari con la compagnia energetica americana Chevron. Shell e Chevron si sono ritirate da questi accordi dopo che la Russia ha annesso la Penisola di Crimea.
Alcuni analisti ritengono che Putin abbia annesso la Crimea per impedire all’Ucraina di diventare un importante fornitore di petrolio e gas in Europa e sfidare così la supremazia energetica della Russia. La Russia, essi sostengono, era anche preoccupata che l’Ucraina, essendo il secondo petro-Stato più grande d’Europa, avrebbe ottenuto l’adesione accelerata all’Ue e alla Nato.
Secondo questa teoria, l’invasione russa dell’Ucraina mira a costringere Kiev a riconoscere ufficialmente la Crimea come russa e a riconoscere le Repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk come Stati indipendenti, in modo che Mosca possa assicurarsi legalmente il controllo sulle risorse naturali in queste aree.
Le fonti idriche
Il 24 febbraio, il primo giorno dell’invasione russa dell’Ucraina, le truppe russe hanno ripristinato il flusso d’acqua in un canale strategicamente importante che collega il fiume Dnepr alla Crimea controllata dalla Russia. L’Ucraina ha bloccato il canale della Crimea settentrionale dell’era sovietica, che fornisce l’85 per cento del fabbisogno idrico della Crimea, dopo che la Russia ha annesso la Penisola nel 2014. La carenza d’acqua ha provocato una massiccia riduzione della produzione agricola nella Penisola e ha costretto la Russia a spendere miliardi di rubli all’anno per fornire acqua dalla terraferma per sostenere la popolazione della Crimea.
La crisi idrica è stata una delle principali fonti di tensione tra Ucraina e Russia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha insistito sul fatto che l’approvvigionamento idrico non sarebbe stato ripristinato fino a quando la Russia non avesse restituito la Penisola di Crimea. L’analista di sicurezza Polina Vynogradova ha osservato che qualsiasi ripresa dell’approvvigionamento idrico sarebbe equivalso a un riconoscimento de facto dell’autorità russa in Crimea e avrebbe minato la pretesa dell’Ucraina sulla Penisola. Avrebbe indebolito altresì la leva ucraina sui negoziati sul Donbass.
Anche se le truppe russe alla fine si ritirassero dall’Ucraina, la Russia probabilmente, manterrà il controllo permanente sull’intero canale di 400 chilometri della Crimea settentrionale per garantire che non ci siano più interruzioni all’approvvigionamento idrico della Crimea.
La sopravvivenza del regime
Secondo questa teoria, il 69enne Putin, al potere dal 2000, cerca il conflitto militare permanente come un modo per rimanere popolare tra i cittadini russi. Alcuni analisti ritengono che dopo le rivolte pubbliche in Bielorussia e in Kazakistan, Putin abbia deciso di invadere l’Ucraina per paura di perdere la presa sul potere.
In un’intervista al Politico, Bill Browder, l’imprenditore americano che guida la Global Magnitsky Justice Campaign, ha dichiarato che Putin sente il bisogno di apparire forte in ogni momento: “Non credo che questa guerra riguardi la Nato; non credo che questa guerra riguardi il popolo ucraino o l’Ue e nemmeno l’Ucraina; questo conflitto riguarda l’inizio di una guerra per rimanere al potere. Putin è un dittatore, ed è un dittatore la cui intenzione è quella di rimanere al potere sino alla fine della sua vita naturale. Ha capito che le cose non andavano bene per lui, a meno che non avesse fatto qualcosa di sensazionale. Putin sta solo pensando a breve termine... e si chiede: ‘Come rimango al potere da questa settimana alla prossima? E poi dalla prossima settimana a quella successiva?’”.
Anders Åslund, uno dei maggiori esperti di politica economica in Russia e in Ucraina, concorda: “Come intendere la guerra di Putin in Ucraina. Non si tratta della Nato, dell’Ue, dell’Urss e nemmeno dell’Ucraina. Putin ha bisogno di una guerra per giustificare il suo governo e la sua repressione interna in rapido aumento. (…) È davvero tutto legato a Putin, non al neo-imperialismo, al nazionalismo russo o anche al Kgb”.
L’esperta di Russia Anna Borshchevskaya ha scritto che l’invasione dell’Ucraina potrebbe essere l’inizio della fine per Putin: “Sebbene non sia eletto democraticamente, si preoccupa dell’opinione pubblica e delle proteste in patria, vedendole come una minaccia per mantenere la presa sul potere. (…) Anche se Putin può aver sperato che l’invasione dell’Ucraina avrebbe rapidamente ampliato il territorio russo e contribuito a ripristinare la grandezza dell’ex Impero russo, ma il risultato potrebbe essere esattamente l’opposto”.
(*) Tratto dal Gatestone Institute – Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Soeren Kern (*)