Le minacce di Putin non sono un problema, ma i suoi sodali sì

lunedì 21 marzo 2022


C’è chi preferisce continuare a illudersi, continuando a sostenere che sia un errore inviare armi alla resistenza ucraina e a esercitare pressioni sulla Russia per mezzo delle sanzioni. In questo modo – dicono i pacifisti, più o meno consapevolmente complici del regime di Vladimir Putin – non si fa altro che istigare ancora di più l’autocrazia russa, allontanando la possibilità di giungere a una soluzione diplomatica del conflitto e favorendo l’escalation, nonché la definitiva rottura delle relazioni tra Occidente e Russia. Non si può fare a meno di constatare come i sostenitori della “soluzione diplomatica” o non abbiano capito assolutamente nulla di Putin e delle sue reali ambizioni, visti i loro ragionamenti astratti; oppure come, pur avendo ben chiaro il quadro della situazione, sostengano l’opportunità di giungere a un compromesso solo perché segretamente vicini alle scelte della Russia, sapendo benissimo che qualunque mediazione andrebbe sempre e comunque a favore di Mosca. Per cui, la loro insistenza sul compromesso è un modo più soft e dissimulatorio per appoggiare le ambizioni neo-imperialiste della dittatura russa. Il che fa dei presunti “pacifisti” dei collaborazionisti a tutti gli effetti, dei sodali di Putin.

Si parla di neutralità dell’Ucraina, di annessione della Crimea e dell’indipendenza del Donbass. Sono questi tre i “punti non negoziabili” posti dal Cremlino per la pace. Sicché, le stesse cose che Putin voleva ottenere attraverso le armi dovrebbero essergli concesse attraverso i negoziati? È semplicemente ridicolo. Se i russi avessero davvero il desiderio di giungere a una pace attraverso una mediazione seria e credibile, capirebbero benissimo che – quand’anche si volessero comprendere le loro preoccupazioni per l’espansione della Nato verso Est – l’Ucraina ha diritto a delle garanzie sulla sua sicurezza e sulla sua integrità territoriale, anche e soprattutto per il futuro. Ragion per cui, una ipotetica neutralità del Paese non potrebbe seguire il modello austriaco o svedese – che non sono oggetto delle mire imperialistiche di una grande potenza – ma solo quello “ucraino”, vale a dire con gli Stati Uniti e l’Europa pronti a intervenire in difesa dell’Ucraina in caso di future invasioni russe o di ingerenze del Cremlino nelle sue vicende interne e nelle sue scelte politiche. In questo modo, la Russia non avrebbe la temuta Nato ai confini e l’Ucraina potrebbe esercitare pienamente la sua sovranità e consolidarsi come democrazia sotto “l’ombrello occidentale” pur senza aderire all’Alleanza Atlantica. Il fatto che i russi respingano questa possibilità, la dice lunga su quali siano le vere intenzioni di Mosca, che vuole far credere di essere disposta a negoziare quando, in realtà, vuole solo prendere tempo per organizzarsi e sferrare il colpo definitivo, oltre che per capire come reagire all’offensiva – per ora solo economica – dell’Occidente.

È difficile capire come i sostenitori della soluzione diplomatica possano seriamente pensare di poter portare Putin al tavolo delle trattative. Abbiamo a che fare con una personalità esaltata, che non manca mai di far emergere questi inquietanti aspetti della sua personalità. Un criminale che, nel suo Paese, ha instaurato un Governo fascio-mafioso basato su controllo, repressione, intimidazione e delitti di Stato. Non è chiaro come si possa pensare di trattare con un tipo simile e come ci si possa aspettare da lui trasparenza e affidabilità. In questi giorni, in Russia, sembrava di essere tornati agli anni Trenta: lo spettacolo organizzato dall’autocrazia russa allo stadio di Mosca, con Putin intento ad arringare folle adoranti e drogate dalla propaganda di regime, ricorda molto le adunate nazi-fasciste, in cui tutto era studiato per comunicare un messaggio di grandezza, potere e orgoglio nazionale e, soprattutto, per rendere culto al leader, guida del suo popolo e vera e propria “messia politico”. Un termine russo con un significato simile a quello di Duce o di Führer potrebbe essere “Ϭօcc”, vale a dire “capo”: si pronuncia “boss”, proprio come quello delle gang criminali, cosa che rende questa parola particolarmente appropriata al personaggio di Putin.

A ulteriore riprova del fatto che Mosca non sia disponibile ad alcun negoziato che non si sostanzi in una resa da parte dell’Ucraina e in una piena accettazione delle condizioni poste del Cremlino, ci sono le continue minacce all’Occidente. Non sono i leader occidentali a istigare Putin, ma quest’ultimo a suscitare la nostra indignazione e il nostro sdegno. Se Putin non si comportasse da criminale, nessuno lo definirebbe come tale. Se non si comportasse da dittatore, nessuno lo etichetterebbe con quel termine. Se non bombardasse ricoveri pieni di anziani, donne e bambini, nessuno gli darebbe dell’assassino. Invece lancia bombe a grappolo, sta riflettendo sull’opportunità di infierire sulla popolazione ucraina con armi chimiche, parla di “ripulire la Russia dai traditori” e lancia messaggi intimidatori – in perfetto stile mafioso, invero, come il regime che ha costruito in questi anni – al mondo occidentale. Non ultimo quello verso l’Italia che, dice il Cremlino, pagherà un prezzo altissimo per quello che è stato percepito come un “voltafaccia”, date le solide relazioni economiche e diplomatiche tra i due Paesi.

Ora, il fatto che in Italia ci siano stati governanti sprovveduti che hanno pensato di fare di Mosca un partner geopolitico e commerciale dell’Occidente e che molti dei nostri politici siano stati in corrispondenza d’amorosi sensi col presidente russo – dei Lukashenko nostrani, insomma, pronti ad asservire la patria ai diktat del Cremlino – non deve minimamente indurre a pensare che l’Italia sia mai stata un’alleata della Russia o la sua “avvocatessa in Occidente”. Allo stesso modo, il fatto che in questo Paese vi siano individui e gruppi che, nonostante tutto, sono ancora animati da una certa russofilia, non è un buon motivo per credere che tutta l’Italia condivida simili posizioni aberranti. Sono stati fatti degli errori di valutazione nel momento in cui ci siamo fidati della Russia e di Putin, credendo che Mosca sarebbe stato un partner affidabile e lasciando che ci vincolasse dal punto di vista delle forniture energetiche. Ciononostante, siamo un Paese Nato, europeo e liberal-democratico, che sostiene la lotta delle nazioni per la libertà, perché l’Italia stessa nasce da queste lotte: il Risorgimento e la Resistenza.

A questo proposito, è increscioso che Putin abbia ancora così tanti amici e sostenitori in questo Paese: forse più che in qualunque altra nazione occidentale. Agli italiani piace “l’uomo forte”? Scontiamo il fatto di aver avuto, per più di mezzo secolo, il Partito Comunista più forte d’Europa attraverso il quale l’Unione Sovietica cercava di influenzare le scelte politiche del nostro Paese? Quale che sia la ragione di questo, bisogna dire che più delle minacce di Putin che – al massimo, potrà tagliarci le forniture energetiche, ma noi saremo probabilmente più veloci, poiché il quinto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea pare prevedrà anche l’interruzione o il ridimensionamento delle forniture di gas e petrolio, senza contare che ci stiamo già attrezzando per emanciparci dal ricatto energetico russo – spaventa il consenso di cui ancora gode presso una parte della popolazione e della politica italiana.

Si tratta solo una minoranza sparuta e chiassosa, per fortuna. Solo di un coacervo di individui che amano Putin perché non sono loro a doverne subire gli abusi, le angherie e le imposizioni. Ma in una fase in cui si va verso un conflitto ciò potrebbe rappresentare un rischio per la sicurezza del Paese. E quand’anche la guerra non dovesse uscire dai confini ucraini, ci avviamo verso una nuova Guerra Fredda, verso un contesto di relazioni internazionali caratterizzato dallo “scontro di civiltà”, in cui i sodali di Putin sarebbero molto simili ai comunisti nell’America degli anni Cinquanta: veicoli attraverso i quali il “male russo”, l’autocrazia e il putinismo, potrebbe intaccare il corpo sano dell’Occidente, le sue istituzioni e le sue virtù, proprio come, in tempi non sospetti, quando nessuno pensava si sarebbe mai arrivati a questo punto, sono stati veicoli della penetrazione culturale, politica ed economica russa.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha decretato la messa al bando di tutti i partiti e le associazioni legate alla Russia. L’Unione europea ha bloccato i finanziamenti ai partiti provenienti dal Cremlino e introdotto maggiori controlli sui siti web legati a Mosca. La Polonia – guidata da un Governo ultraconservatore, e quindi, non sospettabile di nichilismo o di relativismo, che alcuni pensano siano alla base del ripudio occidentale nei riguardi della Russia putiniana – chiede di “derussificare” l’Europa, a partire dalle relazioni economico-commerciali. L’auspicio è che ogni Paese occidentale – in primis l’Italia – segua l’esempio ucraino, con un giro di vite su ogni movimento politico, associazione, media, fondazione, attività o ente vicino a Mosca o solidale col regime di Putin.

Tempo fa si parlava della necessità di bloccare i finanziamenti provenienti dai Paesi fondamentalisti alle associazioni culturali islamiche presenti in Italia, anche per impedire al radicalismo di conquistare spazio e influenza nel nostro Paese. Allo stesso scopo, sono state fatte proposte per imporre agli imam di predicare in italiano o di seguire corsi di formazione teologica presso centri culturali riconosciuti dallo Stato. Sulla base dello stesso principio, è incomprensibile come non si siano ancora presi provvedimenti volti a impedire che il germe dell’autocrazia e del putinismo – con relativa inclinazione criminale, terroristica e illiberale, non meno pericolosa di quella islamista – corrompa o metta a repentaglio l’ordine liberal-democratico delle nazioni europee. Un vero e proprio “embargo culturale”, inevitabile corollario di quello economico e politico.


di Gabriele Minotti