Interrogativi sulla neutralità dell’Ucraina

venerdì 18 marzo 2022


Uno “statuto della neutralità” per l’Ucraina?

Con l’incognita sempre incombente sulle reali intenzioni di Vladimir Putin che sta ora inasprendo la violenza bellica in Ucraina, i negoziati in corso sembrano adesso orientati a una possibile intesa per uno “statuto sulla neutralità” di Kiev, incentrato sulla definitiva rinuncia alla adesione alla Nato e ad altre alleanze militari. Per il Financial Times, grazie alla mediazione della Turchia, sarebbe all’esame una bozza di accordo articolato in 15 punti, che prevederebbe in particolare cinque condizioni: 1) la cessazione delle ostilità in atto e il ritiro delle truppe russe; 2) la neutralità dell’Ucraina e la rinuncia alla adesione alla Nato; 3) limitazioni alle forze armate dell’Ucraina; 4) divieto di installazioni di basi militari straniere; 5) garanzie per le minoranze russofone in Ucraina.

Quando l’Ucraina ha iniziato a guardare alla Nato

La scelta della neutralità non è nuova per l’Ucraina. Anzi, l’esperienza di Kiev è ricordata negli studi di diritto internazionale (ex multis, Ronzitti) con riferimento alla scelta unilaterale di “non-allineamento” adottata con la legge 15 luglio 2010 relativa alle “basi della politica estera e dell’interno”. La legge disponeva che l’Ucraina doveva considerarsi uno Stato “non allineato”, che non aderisce ai “blocchi” e a qualsiasi alleanza politica militare, inclusa la Nato. Si trattava in sostanza di una concessione che l’allora Governo filorusso aveva voluto riconoscere alla Federazione Russa, che premeva perché l’Ucraina non aderisse alla Nato. La legge ovviamente fu abrogata dopo l’occupazione russa della Crimea e la guerra del Donbass, e nel 2019 la prospettiva di entrare nella Nato è stata sancita dalla stessa Costituzione dell’Ucraina. La modifica della Costituzione era stata sostenuta dall’ex presidente Petro Poroshenko sin dall’inizio della sua campagna presidenziale. Era poi seguito un articolato processo di revisione approdato al via libera della Corte costituzionale dell’Ucraina con il parere del 22 novembre 2018, e all’approvazione del Parlamento ucraino, avvenuta il 7 febbraio 2019 con 335 voti a favore su 450. Gli emendamenti apportati alla Costituzione hanno riguardato in primo luogo il preambolo, dove dopo le parole “l’armonia civile sul territorio dell’Ucraina” è stata inserita la frase “e riaffermando l’identità europea del popolo ucraino e l’irreversibilità del percorso europeo ed euroatlantico dell’Ucraina”; segue poi il paragrafo 5 della prima parte dell’articolo 85 sulle “competenze del Parlamento dell’Ucraina” ove, con riferimento alla “determinazione dei principi di politica interna ed estera,” si richiama l’“attuazione del corso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico”. Sulle funzioni di garanzia del Presidente della Repubblica, all’articolo 102 si sancisce che lo stesso “è il garante dell’attuazione del percorso strategico dello Stato verso la piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico”. E con riferimento alle funzioni di Governo, all’articolo 116 è stato aggiunto il punto 11, in cui si afferma: “Assicura l’attuazione della direzione strategica dello Stato per l’acquisizione della piena adesione dell’Ucraina all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico” (riferimento Lapa, Frosini, Università Bocconi).

I rapporti di partnership con la Nato

Va inoltre ricordato che l’Ucraina aveva intrapreso le iniziative di cooperazione euroatlantica sin dal 1997 nell’ambito del percorso di partnership avviato dalla Nato con i Paesi legati all’ex Patto di Varsavia, fra cui figurava anche la Russia prima della crisi georgiana. L’ Ucraina ha poi chiesto l’ingresso alla Nato al vertice di Bucarest nel 2008, che si concludeva con una dichiarazione di “favorevole accoglienza” verso “le aspirazioni euro-atlantiche dell’Ucraina e della Georgia”. Nel giugno 2020, la Nato ha riconosciuto all’Ucraina lo status di Enhanced opportunities partner, che prevede in sostanza un passo avanti nella cooperazione “tra alleati e partner che hanno dato contributi significativi alle operazioni e alle missioni guidate dalla Nato”. In forza di tale accordo, l’Ucraina ha potuto svolgere un adeguato programma di training e di adeguamento del modello di difesa, che gli sta ora consentendo di affrontare con un certo grado di resilienza l’attacco sferrato su più fronti dalla Russia. In ogni caso, come è noto, il processo di adesione alla Nato è stato bloccato e la stessa Nato, pur potendo teoricamente intervenire al di fuori dei propri confini in forza della norma consuetudinaria della solidarietà alla self-defence in favore di qualsiasi Stato aggredito, ha deliberato di non disporre un intervento armato diretto, per “evitare una Terza guerra mondiale”.

Un nuovo status di neutralità e il ruolo delle “garanzie”

Ritornando al tema dei possibili negoziati in corso sulla neutralità, è bene valutare l’ipotesi con ogni necessaria cautela, considerando che sul piano fattuale la Russia in atto si sta apprestando a una decisa intensificazione della violenza bellica su più fronti, non risparmiando purtroppo anche un coinvolgimento più esteso degli obiettivi e delle vittime civili. Fatta questa premessa, l’attenzione va puntata sulle indicazioni che risultano ad oggi riconducibili alle fonti aperte, come l’agenzia russa Interfax che ha riportato alcune dichiarazioni del ministro degli Esteri, Sergej Lavrov e in particolare del portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, in base alle quali sarebbe “possibile un compromesso” su un modello di neutralità “smilitarizzata” dell’Austria e della Svezia. Il riferimento a tali modelli di Paesi che non hanno aderito alla Nato, tuttavia, non sembra avere convinto l’Ucraina, tanto che uno dei negoziatori, Mykhailo Podoliak, ha fatto due affermazioni molto esplicite: 1) “l’Ucraina è ora in uno stato di guerra diretta con la Russia. Pertanto, il modello può essere solo ucraino”; 2) uno status di neutralità deve comunque includere “un accordo rigido con un certo numero di Stati garanti che si impegnano a prevenire attivamente gli attacchi in Ucraina”.

Interpretando tali osservazioni, l’Ucraina sembrerebbe volere sostenere il primo luogo che uno “statuto sulla neutralità” di Kiev non dovrà essere unilaterale o il frutto di un accordo bilaterale Russia-Ucraina, peraltro sottoscritto in stato di aggressione. Si parlerebbe quindi di un trattato multilaterale, come nel caso storico della Svizzera, la cui neutralità fu sancita dall’Atto finale del Congresso di Vienna del 1815. In questo caso, si ipotizza il coinvolgimento di Stati Uniti, Regno Unito e Turchia, in qualità di “garanti”. Ma il punto più critico è proprio questo: il progetto dell’Ucraina, in quanto Stato già aggredito, sembra orientato a inserirvi clausole sulle “garanzie della neutralità”, dove però il ruolo di garanzia non riguarderebbe il mero riconoscimento dello status di neutralità, ma anche l’assunzione dell’impegno ad intervenire in caso di attacco armato, senza oneri di reciprocità (Ronzitti). In sostanza, i Paesi “garanti” sarebbero chiamati a intervenire, se la sovranità territoriale dell’Ucraina è violata, così come avrebbe dovuto fare la Nato se Kiev avesse aderito al Trattato di Washington.

Le incognite e il ruolo delle Nazioni Unite

Sulle “garanzie” della neutralità si giocherà tutto, perché occorrerà verificare se effettivamente la Russia sia disposta ad accettare questo ruolo degli Stati “garanti”. Rimane altrimenti l’ipotesi di negoziare l’inserimento di una norma più generale sugli obblighi di solidarietà alla self-defence sanciti in ogni caso dalla Carta delle Nazioni Unite di fronte a qualunque aggressione a uno Stato parte, in special modo se “neutralizzato”. Questioni aperte su cui l’Ucraina ancora non si è espressa riguardano, comunque, il riconoscimento della annessione della Crimea e delle Repubbliche autonome di Donetsk e Luhansk, non dimenticando che è stata proprio la Russia a giustificare la sua aggressione proponendosi come loro “garante”.

Intanto, purtroppo, la guerra continua e si fa sempre più minacciosa e gravida di conseguenze soprattutto per la popolazione civile, ma anche per la sicurezza di Paesi europei. L’auspicio è che, qualora la strada dei negoziati dovese fallire, la coscienza collettiva, che l’umanità potrà esprimere anche attraverso i nuovi social-media, possa spingere ancora l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a sostituirsi all’immobilismo del Consiglio di Sicurezza, come è avvenuto con la Risoluzione del primo marzo scorso. Ma questa volta il richiamo dovrà essere più deciso a un modello di Risoluzione Uniting for peace (il precedente storico è quello della Risoluzione adottata per la guerra di Corea, nel 1950, riferimento De Guttry, Pagani) che imponga a questo punto un negoziato per la cessazione delle ostilità secondo condizioni imperative che, in via equidistante e in rigorosa osservanza del diritto internazionale, potrà essere definito anche da un parere della Corte Internazionale di Giustizia.

(*) Membro dell’International Law Association


di Maurizio Delli Santi (*)