Il nemico incombe

mercoledì 16 marzo 2022


Il conflitto russo-ucraino sta prendendo la piega che in molti temevano. Non solo proseguono i bombardamenti sulle principali città, tra cui Kiev, ma la guerra si starebbe ora spostando verso Ovest. È stata infatti colpita la base militare ucraina di Yavoriv, nei pressi di Leopoli, a soli venticinque chilometri dal confine polacco, cioè europeo. Proprio la Polonia inizia a nutrire forti timori riguardo la possibilità che il Cremlino non voglia circoscrivere la sua azione aggressiva al solo territorio ucraino: tra la popolazione, come tra i governanti, è forte il presentimento che le truppe russe potrebbero muovere verso i suoi confini o attaccare il territorio polacco. Ragion per cui il Governo di Varsavia mette in allerta la Nato e chiede maggiore risolutezza da parte dell’Alleanza. Tali timori acquisiscono maggior forza anche in virtù di alcune informazioni di intelligence per le quali Mosca starebbe davvero valutando la possibilità di un attacco missilistico proprio contro la Polonia o contro le Repubbliche Baltiche, qualora l’Occidente non ritirasse le sanzioni, che dal Cremlino sono state percepite come un vero e proprio atto di guerra.

Non sono solo i polacchi, tuttavia, a preoccuparsi: si sarebbero registrati movimenti russi sospetti nel Mediterraneo. Si tratterebbe della milizia “Wagner”, battaglione speciale già impiegato da Vladimir Putin in Africa, in Medio-Oriente, in Crimea e nel Donbass. Per questo motivo, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sollecita i partner della Nato a rafforzare anche il versante sud dell’Alleanza, paventando il rischio di possibili operazioni di destabilizzazione nell’area mediterranea. A conferma di tale possibilità, interviene il presidente del Comitato militare europeo, il generale Claudio Graziano, il quale sottolinea come le forze russe siano presenti da tempo nell’area mediorientale e nell’Africa profonda – ufficialmente come istruttori militari e per ragioni di cooperazione internazionale – e che in questo periodo si siano specializzate nella destabilizzazione, arrivando a stringere alleanze strategiche con le milizie jihadiste.

Nel frattempo, le notizie dal fronte ucraino sono preoccupanti. Sebbene il morale delle truppe sia alto e gli stessi patrioti ucraini, riunitisi in milizie popolari, siano pronti a lottare fino all’ultimo per la loro terra, non si placa la ferocia del nemico: Mosca fa sapere di essere intenzionata a conquistare tutte le principali città ucraine, da Est a Ovest. Il Governo di Volodymyr Zelensky prosegue nel chiedere all’Occidente più armi per potersi difendere, sanzioni più dure nei riguardi di Mosca e l’istituzione di una “no-fly zone” per mettere fine ai bombardamenti. Sebbene quest’ultima ipotesi continui a restare un tabù per la maggior parte dei governi occidentali, poiché vorrebbe dire dover abbattere gli aerei russi e intraprendere, di fatto, la via di un conflitto con Mosca, tale possibilità sembrerebbe stia lentamente prendendo corpo all’interno della politica americana: il presidente, Joe Biden, è rimasto contrario, ma sempre più parlamentari di entrambi gli schieramenti sarebbero disposti a ragionare su questa opzione, forti anche dei sondaggi che indicano come l’opinione pubblica statunitense sarebbe decisamente propensa ad azioni più risolute in favore dell’Ucraina, fino ad arrivare a un vero e proprio intervento militare.

In Russia proseguono gli arresti di massa contro gli oppositori della guerra e del regime di Vladimir Putin. La propaganda di Stato dipinge una vera e propria “contro-realtà” orwelliana: la guerra è solo una “operazione speciale”; gli invasori sono “liberatori”; i patrioti ucraini sono “nazisti”; gli occidentali vogliono distruggere la Russia; in Ucraina si preparavano bombe atomiche e biologiche; i bombardamenti contro obiettivi civili non esistono e sono solo una montatura dei media occidentali. Si fanno sempre più forti i sospetti circa l’intenzione del Cremlino di impiegare armi chimiche contro le truppe e la popolazione ucraina: eventualità che il Congresso americano da quasi per certa. Si parla di deportazioni di civili verso la Russia, attraverso gli pseudo-corridoi umanitari. In più, Mosca avrebbe chiesto aiuto militare e finanziario alla Cina per portare avanti il conflitto. Pechino nega e parla di “disinformazione occidentale”. Non si fa attendere la reazione degli Stati Uniti, che con consigliere alla Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, ammoniscono la Cina a non fornire nessun tipo di assistenza a Mosca, nemmeno per aggirare le sanzioni occidentali, sempre che Pechino non voglia, a sua volta, incorrere in delle pesanti conseguenze.

Nonostante la propaganda, però, è evidente che la campagna militare in Ucraina non stia andando secondo le previsioni del Cremlino: lo “zar” non si aspettava tanta resistenza, né pensava che l’Occidente avrebbe saputo essere così compatto e incisivo nella sua opera sanzionatoria, né che sarebbe entrato indirettamente nel conflitto, fornendo armi ed equipaggiamenti alle truppe e alle milizie ucraine. Le forze russe avanzano lentamente: troppo per i gusti di Putin, che vuole invece incutere timore al mondo. Così, il dittatore russo avrebbe deciso di chiamare a sé un contingente di sedicimila mercenari dal Medio-Oriente e dall’Africa centrale, che dovrebbero andare ad affiancare l’esercito regolare russo. Si tratta di tagliagole, di criminali noti per la ferocia già dimostrata durante la campagna di Siria. Come spiega Andrea Margelletti, presidente del Centro studi internazionali, questi mercenari non hanno regole d’ingaggio come i soldati, ma vengono semplicemente pagati e lasciati liberi di fare quel che vogliono coi nemici: sono gli stessi – dice l’esperto – che nel conflitto siriano saccheggiavano e incendiavano le case dei civili, stupravano le donne e giocavano a pallone con le teste mozzate dei bambini.

È evidente che la situazione stia degenerando e che ciò richieda una risposta commisurata. Per quale ragione l’Occidente dovrebbe prendere molto seriamente gli ultimi avvenimenti, e in special modo il bombardamento vicino a Leopoli, considerata finora una specie di avamposto occidentale in Ucraina, anche per la sua posizione vicina al confine polacco, quindi europeo e quindi Nato? Nei giorni scorsi, Mosca ha avvertito che i convogli di armi e di viveri provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa avrebbero potuto divenire obbiettivi legittimi dei raid russi: per gli invasori, Leopoli, proprio per la sua vicinanza al confine polacco, è il principale punto d’arrivo e di smistamento degli aiuti militari destinati alla resistenza ucraina. Con l’attacco a Yavoriv i russi intendono far capire alla Nato che per loro “ogni promessa è un debito”. In secondo luogo, la base militare di Yavoriv risulta già impiegata come luogo per l’addestramento delle truppe ucraine grazie all’ausilio di esperti e consiglieri militari occidentali: ma con lo scoppio della guerra diventa il punto di ritrovo dei volontari stranieri pronti a combattere al fianco delle milizie ucraine. Con ciò, Putin vuole mandare un chiaro messaggio all’Occidente, vuole far capire di essere disposto a fare sul serio e di non essere minimamente intenzionato ad allentare la stretta attorno all’Ucraina. Inoltre, spingendo il conflitto verso il confine polacco, Putin intende far capire agli occidentali che non ha intenzione di fermarsi all’Ucraina: il suo obiettivo rimane quello di dare vita a un vero e proprio impero, riunendo tutte le popolazioni di etnia slava sotto l’influenza della “Madre Russia” e riducendo sempre di più i confini e la sfera d’influenza occidentali. Finito con l’Ucraina, il Cremlino farà partire le sue truppe alla volta della Polonia, della Moldavia, della Slovacchia, delle Repubbliche Baltiche e, magari, anche della Finlandia o della Svezia, più volte minacciate nelle ultime settimane.

Da ultimo, nemmeno la scelta di chiamare in aiuto siriani, africani e cinesi è casuale. Sebbene gli esperti occidentali di difesa l’abbiano interpretato come un chiaro segno di debolezza – e dal punto di vista prettamente strategico-militare potrebbe effettivamente esserlo – dal punto di vista geopolitico e culturale assume decisamente un’altra valenza. Si sta realizzando la saldatura tra i principali nemici della civiltà occidentale: russi, cinesi e nazioni islamiche, per l’appunto. Il mondo illiberale si sta progressivamente unendo contro il mondo libero. I miliziani di Putin portano, su mezzi russi, il fondamentalismo islamico nel cuore dell’Europa. Fondamentalismo islamico che va a unirsi e a fare fronte comune col fondamentalismo cristiano della Russia putiniana. Non c’è, infatti, molta differenza tra i mullah e gli imam che chiamano i musulmani alla “guerra santa” contro i “crociati occidentali” e il patriarca Kirill che benedice la guerra contro l’Ucraina e le attribuisce un significato metafisico, in quanto “guerra di salvezza” per impedire che il Paese, abitato da “fratelli” (che però devono essere bombardati e asserviti a Mosca) cada in mano a quell’Occidente schiavo delle “lobby gay”. Va a finire che Putin, nella mente di questo ciarlatano, è il nuovo “unto del Signore”. Quali migliori alleati, per un’autocrazia fascista come quella russa, delle milizie islamo-fasciste che seminano il terrore in Africa e in Medio-Oriente? Quanto all’alleanza russo-cinese, è superfluo persino parlarne. Entrambi odiano l’Occidente e le sue libertà. Entrambi vogliono ridisegnare gli assetti globali in loro favore. Entrambi sanno sfruttare le occasioni che si presentano per colpire il nemico comune. Il risultato è un’alleanza “solida come la roccia”, per usare le parole del ministro degli Esteri di Pechino, Wang Yi. E da tale alleanza è lecito aspettarsi tutto il male possibile.

Sono principalmente queste le ragioni per cui è giunto il momento che l’Occidente inizi a prendere la questione molto più seriamente di quanto non abbia fatto finora. Il tempo di tergiversare, di barcamenarsi e di adottare linee di prudenza che difficilmente eviteranno una escalation del conflitto è finito. I leader occidentali devono domandarsi se sono disposti a fare di più, ad andare oltre le sanzioni contro la Russia e il semplice sostegno, militare e morale, all’Ucraina e ad accettare di intervenire direttamente per fermare Mosca; oppure se restare a guardare e aspettare che sia quest’ultima a prendere l’iniziativa. Tutto ciò, logicamente, nella consapevolezza che questa non è una guerra per l’Ucraina, ma per tutta l’Europa e per l’Occidente e che in ballo non c’è solo la libertà di un popolo, ma di tutte le democrazie. E che quindi non possono permettersi di vacillare o di mostrarsi deboli dinanzi alla barbarie.


di Gabriele Minotti