Ucraina: un virus russo ha colpito le Nazioni Unite

mercoledì 23 febbraio 2022


Il riconoscimento da parte di Mosca delle Repubbliche di Donetsk e Luhansk, nella regione orientale dell’Ucraina, ha aperto un altro varco nel ciclopico muro che divide le diplomazie della Russia da quelle dell’Occidente. Ma quali sono le recenti origini della conflittualità che ha portato a questo punto? Partiamo dal 2014, quando l’Ucraina orientale è stata teatro di una guerra civile tra le forze filo-russe della regione del Donbass e le forze di Kiev. Nel 2015, gli accordi di Minsk hanno fissato una linea rossa divisoria tra le forze regolari e quelle delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Luhansk. Con questa operazione l’Ucraina cedette il tre per cento del suo territorio e il controllo del confine con la Russia. Da allora su questo confine si sono verificati continui scontri armati, intervallati da effimere pause, nonostante gli accordi di cessate il fuoco.

Così la Russia è accusata di armare e finanziare i ribelli filo-russi, mentre l’Occidente, Nato, imbottisce di armi l’Ucraina. La fulminea invasione della Crimea nel 2014, seguita dalla sua annessione da parte di Mosca, ha scandito un passaggio, tutto sommato “pacifico”, dell’articolato percorso pseudo-diplomatico. A novembre 2021, iniziano le accuse occidentali alla Russia colpevole di ammassare truppe sui confini ucraini e l’Ucraina accusa Mosca di cercare il “casus belli” per invadere il proprio territorio.

Ma perché la situazione è peggiorata? Per primo, il complessivo fallimento dei negoziati: quello di Ginevra tra Stati Uniti e Russia e quello a Bruxelles tra Nato e Russia, tanto per citare quelli più altisonanti. Come noto, le istanze russe chiedono un impegno scritto sul non ampliamento della Nato all’Ucraina e alla Georgia, ed esigono il ritiro delle forze e degli armamenti dell’Alleanza Atlantica, dai Paesi dell’Europa centro-orientale che hanno aderito alla Nato dopo il 1997, in particolare dalla Romania e Bulgaria, una pretesa non negoziabile.

L’incontro del 21 gennaio, tra il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov e il suo omologo americano, Antony Blinken, non ha sortito nulla di fatto. Tuttavia, Blinken si era comunque impegnato a presentare una risposta scritta a Mosca non ancora prodotta. La cronaca ci parla del noto dispiegamento, ripiegamento, riposizionamento delle truppe russe dai confini ucraini. Ma quello che intanto sta continuando è una serie di attacchi informatici all’Ucraina, su larga scala, dei quali viene accusata la Russia. L’accerchiamento dell’Ucraina ha indotto gli Stati Uniti a erogare 200 milioni di dollari aggiuntivi per aiuti alla “sicurezza” del Paese. Nel frattempo, Estonia, Lituania e Lettonia, hanno annunciato la fornitura di armi all’Ucraina.

Quale è stata la reazione degli occidentali? Intanto l’Occidente sembra abbastanza unito, salvo alcune “sfumature” tedesche; le solite minacce di inutili sanzioni, dialoghi necessari per far passare il “tempo utile”, e poi la strategica o “instabile”, disponibilità di Joe Biden che ha fatto intendere, in un primo momento, che una piccola incursione”, cioè un’azione militare russa su piccola scala in Ucraina, potrebbe essere tollerata!

Questa posizione poi è stata rettificata da Washington, che assicura che qualsiasi attraversamento del confine sarà oggetto di una risposta “severa” da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Ma questo dimostra lo spessore del presidente Usa. Ora, quale è la posizione della Russia? Mosca denuncia, nel quadro di una escalation di tensioni, una “isteria” globale, accusando Stati Uniti e Nato di aver esacerbato le tensioni con annunci e azioni russe immaginate. Così, dopo quasi otto anni di ostilità tenute fredde dagli accordi di Minsk, dopo questa acuta crisi, le tensioni si sono riscaldate, portando Vladimir Putin, lunedì 21 febbraio, a varcare una nuova linea rossa riconoscendo l’indipendenza di Donetsk e Lugansk.

Era il 7 aprile 2014, dopo la rivoluzione filoeuropea di Maidan che aveva spazzato via il regime del presidente filorusso Viktor Yanukovich, che i ribelli separatisti sostenuti da Mosca, proclamarono la Repubblica popolare di Donetsk, seguita poi da quella di Lugansk. Stava così iniziando la guerra nel Donbass, regione situata nell’Ucraina orientale. Come ricordato gli accordi di Minsk del 12 febbraio 2015, hanno certamente trasformato questo potenziale conflitto armato in un conflitto congelato, ma questi “patti” tra Ucraina, Russia, Germania e Francia nell’ambito del “formato Normandia” non sono mai stati applicati, né da Mosca né da Kiev. Quindi ciò che si sta svolgendo attualmente nell’Europa di Centro (orientale) va oltre il quadro del conflitto ucraino.

L’atteggiamento di Mosca è una dimostrazione di forza. Vladimir Putin ha l’obiettivo di correggere il paradigma delle relazioni con gli Stati occidentali. Vorrebbe la revoca delle sanzioni e che l’Occidente cambiasse gli atteggiamenti riguardo agli interessi russi. Intanto l’ambasciatore ucraino alle Nazioni Unite, Sergiy Kyslytsya, ha dichiarato che i confini dell’Ucraina riconosciuti a livello internazionale, rimarranno tali, non riconoscendo le dichiarazioni e le azioni della Russia. Inoltre, l’Ucraina chiede alla Russia di annullare il riconoscimento dei territori secessionisti ucraini e di ritornare al tavolo dei negoziati.

Ma, poche ore fa, all’uscita da un teso incontro alle Nazioni Unite durato quasi due ore, dove Francia, Regno Unito, Irlanda, Norvegia, Kenya, Ghana, Albania, India, Emirati Arabi Uniti e Brasile hanno condannato il riconoscimento russo, l’ucraino Sergiy Kyslytsya, ha affermato di avere notato che le Nazioni Unite sono state infettate, non dal Coronavirus, ma da un più devastante virus, diffuso dal Cremlino. Putin ribadisce che l’eventuale ingresso di militari russi nei territori separatisti dell’Ucraina orientale si configura come “forza di mantenimento della pace”; ma “l’Occidente” non ci crede; la Cina invece sì, infatti si è distinta dai suoi partner non condannando esplicitamente la Russia. Così l’ambasciatore cinese Zhang Jun ha solo raccomandato “moderazione”, come era prevedibile.


di Fabio Marco Fabbri