Ucraina: una crisi che scorre sul “gas”

giovedì 3 febbraio 2022


La crisi che sta mettendo in pericolo i già precari equilibri internazionali, quella ucraina, ha prepotentemente rammentato agli europei quanto siano dipendenti dalla Russia per le loro esigenze energetiche, il gas per primo. “L’Occidente”, dopo avere masochisticamente attuato azioni sanzionatorie verso la Russia, ora con eguale spirito autolesionistico minaccia di prendere decisioni pesanti contro Mosca, se Vladimir Putin decidesse di invadere l’Ucraina. L’Europa, con la consapevolezza che senza il gas russo soffrirebbe gravissimi disagi, ha già tracciato un canale di accordi con gli Stati Uniti. Infatti, il 28 gennaio – dopo tre settimane di discussioni – gli Stati Uniti e l’Unione europea, tramite i loro rappresentati Joe Biden e Ursula von der Leyen, hanno aperto un “tavolo di lavoro congiunto” per programmare una fornitura tempestiva, sufficiente e continua di gas naturale all’Ue. Il “tavolo di lavoro” è stato istituito per prepararsi ad affrontare lo scenario peggiore che vedrebbe Mosca chiudere il rubinetto del gas agli europei. L’approvvigionamento straordinario di gas all’Ue sarà tratto da varie “sorgenti”, dislocate in tutto il mondo, al fine di scongiurare uno shock energetico che potrebbe deteriorare la già scarsa lucidità strategica, “in dotazione” alla diplomazia “occidentale”, per affrontare una eventuale invasione russa dell’Ucraina.

Nelle ultime tre settimane, poco meno di cento navi mercantili statunitensi cariche di gas naturale liquefatto (gnl), sono state dirette verso l’Europa. Gli Stati Uniti sono oggi i maggiori produttori di questo gas; questo idrocarburo viene trasportato via mare prima di essere rigassificato nei terminali, e può quindi sostituire facilmente il gas convenzionale, che viene trasportato nei gasdotti e non offre molta flessibilità. Inoltre, Ursula von der Leyen e Joe Biden stanno intensificando i contatti con altri produttori di gas naturale liquido, sia nei paesi del Golfo, come il Qatar, con il quale il 27 gennaio la von der Leyen ha stretto un accordo, sia nell’area del Maghreb, Egitto e Algeria. In questo modo, l’aumento della fornitura del gas verso il Vecchio Continente potrebbe sopperire alla eventuale chiusura dei rubinetti moscoviti.

Ma sarebbe una lettura troppo semplicistica se si potesse immaginare di poter rimediare alla carenza del gas russo acquistandolo da altri Stati; infatti, tutta la rete del mercato del gas va letta in una visione generale, basata sulla produzione globale di gnl, sapendo che questo mercato è solo leggermente articolabile. Dopotutto, per la maggior parte questo gas è già stato contrattualmente venduto; è evidente che se gli europei volessero acquistare in regime di urgenza questo idrocarburo dovranno recuperare una contrattazione già fatta da altre nazioni. Dovranno quindi negoziare, per esempio, con la Cina, il Giappone, e anche con la Corea del Sud, i quali dovranno fare a meno, magari temporaneamente, di una certa quantità di forniture di gas.

Come possiamo capire, la trattazione commerciale del gas è iniziata e proseguirà nei prossimi giorni, coinvolgendo governi di tutto il pianeta. Il 7 febbraio è la data in cui si terrà a Washington il vertice Usa-Europa sulla sicurezza energetica, in questo vicinissimo appuntamento dovranno essere chiari i “limiti della contrattazione energetica” su cui stanno lavorando e le relative possibilità di successo. A complicare la “questione” c’è il gasdotto denominato Nord Stream 2 che non ha mai avuto solo una valenza legata all’approvvigionamento del gas, quindi economica, ma soprattutto una valenza politica a tutto tondo. Detto gasdotto unisce la Russia alla Germania e può essere definito come un “accessorio” del colosso russo Gazprom. A tal proposito, alcuni mesi fa il presidente socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier ha elogiato il futuro gasdotto come ponte tra Russia ed Europa.

Come precisato, questo gasdotto non è ancora in servizio, ma negli anni è diventato un argomento scottante anche per la politica interna tedesca, infatti le problematiche legate alla pipeline sono state ereditate dal cancelliere Gerhard Schröder – attualmente presidente del Comitato degli Azionisti di detto gasdotto – poi cedute da Angela Merkel al suo successore, Olaf Scholz, un socialdemocratico come Schröder, una sorta di ritorno al mittente. La “questione” gasdotto è una specie di lento avvelenamento della credibilità politica tedesca nei confronti di Russia e Ucraina, che intossica anche i rapporti di Berlino con i suoi vicini a est, la Polonia per prima, come ugualmente contamina le relazioni con i Paesi baltici. Soprattutto simboleggia l’ambiguità della politica estera tedesca, tra difesa dei diritti umani e priorità per gli interessi commerciali.

Ora, questo gasdotto tedesco-russo sarà incluso nello “stock” delle sanzioni occidentali? Una risposta decisamente compromettente potrebbe averla data il 13 gennaio la neo-ministra tedesca della Difesa, Christine Lambrecht, quando ha affermato che il Nord Stream 2 deve essere tenuto fuori dal conflitto ucraino, che si traduce con la non integrazione nel “menù” delle sanzioni preparato dall’Occidente nel caso di un attacco russo. Tuttavia, questo dilemma scopre una ulteriore vulnerabilità di una Unione europea ormai agli antipodi dei principi che condussero alla sua nascita.


di Fabio Marco Fabbri