Desmond Tutu: un cristiano senza compromessi

lunedì 3 gennaio 2022


Desmond Mpilo Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, si è spento domenica 26 dicembre all’età di 90 anni. L’ex arcivescovo anglicano era il volto del movimento anti-apartheid. Uomo dotato di una ironia intelligente e contagiosa, è stato sempre in prima linea per denunciare il regime segregazionista in Sudafrica, ma soprattutto per difendere i diritti delle popolazioni nere. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha ricordato la morte di Tutu come un grave lutto per la nazione sudafricana, collocandolo in quella generazione di “sudafricani eccezionali che ci ha lasciato in eredità un Sudafrica liberato.

Desmond Tutu condivideva le convinzioni di Nelson Mandela del quale divenne la voce durante la sua incarcerazione dal 1964 al 1990. Nel corso della sua missione ha mantenuto sempre una grande coerenza; nessuna violazione dei diritti umani, nessun abuso, nessun atteggiamento irrispettoso della dignità umana è mai sfuggito alle sue critiche e alla sua rabbia. Sia durante l’apartheid, che dopo l’elezione di Mandela nel 1994, e durante i successivi governi guidati dai neri, Tutu non ha cessato, in nome della giustizia e dell’equità, di tormentare i poteri costituiti, di pressare i governanti, di “perseguitare” i potenti, non mancando mai di criticare i politici di qualunque partito fossero. Tutu era diventato il punto di riferimento di una nazione in ricostruzione, grazie alle sue battaglie innescate per difendere il rispetto della dignità umana, per professare il perdono, per favorire una conciliazione sociale: rappresentava la coscienza morale di un Paese spesso sofferente nel ricordo dai demoni del passato.

Edward Kennedy, negli anni Novanta, durante una sua visita a Pretoria, definì Tutu “il Martin Luther King del Sudafrica”. L’arcivescovo aveva gradito molto il paragone, forse perché anche lui aveva fatto “un sogno”, quasi lo stesso del pastore assassinato. Anche lui, come Martin Luther King, fu a suo tempo vilipeso, ricercato, oppresso, minacciato da quegli aguzzini faziosi, attori di quello che l’arcivescovo definì “il sistema più vizioso mai inventato dopo il nazismo”, cioè lo “sviluppo separato delle razze”, l’apartheid.

Dal 1948 al 1994 Desmond Tutu è stato visto dalla minoranza bianca al potere, gli afrikaner, come la sintesi del male. Ma anche successivamente, chiuso il capitolo apartheid, assunse quella immagine di intransigenza nei riguardi di tutto ciò che non era a favore della “nazione Arcobaleno”. Così, per molti politici neri, fu un fastidio e un critico osservatore degli illeciti arricchimenti dei potenti. Quello che Nelson Mandela descrisse come “l’arcivescovo del popolo”, utilizzò la sua benevolenza verso l’umanità, il suo coraggio, le sue risate scroscianti, il suo umorismo, i suoi ritmi e anche le sue lacrime, spesso manifestate in pubblico, come un ariete contro le critiche dei suoi denigratori, ottenendo indiscussi successi.

La morte dell’arcivescovo ha colpito oltre i confini del Sudafrica. Desmond Tutu grazie alla sua popolarità e alla sua immagine sana e clemente, aveva acquisito notorietà mondiale. Da Emmanuel Macron a l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, il cordoglio è stato unanime; ma anche il ricordo di un uomo che aveva combattuto, con spirito universale, per i diritti umani e per l’uguaglianza dei popoli. Una vita data per la lotta, per la liberazione e per la giustizia del suo Paese, ma anche preoccupato per l’ingiustizia in tutto il mondo; ricordando quanto pronunciato dal sindaco di Londra, il musulmano Sadiq Khan, che ha citato una delle più suggestive e famose frasi di Tutu: “La speranza è poter vedere che c’è luce nonostante l’oscurità”.


di Fabio Marco Fabbri