Afghanistan tra tossicodipendenza, carestia ed esecuzioni

giovedì 16 dicembre 2021


In Afghanistan, dopo cinque mesi dalla presa del potere da parte dei talebani, si conclamano tutti quei vizi conosciuti che la “retorica talebana” aveva tenuto sopiti e occultati per venti anni. I talebani avevano promesso che, tornati al potere, avrebbero rispettato i diritti umani nel rispetto dei “valori islamici”, una contraddizione di fatto. A questo non hanno creduto la maggior parte degli afghani, soprattutto le donne, ancora meno chi si occupa di tale disciplina, a cui non sfugge un netto contrasto tra i diritti umani e ciò che i talebani intendono per “valori islamici”. Così la donna sta subendo, quasi come fosse un capro espiatorio, tutte le contorsioni dottrinali e mentali che costituiscono “l’ideologia” dei nuovi padroni.

La realtà è che si stanno verificando numerosi casi di suicidio femminile, soprattutto a carico di quelle donne e ragazze che in venti anni si erano costruite una vita quasi normale, tra studio e lavoro, tra professioni giuridiche, sanitarie, attività operaie e commerciali. Da un paio di mesi il Governo di Kabul ha abolito il ministero delle Donne, trasformato in ministero della Promozione della virtù e della Prevenzione del vizio, dove gli agenti del Ministero si sono fatti subito notare per la dedizione a frustare le donne che camminavano da sole, non rispettando la “regola” che impone il divieto di uscire di casa se non “condotte” da un mahram, un accompagnatore maschio della loro famiglia.

A questo si aggiunge, sulla base di un rapporto pubblicato la settimana passata dall’organizzazione non governativa Human rights watch (Hrw), che sono state accertate uccisioni e sparizioni di circa cinquanta ex membri delle forze di sicurezza nazionali afghane, agenti dell’intelligence e miliziani che si sono arresi o sono stati arrestati dalle forze talebane tra il 15 agosto e il 31 ottobre. Tutto ciò accade ignorando anche una dichiarazione rilasciata dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti a cui hanno aderito Gran Bretagna, Giappone e Unione Europea, dove viene manifestata una forte contrarietà per queste azioni che costituiscono gravi violazioni dei Diritti umani e contravvengono all’amnistia annunciata dai talebani.

Inoltre, nel documento si invitano in nuovi padroni dell’Afghanistan a garantire che l’amnistia sia applicata in tutto il Paese e a tutte le classi sociali. Tuttavia, il portavoce del ministero dell’Interno talebano, Qari Syed Khosti, in un videomessaggio inviato ai media, ha respinto le accuse dichiarando che “queste informazioni non si basano su alcuna prova”, aggiungendo che sicuramente sono stati assassinati ex membri delle forze di sicurezza, “ma a causa di rivalità personali o inimicizie”, concludendo che se gli occidentali “hanno documenti e prove, dovrebbero mostrarceli”.

Secondo il rapporto dell’Human rights watch i capi talebani hanno ordinato e convinto, molti membri delle ex forze di sicurezza pre-talebane, a registrarsi per ottenere un “Green pass” che garantisse la loro sicurezza. In realtà la polizia talebana, pochi giorni dopo la loro registrazione, ha utilizzato queste liste nominative per far scomparire agenti ritenuti “non convertibili”, effettuare esecuzioni sommarie e arresti. Nel panorama afghano il martirio, oltre che “integrale”, è anche articolato. Infatti il Paese, secondo David Beasley, direttore del Wfp, Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite, sta attualmente vivendo la peggiore crisi umanitaria del Pianeta. L’ultimo rapporto della Organizzazione afferma che più della metà dei 38 milioni di abitanti affrontano una grave insicurezza alimentare. Quasi 9 milioni di persone rischiano la fame. Il sistema sanitario è abbandonato, le Ong fanno fatica a svolgere il proprio lavoro e l’agricoltura soffre una gravissima siccità.

L’unica attività produttiva e fiorente è il mercato dell’oppio; ma anche qui i talebani hanno dichiarato guerra ai tossicodipendentiautoctoni”, in un Paese che è il più grande produttore mondiale di Papaver somniferum. Oggi è il ministero dell’Interno a gestire il fenomeno endemico delle tossicodipendenze che, secondo le Nazioni Unite, colpisce quasi quattro milioni di persone, circa il 10 per cento. I talebani hanno fatto della lotta alla tossicodipendenza una delle bandiere della loro “politica” per il Paese e intendono liberare le città dall’immagine di questi gruppi di uomini radunati nelle piazze o sotto i ponti, in preda ai “fumi dell’oppio”, magari recuperandoli.

Si hanno informazioni su quale sia il trattamento su questi oppio-dipendenti, che ipocritamente è finalizzato a sconfiggere il traffico di droga nel Paese: uomini armati stanano i tossicodipendenti dai loro ripari, li rinchiudono o in strutture carcerarie o, nel caso di Kabul, in una parte riservata dell’ospedale Ibn Sina. Successivamente, subiscono un processo di “disintossicazione” di quarantacinque giorni, al termine del quale si considerano trattate. Testa rasata e tuniche identiche appena “presi in carico”, questi uomini dall’aspetto spesso cadaverico vengono disabituati con la forza, trascorrono le loro giornate sdraiati sui letti nei dormitori o rannicchiati nelle aree esterne. Poco usato il metadone, anche per la scarsa disponibilità, mentre per i consumatori di metanfetamina, derivata dalla fiorente coltivazione dell’efedra, non esiste alcun farmaco a base di vitamine e calmanti naturali.

All’interno del centro di pseudo-recupero la vita è regolata da “capetti”, anch’essi tossicodipendenti, che si comportano come arcigne guardie carcerarie, incrementando i maltrattamenti e le vessazioni. Come in un film tragicomico, in questi ultimi giorni mentre il potere talebano glorifica la sua lotta contro i tossicodipendenti, la raccolta della cannabis è in pieno svolgimento. L’Afghanistan nel 2021 sarà il più grande produttore mondiale di oppio; ma è forse questo che cercavano i Talebani o è l’applicazione dei “loro” valori islamici?


di Fabio Marco Fabbri