Libia: la tomba dell’etica

giovedì 9 dicembre 2021


Dopo il drammatico “fiasco mesopotamico” (Iraq-Siria), la débâcle in Afghanistan, e il caso Libia tuttora nel mezzo del guado, gli “strateghi” occidentali, scartato l’utilizzo della potenza militare e semi-esaurite le influenze diplomatiche, stanno rivedendo al ribasso i propri obiettivi. Tuttavia, l’avere escluso, per ora, la fallimentare e dannosa carta dell’interventismo fa affiorare nuovi rischi in un sistema geopolitico assolutamente interdipendente.

A fine novembre e a un mese dalle elezioni libiche, l’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Ján Kubiš, ha rassegnato le sue dimissioni, testimoniando la gravità della situazione in un panorama elettorale molto complesso e sicuramente molto combattuto. Lo slovacco Kubiš fu nominato a gennaio, ma dopo nemmeno un anno ha rassegnato le sue dimissioni, che il 23 novembre, secondo una formula diplomatica, sono state accettate dal segretario generale dell’Onu, António Guterres. Dovrebbe succedergli, in tempi brevissimi, l’ex ambasciatore britannico Nicholas Kay, che fu inviato speciale delle Nazioni Unite in Somalia dal 2013 al 2016. Dubbi sulle capacità diplomatico-strategiche di Ján Kubiš c’erano state sin dalla sua nomina. La complessità libica necessita di sforzi notevoli, in quanto gli interlocutori libici sono molti e quelli non libici maggiori. Kubiš non è riuscito a comprendere a pieno l’articolata e complessa situazione, forse troppo prevenuto e sicuramente poco energico; ha con eccessiva fretta avallato le leggi elettorali elaborate in maniera discutibile e adottate, a settembre, dalla Camera dei Rappresentanti a Tobruk. Questa legge elettorale sembra sbilanciata sugli interessi dei leader del campo orientale, per primo il maresciallo Khalifa Haftar, che ha guidato la guerra contro Tripoli, e Aguila Saleh Issa, presidente della suddetta Camera, entrambi candidati alla presidenza; le elezioni sono stabilite per il 24 dicembre.

Ján Kubiš ha fallito perché incapace, soprattutto dopo questo ultimo caso, di mediare tra i due principali campi rivali dell’est e dell’ovest. Infatti, dopo l’approvazione della Legge elettorale a Tobruk, il 23 novembre il Consiglio superiore di Stato, Camera alta con sede a Tripoli, ha denunciato per l’ennesima volta la “Legge elettorale” che è in diretta violazione degli articoli costituzionali. Riporta il quotidiano Libya Observer che se le elezioni saranno svolte con tale legge, saranno oggetto di impugnazioni legali per la loro validità; con la certezza di far affondare nuovamente la Libia nel caos.

Intanto anche nella regione del Fezzan si registrano scontri tra i sostenitori del maresciallo Haftar e quelli di Saif al-Islam Gheddafi, figlio del rimpianto ex presidente Muammar Gheddafi. Sebbene l’Alta commissione elettorale nazionale (Hnec), non sia in grado di garantire un voto libero e credibile – ma questo lo ritengo un dettaglio trascurabile visto che ciò si verifica quasi ovunque – continua a prepararsi per l’ipotetico primo turno delle elezioni presidenziali in cui concorrono 98 candidati. Probabilmente i libici speravano che queste elezioni avrebbero fatto tramontare quelle figure che hanno afflitto la Libia per dieci anni. Ma sarà impossibile non solo liberarsi di “quelle figure”, ma anche liberarsi di quelle nazioni, ben note, che hanno causato la “catastrofe libica” e poi “rapacizzato” le immense risorse della regione. Inoltre, secondo l’Onu, la presenza costante di mercenari russi, del Sudan, del Ciad e jihadisti siriani filoturchi rappresenta ancora una seria minaccia. Come è ancora alto il numero di violazioni accertate dell’embargo sulle armi imposto alla Libia.

Un recente dossier, teoricamente riservato, elaborato sul periodo gennaio-novembre, presentato recentemente ai quindici membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma che come spesso accade è trapelato a favore di alcuni colleghi giornalisti, rivela che anche se il ritmo di consegna degli armamenti è meno intenso, l’embargo sulle armi rimane totalmente inefficace. In questo studio/dossier emerge anche che le ispezioni sulle catene di approvvigionamento da parte di alcuni Stati membri Ue, ostacola in modo significativo il controllo, l’impedimento e il divieto delle consegne di armi. Considerazione che quantomeno fa riflettere. In realtà sulla base di quanto rilevato, detti trasferimenti/traffici, dimostrano che le scorte di armi restano elevate e sufficienti per alimentare eventuali conflitti futuri. Va considerato che la maggioranza del Paese rimane sotto controllo di gruppi armati libici, i quali beneficiano di un approccio accondiscendente da parte delle autorità provvisorie. A oggi nonostante la volontà libica di allontanare i mercenari dal Paese, le parti contendenti conservano ancora combattenti stranieri tra le loro forze, pagati tra 900 e 2500 dollari mensili, come detto mercenari del Ciad, Sudan, Siria e Wagner russi.

Dal “Dossier” emerge che gli scali libici fanno ancora il “gioco” dei voli militari stranieri, come quelli della Libia orientale, Cirenaica, che vengono utilizzati dai Wagner per voli prevalentemente verso la Repubblica Centrafricana; o come quelli della Tripolitania che vengono utilizzati dagli alleati dell’ex primo ministro libico, Fayez al-Sarraj, e dai caccia stranieri. Tuttavia, il Documento rileva che nel 2021 si è verificata una diminuzione del 64 per cento dei “traffici”, rispetto al 2020, sui ponti aerei verso la Libia dalla Turchia, mentre dalla Siria la compagnia siriana Cham Wings Air ha contribuito a un aumento dei collegamenti con la Libia del 71 per cento, probabilmente a causa della “rotazione” di caccia stranieri. Anche i collegamenti con gli Emirati Arabi Uniti e Russia, hanno avuto una flessione. Il documento rivela anche addebiti alla Francia per operazioni, effettuate a settembre dai transalpini, nel sud della Libia contro il Fronte per l’alternanza e la concordia in Ciad, (Fact); accuse ovviamente respinte da Parigi.

Come vediamo dietro alle elezioni – come dietro alla deposizione di Muammar Gheddafi – esistono noti interessi e procedure diplomatico-strategiche, che esulano dalle vere necessità di uno Stato nordafricano crocevia di immensi interessi, canale principale della problematica migratoria italiana ed europea e “tomba dell’etica internazionale”.


di Fabio Marco Fabbri