Siria: Bashar al-Assad abolisce la carica di Gran Mufti

lunedì 22 novembre 2021


L’agenzia di stampa Sana martedì ha annunciato che il presidente sciita alawita Bashar al-Assad, con un decreto, ha abolito la carica di Gran Mufti di Siria. Chi riveste tale incarico rappresenta la massima autorità religiosa dell’Islam nel Paese. Il decreto, che delibera e formalizza questa decisione, è entrato in vigore lunedì 15 novembre; in pratica la soppressione del ruolo religioso pone in riposo lo sceicco, classe 1949, sunnita, Ahmad Badreddin Hassoun, che ricopriva la carica di Gran Mufti dal 2005. Le competenze del vertice religioso sono ora trasferite al Consiglio di Giurisprudenza Islamica, un organismo dipendente dal ministero del Waqf, che è una sorta di fondazione che gestisce i beni e gli “affari religiosi. Questo organo consiliare assumerà tutte le responsabilità prima prerogativa del Gran Mufti, come emettere pareri sugli affari religiosi, sulla gestione dei beni e determinare il calendario lunare.

La decisione della soppressione del verticistico ruolo religioso arriva dopo numerosi tentativi, da parte del Governo siriano, di poter mettere sotto controllo i “contatti” e i numerosi affari che orbitano attorno al business religioso. Tuttavia, l’agenzia Sana non ha dato spiegazioni particolareggiate, né fornito dettagli sulle vere motivazioni di tale operazione. Nel 2018, tramite un decreto emesso dal presidente al-Assad, veniva ridotto a tre anni il mandato del Gran Mufti, che fino ad allora era a tempo indeterminato. Inoltre, nel quadro della ridistribuzione dei poteri sugli “affari religiosi”, al-Assad aveva delegato al ministero del Waqf la facoltà di nominare il Mufti, peculiarità che prima era nelle competenze del presidente. La reazione sui social fu negativa, in quanto veniva denunciata l’ingerenza dello Stato negli affari religiosi, quindi la non separazione tra il potere politico e quello religioso (utopia); ma altri sostenevano che era piuttosto una operazione atta ad esercitare un controllo sulla galassia di ambiguità che abbracciano la “dialettica religiosa”, al fine di combattere l’estremismo.

Questa riorganizzazione interna della Siria fa eco agli sforzi diplomatici che stanno riavvicinando la diplomazia siriana con quella degli Emirati Arabi Uniti. Un riavvicinamento che sa anche di riabilitazione della Siria dopo dieci anni di guerra e di atrocità consumate, come si consumano normalmente durante un conflitto bellico. Infatti, Bashar al-Assad ha ricevuto il 9 novembre a Damasco il ministro degli Esteri degli Emirati, lo sceicco Abdullah bin Zayed Al Nahyan. Tuttavia, ricordando che le “fondamenta” siriane non sono crollate grazie ai “puntelli” russi, l’incontro diplomatico tra Siria ed Emirati Arabi Uniti ha destato la contrarietà del ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed Bin Abderrahmane Al Thani, le perplessità della Turchia e le “ire” di Washington, che venerdì 12 novembre ha intimato agli Emirati di porre fine al riavvicinamento con la Siria. Le motivazioni ufficiali sono l’assenza dell’impegno, da parte di Bashar Al-Assad, di “ammettere” le atrocità commesse sulla popolazione civile, nel decennio di guerra che ha visto Damasco combattere contro i jihadisti sia interni che esterni alla Siria. Ma tale intimidazione, verosimilmente, avrà poco o per nulla seguito nel contesto arabo.

Gli Emirati Arabi vedono Assad come un interlocutore ragionevole e un attore che resterà sul palcoscenico ancora per molto, quindi è strategico ripristinare i rapporti al fine di avere quantomeno una qualche forma di influenza su Damasco, piuttosto che lasciare il campo completamente libero all’Iran sciita e alla Russia, solidi alleati di Assad. Non è la prima volta che Abu Dhabi funge da “mediatore” tra Arabia Saudita e Qatar con la Siria, anche per attenuare la politica di isolamento esercitata sulla stessa Siria, che ricordo fu esclusa dalla Lega Araba nel 2011. Abu Dhabi, inviando il ministro degli Esteri Al Nahyan a Damasco, ha formalmente ripreso i suoi contatti con Assad con lo scopo, oltre che riabilitare il presidente al-Assad nelle diplomazie arabe, di favorire il ritorno della Siria all’interno dello “steccato arabo”. Inoltre, la Siria desta ancora forti preoccupazioni tra i Paesi del Golfo, per l’espansione sul proprio territorio dei movimenti islamisti.

Probabilmente, la soppressione della carica di Gran Mufti – forse giudicata non troppo lontano dalla “dialettica estremista” – e il riavvicinamento con gli Emirati sono due carte giocate in modo cruciale sullo stesso “tavolo geopolitico”.


di Fabio Marco Fabbri