lunedì 15 novembre 2021
Il giornalista che rimescola le carte nella politica francese
Il Financial Times lo definisce un “estremista di Destra”. Per il New York Times è “l’esperto di Destra”. Per Die Zeit, è “l’uomo che divide la Francia”... Éric Zemmour, giornalista e saggista, non è (ancora) un candidato ufficiale alla presidenza francese, ma a causa della sua popolarità, la Francia vive già in tempo di elezioni.
Mancano circa duecento giorni alle elezioni presidenziali, ma non passa settimana senza che un sondaggio spinga Éric Zemmour sempre più in alto nelle proiezioni elettorali del 2022. Un sondaggio condotto dall’agenzia demoscopica Harris Interactive, pubblicato dal magazine Challenges il 6 ottobre scorso, lo colloca al 17 per cento davanti a Marine Le Pen, la candidata di Rassemblement National (la quale si attesta al 15 per cento, in calo di 13 punti dall’estate). Zemmour rimane ancora dietro il presidente in carica Emmanuel Macron, proiettato al 24 per cento. Ma per quanto tempo?
Viste dall’estero, le intenzioni di voto al 17 per cento a favore di Zemmour possono sembrare basse. Ma in Francia, le elezioni presidenziali sono una competizione a due turni. I sondaggi qui citati riguardano solo il primo turno, dove potrebbero esserci 25 candidati in lizza. Di conseguenza, le intenzioni di voto al primo turno sono necessariamente frammentate. Se le elezioni si svolgessero la prossima settimana, gli unici due candidati al secondo turno sarebbero Marcon e Zemmour.
“Mai prima d’ora abbiamo visto un’ascesa così fulminea in così poco tempo”, afferma Jean-Daniel Lévy, vicedirettore della Harris Interactive. “Stiamo assistendo al crollo del cuore stesso dell’elettorato” di Marine Le Pen.
Ma chi è Éric Zemmour? È l’uomo che ha sfondato il “soffitto di vetro” per inserire nei media argomenti di discussione come “l’immigrazione” e “il jihad”, di cui nessuno aveva mai osato parlare pubblicamente. È un uomo che incarna la paura di vedere la Francia tradizionale – quella dei campanili e della “baguette” – scomparire sotto i colpi del jihad e del politicamente corretto.
Un libro pubblicato da Zemmour il 16 settembre scorso e intitolato La France n’a pas dit son dernier mot (La Francia non ha ancora detto la sua ultima parola ) tratta il tema dell’identità nazionale. Questo saggio ha venduto centomila copie nella prima settimana. Zemmour rappresenta la Francia di un tempo: la Francia di Napoleone, Notre Dame de Paris e del generale Charles de Gaulle, una Francia che non vuole diventare una Repubblica islamica. “Il pericolo per la Francia è quello di diventare un secondo Libano”, dice spesso Zemmour, intendendo un Paese frammentato tra comunità settarie che si odiano e si temono a vicenda.
Zemmour non è un politico professionista. Ha iniziato come reporter politico al quotidiano Le Figaro negli anni Novanta, ma poiché era brillante, formulava giudizi impetuosi sui politici francesi e comprendeva profondamente la cultura politica e storica, iniziò ad essere invitato nei programmi radio-televisivi. Le Figaro gli ha offerto una rubrica fissa, e nel 2006 è diventato un’autentica star televisiva. La sua partecipazione per cinque anni a “On n’est pas couché”, talk-show del sabato sera, lo ha fatto conoscere a tutta la Francia. Nel 2015, il conduttore del programma, Laurent Ruquier, si è pentito di aver collaborato con Zemmour. “Non pensavamo che sarebbe apparso un mostro”, ha dichiarato Ruquier.
Perché Zemmour è “un mostro”? Perché afferma che “i francesi di origine immigrata sono più controllati di altri perché la maggior parte dei trafficanti sono neri e arabi. (...) Questo è un dato di fatto”. Zemmour è stato condannato in tribunale per aver detto questo, non perché fosse una bugia, ma perché una tale affermazione è impossibile da dimostrare. La legge francese ha rifiutato di utilizzare le statistiche etniche così come esistono in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.
Zemmour sconcerta perché afferma che la Francia ha smesso di essere la Francia il giorno in cui ha permesso ai genitori di origine straniera di dare nomi africani o musulmani ai propri figli (Mohammed è il nome più diffuso nei sobborghi parigini). Il giornalista francese dice di voler ripristinare una legge del XIX secolo che obbligava tutti i cittadini francesi a “dare nomi francesi” ai propri figli. Zemmour esige inoltre che la Francia non sia più assoggettata all’autorità dei giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Corte europea dei Diritti dell’Uomo: sono loro, a suo dire, che impediscono il rimpatrio dei criminali stranieri.
È anche intransigente sulle questioni sociali: è contrario alla riproduzione assistita (“Voglio che i bambini abbiano un padre e una madre”), alla propaganda transgender nelle scuole, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, e alla militanza Lgbt a scuola. Zemmour non è anti-omosessuale, sta solo dicendo che le “lobby Lgbt” e le “minoranze” sono in guerra con la Francia proprio come gli islamisti sono in guerra con tutti i Paesi occidentali.
Zemmour non è popolare perché fa commenti provocatori sull’immigrazione o sui diritti Lgbt, ma perché desta nei media delle preoccupazioni che in precedenza erano espresse solo in famiglia o tra amici. Negli ultimi sondaggi, la sua popolarità cresce perché sta esportando il dibattito dalla sfera dei media a quella politica. Ed è anche l’uomo che ha detto: “Se non mi candidassi, deluderei molte persone”.
E invece, per molte ragioni, Zemmour ha la possibilità di essere il prossimo presidente. Primo, perché Macron ha dimostrato che può vincere un individuo che non appartiene a nessun partito politico. L’atipicità è quindi replicabile.
Inoltre, la Costituzione del 1958 che ha dato vita alla Quinta Repubblica è interamente costruita per creare un’eccezionale unione d’intenti con il popolo francese. Questo sistema è stato ideato per il generale de Gaulle e votato direttamente dal popolo francese. Da quel punto di vista, la sinergia tra Zemmour e i francesi è già una realtà. Quando il saggista ha organizzato la promozione del suo ultimo libro, migliaia di persone si sono precipitate a stringergli la mano.
Ci sono anche altre ragioni che spiegano l’eccezionale popolarità di Zemmour. Innanzitutto, la popolazione francese attualmente è divisa in diversi “segmenti di pubblico” o centri d’interesse. In Francia, nell’ambito politico, la caratteristica principale di tutti questi “segmenti di pubblico” è un “sentimento di angoscia e di rabbia” contro le élites che hanno promosso l’immigrazione di massa senza consultare la popolazione autoctona. Il Confidence Barometer, un sondaggio pubblicato ogni anno in Francia dal Cevipof, il centro di ricerca dell’Istituto di Studi Politici di Parigi, è un buon indicatore “della stanchezza, del malumore e della sfiducia” che la maggioranza della popolazione francese sembra provare nei confronti della politica classe.
Uscire dall’attuale trappola elettorale
L’ascesa fulminea di Zemmour ha avuto un secondo effetto: ha rotto una degradante trappola elettorale in cui i francesi sono bloccati. Tale trappola elettorale è stata ideata a metà degli anni Ottanta dal presidente socialista francese François Mitterrand per dividere la Destra e impedirle di tornare al potere. Mitterrand ha promosso nei canali televisivi e radiofonici di proprietà nazionale un microscopico partito di estrema Destra, il Front National, il primo che ha osato parlare contro l’immigrazione.
Dalla metà degli anni Ottanta fino ad oggi, i media e la Sinistra, insieme, hanno fabbricato una macchina della vergogna della forza industriale per stigmatizzare come “razzista” e “nazista” chiunque osasse alzare la voce sui temi dell’immigrazione.
Questa politica della vergogna è stata così forte che di recente anche Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (come è ora chiamato il Front National), ha cercato di sfuggire allo stigma di essere definita “nazista” dicendo cose positive sull’immigrazione musulmana e non escludendo l’uso dell’immigrazione per colmare una presunta carenza di manodopera.
Ma con Zemmour, i media antirazzisti ora lavorano nel vuoto. Più i media cercano di stigmatizzare Zemmour come un “nazista”, maggiore è la popolarità tra i suoi elettori.
Inoltre, i leader del partito di Destra Les Républicains, che non hanno osato pronunciare la parola “immigrazione”, ora propongono di “porre fine al lassismo migratorio” e di fermare ”l’immigrazione incontrollata”. Anche Macron ha ammesso che Zemmour “aveva ragione” sull’immigrazione.
La lotta di Zemmour è appena iniziata. Una cosa, però, è certa: Zemmour sta ripristinando un autentico dibattito democratico su temi come la sicurezza, l’immigrazione e l’Islam, che contano davvero per i francesi. Per molti, Zemmour è l’ultima possibilità per la Francia di non diventare una nazione islamica o un “Libano in Europa”.
(*) Tratto dal Gatestone Institute - Traduzione a cura di Angelita La Spada
di Yves Mamou (*)