La lunga partita di Huawei

martedì 9 novembre 2021


Alla fine di settembre, Meng Wanzhou è scesa dall’aereo dell’Air China, a Shenzhen, accolta da eroina. È stato il ritorno trionfante di un’innocente dirigente tecnologico cinese da un’ingiusta detenzione da parte dell’Occidente. La verità è ben diversa.

Meng Wanzhou, cittadina cinese, si trovava sul suolo canadese nel 2018 quando l’amministrazione Trump ha avviato contro di lei le procedure di estradizione per rispondere delle accuse di frode finanziaria insieme al colosso cinese delle telecomunicazioni e per aver potenzialmente violato le sanzioni imposte all’Iran dagli Stati Uniti. In Canada, la prigionia definita dalla donna “un abisso” è consistita nel portare un braccialetto alla caviglia e godersi un soggiorno prolungato a Vancouver, dove lei, Cfo di Huawei, era libera di esplorare la città di giorno, alloggiando a casa sua lì e prendendo lezioni di pittura e di inglese.

Come azienda cinese di grande importanza strategica e commerciale per Pechino, Huawei è stata a lungo considerata con sospetto dalle nazioni occidentali per i suoi tentativi di dominare la comparsa della rete 5G. I suoi prodotti e servizi di rete competono con quelli delle aziende occidentali che non sono sotto il controllo dei loro governi. Le minacce di controllo e i potenziali attacchi informatici da parte delle apparecchiature Huawei alle infrastrutture di telecomunicazioni di altre nazioni sono note da tempo. Nel 2013, il Joint Intelligence Committee britannico spiegò al Parlamento il rischio di un cyber-attacco: “Sarebbe molto difficile da rilevare o prevenire e potrebbe consentire ai cinesi di intercettare di nascosto o interrompere il traffico che passa attraverso le reti fornite da Huawei”.

Le preoccupazioni espresse dagli Stati Uniti nei confronti di Huawei riguardano il fatto che l’utilizzo di apparecchiature prodotte da un’azienda cinese, che ha legami così stretti con il governo di Pechino, per delle infrastrutture strategiche sia un rischio inaccettabile per la sicurezza, ma tali preoccupazioni riguardano anche il fatto che pur frenando la presenza di Huawei negli Stati Uniti, il gigante tech manterrà la leadership americana nella tecnologia 5G. Date le dichiarazioni del fervido fondatore dell’azienda, Ren Zhengfei, non è difficile capire perché gli Stati Uniti potrebbero essere sospettosi. “Avanzate con nuovo slancio, uccidendo mentre procedete, per lasciarci una scia di sangue”, ha così esortato il tycoon i suoi dipendenti, un mese dopo l’arresto in Canada della figlia, secondo una trascrizione vista dal Wall Street Journal . I cinesi avrebbero poi affermato che la traduzione di quelle parole infuocate era “troppo letterale”.

Letteralmente o figurativamente che sia, le azioni dell’azienda di Shengen e la vicinanza al regime e all’esercito cinese sono state sufficienti per gli australiani, il cui governo ha bandito Huawei dal mercato delle telecomunicazioni australiano. Il problema è la fiducia tra le nazioni nel cyberspazio, ha scritto Simeon Gilding, ex capo dell’Australian Signals Directorate, responsabile dell’attività di raccolta delle informazioni mediante l’intercettazione e l’analisi di segnali e delle missioni informatiche offensive. “Semplicemente non è ragionevole aspettarsi che Huawei rifiuti di seguire un’istruzione da parte del Partito comunista cinese”.

Sì, proprio così. È essenziale che gli imprenditori lo capiscano: non esiste un’impresa privata in Cina. Quanto rilevato da Gilding evidenzia la legge esistente nelle Repubblica Popolare cinese: tutte le aziende e gli individui cinesi devono contribuire all’attività d’intelligence, se richiesto.

Due giorni dopo l’arresto di Weng Wanzhou a Vancouver, Pechino ha giocato sporco con il Canada, arrestando due canadesi in Cina per “spionaggio”. Uno, Michael Spavor, era un imprenditore che organizzava tour turistici in Corea del Nord. L’altro, Michael Kovrig, era un ex diplomatico canadese presso l’ambasciata di Pechino prima di entrare a far parte di un think tank chiamato International Crisis Group. I due uomini sono stati tenuti spesso in isolamento e sottoposti a interrogatori della durata di otto ore senza consulenza legale. In un miracolo di coincidenza, entrambi gli uomini sono stati rilasciati dalla prigione lo stesso giorno in cui la Meng ha fatto il suo ritorno trionfale tra gli applausi dei suoi colleghi della Huawei, a Shenzhen.

Huawei non sta affatto frenando. Nonostante sia ancora soggetta a restrizioni in materia di telecomunicazioni imposte dall’amministrazione Trump, l’azienda cinese ha ricevuto centinaia di richieste da parte dell’amministrazione Biden per l’acquisto di chip per la sua attività di fornitura automobilistica. La società, secondo un portavoce, mira ad essere un fornitore di componenti per “veicoli connessi intelligenti”.

Il gigante cinese delle telecomunicazioni ha tenuto il piede in due staffe a Washington per diversi anni, ingaggiando lobbisti e studi legali per difendere i propri interessi. Tra gli altri spiccano lo studio legale dell’ex speaker repubblicano della Camera dei Rappresentanti John Boehner, Squire Patton Boggs. Huawei ha assunto gli ex membri del Congresso Don Bonker, un democratico, e il repubblicano Cliff Stearns dopo la scadenza del loro mandato. A luglio, il super-lobbista democratico Tony Podesta è stato ingaggiato come “consulente” da Huawei. In un post pubblicato dalla società cinese si legge che l’assunzione faceva parte di “un’estesa operazione di influenza degli Stati Uniti”.

Huawei impiega anche uno studio legale di Washington, Sidley Austin, per gestire i suoi interessi nella capitale. Questo studio ha rappresentato anche Meng Wanzhou nella sua battaglia vittoriosa per evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Christopher Fonzone, un socio di quello studio legale, si è visto di recente confermare la nomina annunciata da Biden di consulente legale presso l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale, nonostante le obiezioni repubblicane. Veterano dell’amministrazione Obama, Fonzone aveva trascorso gli anni dell’amministrazione Trump a consigliare i clienti su “sicurezza informatica e protezione dei dati, operazioni militari e di intelligence, contenziosi e altre forme di risoluzione delle controversie, sanzioni sul commercio estero e questioni relative al Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti (Cfius)”, secondo il suo profilo LinkedIn, che prosegue aggiungendo: “Ha anche una particolare esperienza nell’assistere i clienti nella gestione delle situazioni di crisi”.

(*) Tratto dal Gatestone Institute - Traduzione a cura di Angelita La Spada


di Peter Schweizer (*)