Sudan: tra colpi di Stato, servizi segreti israeliani ed egiziani

giovedì 28 ottobre 2021


Lunedì 25 ottobre in Sudan si è celebrato un nuovo colpo di Statocesellato” su uno sfondo di lotte di potere geopolitico e regionale. Dopo settimane di tensione i militari hanno rovesciato le autorità di transizione, arrestando molti ministri e il capo del Governo Abdallah Hamdok, che è stato scortato, sembra ai domiciliari, e messo sotto stretta sorveglianza. A capo del “consueto e ordinario” colpo di Stato è il generale Abdel Fattah Al-Burhan, che ha annunciato, lunedì stesso, che molti ministri, leader politici e personalità civili del Sudan, sono agli arresti in località segrete, annunciando inoltre lo scioglimento di tutte le istituzioni del Paese.

Questo colpo di Stato compromette fortemente la transizione iniziata dopo quasi trent’anni di dittatura. Infatti, sulla scia degli “Accordi di Abramo”, i governanti “di transizione” sudanesi avevano avviato una serie di contatti con Gerusalemme, supportati dalla mediazione degli Stati Uniti e degli Emirati Arabi Uniti. Questi incontri erano iniziati in modo concreto subito dopo l’eclissi del regime dell’ex presidente Omar Hasan Ahmad al-Bashir nell’aprile 2019. I successori dell’ex dittatore Bashir, molti ora agli arresti, si sono considerati sin da subito un antidoto diretto alla sua politica e alla sua linea governativa che lo ha visto appoggiare la fazione islamista. Con l’obiettivo di capitalizzare questa nuova posizione politica, il Governo di transizione aveva avviato negoziati e contatti con i numerosi nemici che Bashir si era creato durante decenni di totalitarismo. In epoca Bashir, il Sudan, aveva ospitato amichevolmente i membri di Hamas e anche vari gruppi jihadisti, inoltre è stato un canale e un mercato aperto per il traffico delle armi e per i rifornimenti diretti verso la Striscia di Gaza. Così, all’inizio di ottobre, una delegazione militare sudanese aveva visitato, senza troppi clamori, Israele. Per due giorni gli ufficiali, tra i quali era presente il generale Mirghani Idris Suleiman (capo dei sistemi di difesa dello Stato, ora probabilmente detenuto), hanno incontrato le loro controparti israeliane. Una visita che ha suscitato polemiche, perché in Sudan, come in altri Paesi del Continente africano, si discute, spesso con critiche, dell’avvicinamento e della “normalizzazione dei rapporti” con lo Stato ebraico.

Tuttavia, in questo dedalo di “influenze internazionali” un ruolo se lo è ritagliato un partener importante “dell’Accordo di Abramo”, l’Egitto. Infatti, la presa del potere da parte dell’esercito sancisce, con pochi dubbi, la forte influenza dell’Egitto verso i generali, arrivando a sminuire il ruolo degli Stati Uniti, come sappiamo molto impegnati “nell’affaire” della transizione democratica. A testimonianza di tale affermazione una foto pubblicata dalla pagina ufficiale Facebook della presidenza egiziana il 6 marzo 2021 che mostra il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi e il capo del Sovrano Consiglio del Sudan, il generale golpista Abdel Fattah Al-Bourhane, durante una conferenza stampa a Khartum. Un colpo di Stato annunciato? E perché gli Usa nonostante la Cia e servizi segreti israeliani, Mossad, non sono riusciti a prevenirlo?

Certo la situazione sudanese post Bashir è complessa. Tecnicamente, il generale Al-Bourhane governava il Paese già prima del golpe, ma in una situazione di condivisione forzata del potere, e nell’ambito di una scadenza legata a un calendario di transizione, il che significa che dal 17 novembre sarebbe terminata la prima parte della transizione potenzialmente a beneficio di un leader civile, mentre le votazioni sono previste nel 2023. Ufficialmente e apparentemente, né l’Egitto, né gli Usa, né le varie forze militari e politiche interne ed esterne al Sudan, erano al corrente o hanno avallato questo golpe. Ora il colpo di Stato mette in discussione i difficili equilibri di potere interni e le alleanze nel Corno d’Africa, dove si moltiplicano le influenze esterne. Queste tensioni in questa complessa regione coinvolgono sia le ambizioni statunitensi di contrastare la Cina, sia quelle della Russia di estendere la sua area di influenza, sia le mire dei paesi del Golfo, della Turchia e di altri attori meno visibili ma noti, a cui il caos crescente offre enormi vantaggi.

Inoltre, l’Etiopia sta conducendo una pericolosa, per ora teorica, “guerra dell’Acqua” contro l’Egitto, e cerca freneticamente un sostegno esterno, soprattutto dalla Turchia. Il fragile potere somalo è sull’orlo del collasso. Solo il Sudan, per quasi due anni, era stato visto come un polo di stabilità in divenire e una vetrina per le virtù di una forma di “pseudo democrazia” nell’Africa orientale, al punto da aver assunto una importanza senza precedenti sullo scenario internazionale. Ricordo che il generale Al-Bourhane annunciò, nel febbraio 2020 a Kampala, in Uganda, la “normalizzazione” dei rapporti con lo Stato ebraico. Chiaramente il “piano” aveva un “respiro geopolitico”, favorendo i progetti di Washington, alleato di Israele. Adesso, solo al comando del Paese, il generale Al-Bourhane, martedì, ha ribadito il suo sostegno a questa normalizzazione: un messaggio diretto agli Stati Uniti? Da questo momento inizia un’altra fase, sullo sfondo delle lotte per l’influenza che prevalgono sulle aspirazioni dei popoli. Ricordando il film “Casablanca” del 1964, dove il ruolo della “diplomazia segreta” (o spie), ostentava un formidabile fascino, dato soprattutto dalle sue imperscrutabili ombre.


di Fabio Marco Fabbri