Assange, è iniziato il processo d’appello sull’estradizione

mercoledì 27 ottobre 2021


L’Alta Corte di Londra deve pronunciarsi sul caso di Julian Assange. È iniziato il processo d’appello sul ricorso presentato dalle autorità statunitensi contro la decisione di primo grado con cui la giustizia britannica ha negato, nel gennaio scorso, l’estradizione del cofondatore australiano di WikiLeaks verso gli Stati Uniti. Sono previste due udienze, oggi e domani, mentre per il verdetto finale potrebbero essere necessarie diverse settimane o, addirittura, mesi. Fuori dall’aula si sono riuniti stamattina diversi attivisti per invocare libertà per il 50enne australiano. Il giornalista e attivista australiano è detenuto in attesa d’una decisione nel carcere di massima sicurezza inglese di Belmarsh ormai da due anni, pur non avendo più alcuna pendenza penale nel Regno Unito, dopo i 7 trascorsi da rifugiato nell’ambasciata londinese dell’Ecuador e la successiva scelta di Quito di scaricarlo di fronte alle pressioni americane.

I legali di Assange promettono battaglia, dopo quanto si è appreso di recente sui piani che la Cia avrebbe predisposto nel 2017, sotto la presidenza di Donald Trump e la guida di Mike Pompeo, per rapire Julian quando ancora si trovava nell’ambasciata ecuadoriana. Un fatto è certo: Assange rischia, se estradato, una pena fino a 175 anni negli Stati Uniti, dove gli si dà la caccia da oltre un decennio, a seguito della divulgazione di documenti segreti diffusi fin dal 2010 da WikiLeaks, attraverso alcune delle più prestigiose testate giornalistiche al mondo. Documenti fra cui spiccano i file del Pentagono trafugati dall’ex militare Chelsea Manning contenenti rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e in Iraq.

La giudice britannica di primo grado Vanessa Baraister aveva negato l’estradizione di Assange, pur rifiutando di accogliere le argomentazioni della difesa contro la legittimità di un’inchiesta denunciata da più parti come una vendetta politica e una minaccia alla libertà d’informazione, sulla base di una perizia medica che ipotizzava rischi di suicidio per l’imputato.


di Ugo Elfer