Le Twin Towers di Kabul: la vittoria dei miliziani in ciabatte

lunedì 23 agosto 2021


Altro che “Boots-on-the-ground”! Qui a vincere (praticamente sparando in aria!) sono stati gli “Slippers-on-the-ground” indossati da miliziani ciabattanti vestiti di stracci e a cavallo di vecchie motociclette. Le uniche due ruote, tra l’altro, a potersi muovere agevolmente su strette piste bianche dissetate, che vengono giù dalle montagne o attraversano terreni aridi e sassosi. Questo, per il folklore. Poi, però, viene l’analisi politica vera e le cose non sono per niente da ridere. La risposta al prevedibilissimo e addirittura scontato, improvviso meltdown delle forze regolari (per modo di dire) afghane va articolata su alcuni grandi assi di ragionamento.

Il primo riguarda la vera natura del potere all’interno delle comunità musulmane mediorientali e asiatiche, collocando tra queste ultime Turchia e Afghanistan. A eccezione di India e Giappone, in cui le due rispettive religioni, induista e shintoista, si sono dimostrate compatibili con gli istituti laici liberal-democratici, in questa regione vasta e problematica, ogni volta che l’Occidente ha cercato di innestare con un intervento militare i propri canoni evangelici della democrazia liberale si è visto sconfitto su tutti i fronti: politico; diplomatico; militare. Tutto questo, dopo aver perduto parecchie migliaia di soldati, dilapidato molti miliardi di dollari e causato conflitti e guerre civili con milioni di altre perdite umane. L’Iraq, la Siria, la Libia e oggi l’Afghanistan ne costituiscono altrettanti esempi tristi ed eclatanti.

Quindi, ha ragione Joe Biden: si può sconfiggere militarmente il terrorismo, come è accaduto per Al Qaeda e l’Isis, ma non si possono impiegare in eterno corpi di spedizione per difendere i diritti civili, per i quali, dopo decine di anni di occupazione, gli stessi popoli “liberati” non hanno nessuna intenzione di combattere, una volta lasciati al proprio destino! E qui si arriva al nodo principale del ragionamento: che cos’è che l’Occidente e, soprattutto, gli Usa non riescono proprio a capire dai loro fallimenti a cascata? E perché solo all’America noi chiediamo di difendere in armi, liberandoci da autocrati e fondamentalisti islamici, i diritti civili che noi europei, pur essendo ricchi quanto gli americani, non riusciamo a esportare pacificamente in quei Paesi martoriati? Nello scenario attuale, di una America in ritirata, possiamo ancora sottrarci alle nostre responsabilità globali? Tanto più che, oggi, venendo meno gli equilibri di ieri tra Blocchi (comunismo contro capitalismo), non ha più senso chiedere a Washington di fare il guardiano del mondo, continuando a risparmiarci, noi europei, immense spese in armamenti in modo da mantenere intatta la fitta rete di protezione sociale, garantita da un welfare-State che tutto il mondo ci invidia. Sul primo punto (che cosa non abbiamo capito?), valgono un insieme ristretto di esempi e contro esempi, accomunati dallo stesso principio: reggono nel tempo, in Medio Oriente e dintorni, solo i regimi (laici o fondamentalisti) che nascono da solide radici interne.

Guardando al passato, i regimi di Nasser, Gheddafi, Saddam Hussein, Assad padre e figlio sono accomunati da matrici clanistiche e politico-sociali con caratteristiche interamente autoctone, per cui le cicliche perturbazioni interne sono state controllate con il massimo di decisionismo e pugno di ferro dai governi dittatoriali in carica. In passato, in Iraq e Siria prendono il potere uomini politici espressi dal Partito Baath socialisteggiante, sostenuti dai rispettivi gruppi etcnico-religiosi degli alawiti (una setta sciita) in Siria, e della componente sunnita di Tikrit nel caso dell’Iraq (entrambe, si noti bene, minoritarie!).

In Libia, invece, il regime dittatoriale si ispira inizialmente al socialismo nasseriano, per poi inventarsene di sana pianta uno fatto in casa, sorretto nella sostanza da un ferreo accordo tribale tra regime e capi clan, cui fa da collante l’assistenzialismo di Stato per la ridistribuzione a pioggia sulle varie tribù dell’ingente rendita petrolifera. Al contrario, tutte le volte in cui l’Occidente e gli Usa, in particolare, hanno plasmato con i complotti, la corruzione e i colpi di mano militari l’avvento di regimi accomodanti, come in Iran con lo Scià di Persia, l’Iraq post-2003 e l’Afghanistan post-2001, i risultati sono stati disastrosi, esattamente come quelli del Vietnam negli anni Settanta. Ancora una volta, Kabul come Saigon hanno dimostrato che, senza una profonda condivisione dei valori occidentali da parte delle popolazioni assistite militarmente ed economicamente dagli Usa, non è possibile cristallizzare il legame di struttura che tiene insieme le varie particelle del reticolo atomico di una intera società arcaica.

E questo è soprattutto vero nel caso di comunità musulmane governate per molti secoli da emiri e califfi, il cui Governo non è mai stato secolare, traendo esclusiva ispirazione dalla legge della Sharia islamica. In realtà nazionali frammentate in mille feudi tribali, in cui il senso dello Stato è semplicemente inesistente, occorrerà attendere forse secoli perché vi sia una crescita spontanea, favorita dallo sviluppo di un humus politico-ideologico interamente autoctono e maggioritario, per costruire le basi reali di una democrazia liberale ispirata al modello occidentale. Nel caso dell’Afghanistan questo orizzonte è lontano, lontanissimo, forse irraggiungibile. L’entropia del sistema afghano attuale è talmente elevata che per provare a diminuirla servirà di nuovo, con ogni probabilità, una guerra civile che vedrà contrapposti i warlord ai talebani di ritorno. Nell’interregno, gli Alunni di Dio mostreranno al mondo il volto accondiscendente di una tolleranza apparente, interamente giocata nell’ambito della propaganda mediatica, evitando mosse perdenti come quella del sequestro di ostaggi occidentali (nel tentativo di riavere indietro gli asset dello Stato afghano congelati nei forzieri statunitensi!), che li ostacolerebbe nei rapporti internazionali con Mosca e Pechino, indisponibili ad avallare una condotta simile!

Paradossalmente, l’Occidente (come fu per l’Impero Romano) continua a non accorgersi di quale sia il suo vero nemico, a parte l’Islamismo jihadista che pone ben altre sfide sul piano dell’ideologia e del conflitto politico-religioso planetario. I Governi democratici farebbero bene a prendere atto che le belle parole, i beau-geste e il politically correct rappresentano una vera e propria merce di quarta scelta per i regimi autocratici di Turchia, Russia, Iran e Cina che non hanno alcuna remora a intervenire con uomini armati negli scenari più caldi del Medio Oriente e asiatici, occupando immediatamente gli spazi lasciati vuoti dall'inconsistenza e dalla mancanza di coesione politico-militare dell’Occidente. Nel nostro mondo, infatti, si continua a proclamare i famosi valori comuni scritti sulla carta, anziché affermarli con opere (vedi le Vie della Seta cinesi) e robusti contingenti militari sul campo, come è accaduto in Siria e Iraq dove i mujahidin iraniani hanno riportato tutte le vittorie decisive contro i ribelli sunniti siriani e i fondamentalisti dell’Isis.

Il secondo, fondamentale asse di lettura si basa sull’incapacità dell’Occidente, e della sua Intelligence, di percepire la trama autentica della robusta filigrana su cui poggiano i rapporti di potere secolari, radicati nei territori occupati come l’Afghanistan. Si sta barricati nei compound della Green Zone, senza mai scendere nel corpo diffuso del popolo minuto, dei suoi piccoli e grandi problemi per dare conforto e soluzioni. I talebani hanno vinto perché in Afganistan non esistevano dittatori tipo Assad privi di scrupoli e disposti a tutto, pur di non consegnare il proprio Paese ai fondamentalisti, così come non è mai esistita una Nazione afghana, ma semplici feudi di signorotti e di capi tribù del tutto disinteressati a sottomettersi al comune Stato-Nazione. Vince chi dà loro di più, in assistenzialismo e protezione militare. Al momento dell’abbandono del protettore di turno, la loro fedeltà va alla famiglia e poi alla tribù di appartenenza.

Vincono i Talebani, che hanno addentellati, sinapsi, spie e sicari in tutte le più minute realtà locali, arrivati al potere assoluto attraverso il terrore, i favoritismi e l’immensa rendita del narcotraffico, conquistando con le armi e la propaganda ogni ettaro di territorio. La sconfitta dell’Occidente è tutta lì. Noi favoriamo gli empi e i corrotti. Loro muoiono volentieri per la Jihad. Sarà bene ricordarlo, per il futuro.


di Maurizio Guaitoli