Afghanistan: conflitto post-moderno e tradizione tribale

lunedì 23 agosto 2021


L’Afghanistan è stato negli ultimi 20 anni, conclusisi con la presa di Kabul da parte dei talebani, teatro di una guerra soprattutto culturale, di uno scontro di civiltà di nuovo tipo, “post-moderno”.

Si confrontavano da una parte l’individualismo occidentale in versione post-moderna e nichilista, portatore sì di diritti individuali, ma anche di pensiero debole iper-relativista eticamente indifferentista e disorientante, oltre che di meri “modelli tecnico-organizzativi”; dall’altra c’era il tribalismo tradizionalista (sostenuto dovunque, in maggior o minore misura, dalla religione islamica), garante di identità forte, di conservazione dell’ordine (sociale e sessuale) ancestrale e di continuità nella catena di trasmissione culturale tra le generazioni passate e quelle future.

Ha vinto il tam-tam della tradizione tribale e patriarcale nella sua versione più fondamentalista, maschilista e misogina. Ha vinto il grido millenario di dolore della tribù (e del tribalismo) contro la rottura dei legami, dei lignaggi, delle gerarchie sociali (e sessuali) ancestrali rappresentata dall’individualismo liberale in versione post-moderna. In Afghanistan quest’ultimo ha straperso la partita, ma solo perché, nelle sue versioni post-moderne, relativiste e nichiliste, l’individualismo non risponde più alla domanda fondamentale dell’esistenza: quella sul “senso” della vita, che innanzitutto chiede “chi sono?” (a partire dalla prima domanda del bambino, “che sesso ho?”, cfr. Jacques Lacan, “Lo stadio dello specchio”).


di Lucio Leante