Afghanistan: tra talebani, vecchi politici e signori della guerra

lunedì 23 agosto 2021


La “questioneafghana ha le caratteristiche di un conflitto di portata mondiale e si allinea con un’altra “questione”, quella d’Oriente, riguardante l’area mesopotamica. Le due vicende coprono un ambito di interesse geopolitico che annichilisce ogni considerazione sull’aspetto strettamente bellico. Come sappiamo, la cronicità della “crisi afghana” ha rappresentato l’inizio della sua ultima “scena” nel 2001. L’Afghanistan è un Paese musulmano, non arabo, confinate con il Pakistan; quest’ultimo, in linea di principio, è alleato con gli Stati Uniti ma in realtà sostiene la causa dei talebani, i quali a loro volta hanno “combattuto” contro gli Usa.

Questa lunga crisi, dalle cause profonde e relativamente antiche, è soprattutto la conseguenza degli spettacolari attentati dell’11 settembre 2001, commissionati a distanza dall’organizzazione araba islamista Al-Qaeda, i cui leader e molti dei loro sostenitori arabi avevano sede a Kabul, insieme ai capi di altri movimenti jihadisti. Queste realtà estremistiche hanno riconosciuto da tempo l’esistenza dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Il “loro” emirato era stato istituito da una organizzazione islamista afghana che proveniva dal Pakistan, dove erano stati formati studenti guerrieri religiosi, i “talebani”: “taleb” in arabo significa “studente della scuola coranica”. Questi talebani, intervenendo in una lunghissima guerra civile, iniziata dopo la partenza dell’esercito sovietico nel 1988 e mentre si ipotizzava che questo Paese avrebbe trovato un equilibrio pacifico, si schierarono in tutta una serie di conflitti tra tribù, conquistando varie regioni dell’Afghanistan.

Per venti anni, durante la guerra contro gli Stati Uniti e il regime di Kabul, il movimento talebano è stato coperto da segretezza. Infatti, non sono mai trapelate le identità vere dei suoi leader, né tantomeno la loro concezione di Governo. Dopo la fulminea vittoria del 15 agosto, i nuovi padroni dell’Afghanistan stanno mostrando i propri “profili”, definendo i contorni del loro nuovo Esecutivo e cercando di apparire in pubblico, dandosi un’immagine di “statisti moderati” e cautamente aperti, ma sottolineando l’imprescindibile applicazione della legge coranica, la sharia. In questo quadro, che li vede ormai “ricercati” dalla diplomazia internazionale per i più disparati motivi, e con la volontà di crearsi un’immagine di responsabilità e consapevolezza dei ruoli, stanno manovrando per associare figure politiche non talebane nel futuro Governo ad interim e per ricostruire questo Stato fallito.

Ora i nuovi padroni giocano i loro rappresentanti più collaudati; infatti il 16 agosto, all’indomani della caduta di Kabul, è stato il turno del mullah (erudito) Amir Khan Muttaqi, membro del comitato politico del movimento e della delegazione incaricata a Doha, in Qatar, di negoziare con gli americani. Il primo compito di Muttaqi è stato quello di aprire un confronto con l’ex presidente afghano Hamid Karzai e con l’ex numero due del regime, Abdullah Abdullah, al fine di avviare il processo di transizione del potere.

Da Doha 2020 in poi Muttaqi ha avuto diverse occasioni di dialogo con Abdullah; ricordo che Abdullah ha rivestito con i talebani le funzioni di capo dell’Esecutivo e quella di presidente dell’Alto Consiglio per la riconciliazione nazionale. Lo stesso Muttaqi è stato chiamato da Ishmael Khan, il potente signore della guerra che controllava la città e la regione di Herat, per gestire la sua recente resa e la partenza per il vicino Iran. Muttaqi era stato ministro dell’Informazione e della Cultura, poi dell’Istruzione, durante il primo Governo degli islamisti tra il 1996 e il 2001.

Gli “strateghi” talebani hanno “giocato” il 18 agosto il primo peso massimo del movimento, Anas Haqqani, che si è recato a Kabul da Abdullah, per discutere con lui e Karzai della gestione della Nazione. Questa operazione sta destando un forte interesse internazionale. Anas Haqqani è uno dei figli di Jalaluddin Haqqani, membro della tribù Pashtun di Zadran, morto nel settembre 2018. Jalaluddin Haqqani è stato il fondatore di una temuta rete islamista a cavallo del confine afghano-pakistano e figura di spicco nella lotta contro i sovietici; era stato ministro del Governo talebano tra il 1996 e il 2001. A marzo, Amir Khan Muttaqi, Hamid Karzai e Anas Haqqani si sono ritrovati a Mosca, con le rispettive delegazioni, per partecipare a una conferenza che aveva lo scopo di facilitare i rapporti tra di loro e gettare le basi per una collaborazione governativa, suggellando il determinate ruolo della Russia.

In questi giorni, Anas Haqqani si è mostrato nei video circondato da deferenza, non nascondendo una certa soddisfazione della considerazione di cui gode in questo momento. Haqqani oltre ad appartenere a un potente clan, è notoriamente vicino ai servizi segreti militari pakistani (Isi) e ad Al-Qaeda. Membri della sua famiglia occupano dal 2016 un posto di rilievo nel movimento talebano. Il 29 febbraio 2020 anche lui era presente a Doha per la cerimonia della firma dell’accordo bilaterale tra Stati Uniti e talebani per organizzare il ritiro dei soldati americani.

Una breve descrizione dei nuovi padroni del martoriato Afghanistan, che tuttavia pare poco controllino quella moltitudine di estremisti, emarginati, jihadisti e violenti soggetti, che si nascondono sotto la definizione di “Taleb”, e che stanno nuovamente caratterizzando con omicidi, vendette, rapimenti e stupri, gli estremi di questa nuova realtà afgana, notoriamente matrice del terrorismo internazionale ed espressione del più tradizionale “tagliagolismo”.


di Fabio Marco Fabbri