Cina e Africa, un abbraccio lungo un secolo

lunedì 9 agosto 2021


Si discorre molto in ambienti geopolitici e “geosanitari” del ruolo della Cina nel mondo. Generalmente, con uno sguardo superficiale, le considerazioni si dipanano tra l’esportazione cinese che abbraccia ogni ambito commerciale, alle grandi imprese statali cinesi che costruiscono quasi ovunque gratuitamente ogni tipo di impianto, magari solo con accordi sulla futura gestione, ed in questi ultimi tempi le varie “forme” del loro impegno planetario nel “Covid business”. Ma quali sono le basi ideologiche che hanno condotto la Cina, in questi ultimi cento anni, ad un impegno continuo soprattutto in Africa? Una risposta generale può essere che la lotta della Cina contro l’imperialismo nel XX secolo l’ha avvicinata emotivamente al Continente africano.

Il 1° luglio 2021 ha scandito i cento anni dalla nascita del Partito comunista cinese (Pcc). Mao Zedong, nel 1925, demarcò il suo pensiero dando risposta alle seguenti domande: “Chi è il nostro nemico? Chi è il nostro amico?”. Il responso fu che, sia verso “il nemico” che verso “l’amico”, l’ideologia rivoluzionaria sarebbe stata applicata, al primo come ostacolo, al secondo come aiuto. Così anche le strategie diplomatiche del Pcc avrebbero osservato la via dell’amico e del nemico. Infatti, già a gennaio 1922, il Pcc inviò i suoi rappresentanti a Mosca dove si svolgeva il Primo Congresso delle Organizzazioni Rivoluzionarie dell’Estremo Oriente, e fu il “blocco di partenza” del Pcc (poi Cina), per l’Africa.

Il Pcc degli albori condivise il concetto di nazioni e di colonie espresso da Vladimir Lenin e lo applicò al commercio internazionale. Così i Paesi africani, che hanno la stessa esperienza storica della Cina, sono stati considerati amici del Pcc. Su questa base ideologica il Pcc ha percepito la lotta del popolo africano contro l’imperialismo e il colonialismo come fosse la propria battaglia, identificando, sin dalle loro prime relazioni, la lotta per l’indipendenza come il legame principale per gli scambi tra il Partito comunista cinese ed i partiti politici africani. Infatti, nella prima metà del XX secolo, nonostante la lontananza geografica dal continente africano e il Pcc non fosse ancora in una posizione di potere, condannò gli atti di aggressione dell’Italia all’Etiopia (1935-1936), invitando il popolo cinese a prendere come modello il “soffio dell’anima” espresso dalla lotta etiope.

In breve, nel 1949 nasce la Repubblica Popolare Cinese e da quel momento il Pcc divenne il partito di governo in un Paese che ospita un quarto della popolazione mondiale; da allora il commercio con i Paesi africani è cresciuto costantemente, diventando l’Africa il principale palcoscenico mondiale per combattere il colonialismo. Infatti la prima generazione di leader cinesi, come Mao Zedong e Zhou Enlai, è stata impegnata nel favorire la liberazione del popolo africano.

Nel settembre del 1956, Mao Zedong disse, alla cerimonia di apertura dell’VIII Congresso nazionale del Pcc, che la Cina avrebbe dovuto sostenere attivamente i movimenti per l’indipendenza e la liberazione nei Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.

Il Pcc ha mantenuto le sue promesse con i Paesi africani. Infatti negli anni Cinquanta e Sessanta la Cina sopportò i Paesi che raggiunsero l’indipendenza, come Ghana, Guinea, Tanzania, Zambia e altri; sostenne la lotta armata del popolo algerino contro il dominio coloniale francese, dal 1954 al 1962, e la lotta del popolo sudafricano contro l’Apartheid negli anni Sessanta, come assistette l’Egitto per il “recupero” del Canale di Suez nel 1956. Negli anni Sessanta e Settanta, alcuni Paesi africani hanno visto il Pcc come un modello per difendere l’indipendenza, e il pensiero di Mao è stato preso come punto di riferimento per opporsi alla colonizzazione. I leader di Madagascar, Etiopia, Ghana, Benin e altri Paesi africani hanno percepito l’esperienza cinese “istruttiva”. A quel tempo, nel continente africano le opere di Mao Zedong divennero “best-seller”.

Allo stesso tempo, il Pcc, dal 1949 al 1960, favorì la Federazione dei sindacati cinesi, la China Women’s, la Federazione giovanile cinese e la Federazione studentesca cinese, a rafforzare gli scambi con i Paesi africani. A Pechino, nel 1960, fu fondata l’Associazione per l’amicizia tra i popoli della Cina e dell’Africa. Inoltre, Mao Zedong e Zhou Enlai aprirono legami sia con i leader dei partiti politici sia con le forze armate africane, esibendo l’esperienza della Rivoluzione cinese e fornendo aiuti sostanziali come armi, attrezzature e formazione.

Negli anni Settanta, quando la maggior parte dei Paesi africani ottenne l’indipendenza, l’Unione Sovietica accelerò la sua espansione e penetrazione in Africa. Alcuni Paesi come Angola, Egitto, Sudan, Zaire e altri del Corno d’Africa lanciarono la lotta antisovietica con il supporto cinese.

Dopo la Guerra fredda, gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza al mondo con tendenze “unilateraliste” e “neo-interventiste”, aprendo nuove sfide e complicando le già difficili realtà africane. Nei primi anni Novanta, i leader del Pcc, in risposta alle interferenze straniere, si opposero all’ingerenza delle grandi potenze negli affari interni africani, sostenendo gli Stati africani nella scelta dei sistemi sociali e dei modelli di sviluppo secondo le proprie condizioni nazionali, invitato le comunità internazionali e le Nazioni Unite ad ascoltare le voci dell’Africa e dell’Unione Africana.

Per concludere, anche Samora Machel, leader del Fronte di Liberazione del Mozambico, alla vigilia dell’indipendenza dal dominio portoghese (1975), ringraziò l’aiuto della Cina, salutandola come “un retrovia strategico e degno di fiducia”; così anche il presidente algerino Houari Boumédiène, in visita in Cina nel 1974, ringraziò i cinesi per il sostegno alla lotta rivoluzionaria algerina, dicendo che “la Cina era il primo Paese al mondo a stipulare un accordo da Stato a Stato con i combattenti rivoluzionari algerini”.

Oggi la Cina ha acquistato vaste aree del territorio africano, dove gli viene concessa quasi la sovranità. È indubbio che da Mao Zedong e Zhou Enlai in poi, questa forma di “legame ideologico utile”, che è alla base del rapporto tra la Cina e l’Africa, e che ha le radici nella politica e nelle emozioni, piuttosto che su basi di ricatto, anche monetario, rappresenta una realtà con la quale tutti si devono confrontare. I legami con l’Africa non sono tutti uguali.


di Fabio Marco Fabbri