martedì 13 luglio 2021
Mentre in Gran Bretagna si disputava la finale degli Europei tra Italia e Inghilterra, in un’altra isola si scendeva per le strade. Migliaia di cubani si sono riversati nelle vie dello Stato caraibico, alle grida di “Patria y vida!” e “Libertad!”. Le prime scintille della protesta si sono accese a San Antonio de Los Baños, una città di 50mila abitanti situata nella provincia di Artemisa, per poi diffondersi a macchia d’olio fino a giungere a L’Avana.
Il malcontento popolare arriva in un periodo di estrema difficoltà per la nazione, soffocata da una grave crisi economica. Le sanzioni imposte dall’Amministrazione Trump, che ha inserito Cuba nella lista degli “State sponsor of terrorism”, hanno arrestato bruscamente il periodo di distensione dei rapporti attuato dal presidente Barack Obama e posto un freno ai voli, ai commerci e alle transizioni finanziarie tra gli Usa e l’isola. La pandemia ha devastato il settore turistico, costringendo hotel e ristoranti a restare chiusi per mesi. A questo si è aggiunto un raccolto di zucchero (principale prodotto d’esportazione) inferiore alle aspettative, a causa di condizioni climatiche sfavorevoli e a un gran numero di macchinari rotti o non più funzionanti. Il tracollo di questi due settori fondamentali ha portato a una contrazione dell’11 per cento dell’economia cubana, la più grave negli ultimi trent’anni.
La situazione contagi, inizialmente stabile e non eccessivamente preoccupante, ha conosciuto nell’ultimo periodo una recrudescenza con il record giornaliero di 6750 contagiati e 47 decessi proprio di domenica. Nonostante i medici cubani siano riusciti a sviluppare autonomamente ben cinque vaccini, essi non vengono prodotti a una velocità sufficiente per rispondere ai bisogni della campagna di immunizzazione.
Penuria di cibo e medicinali, costanti blackout e il desiderio di libertà hanno infiammato una popolazione duramente provata e costretta a passare ore fuori dagli odiati esercizi commerciali governativi, nella speranza di procurarsi qualcosa da mangiare. Testimonianze fotografiche della protesta mostrano scene di saccheggio di questi negozi, dove prodotti di prima necessità vengono venduti a prezzi elevati e in valute straniere che molti cubani non possiedono.
La reazione del presidente Miguel Díaz-Canel è arrivata nel pomeriggio di domenica. In un comunicato alla nazione, trasmesso su tutti i canali televisivi, il segretario del Partito Comunista ha additato gli Usa e la mafia cubano-americana come i fomentatori di queste manifestazioni, che sarebbero parte di un complotto per destabilizzare e abbattere il regime. Ha poi chiamato a raccolta i rivoluzionari, ordinando loro di recarsi in strada per combattere. In migliaia hanno risposto, scendendo in campo accanto alle forze dell’ordine. Si sono registrati scontri tra polizia e manifestanti, con lanci di pietre, utilizzo di gas lacrimogeni e arresti.
La protesta, per il momento, sembra sotto controllo ma l’evento non deve essere sottovalutato. Il regime cubano è sostanzialmente estraneo a grandi sommosse popolari anti-governative e il fatto che queste siano scoppiate inizialmente in piccoli centri abitati, dove le autorità potrebbero identificare facilmente i colpevoli, è sintomo di una rabbia ormai diffusa, che sarà difficilmente controllabile nel prossimo futuro. La possibilità per la popolazione di accedere a Internet, resa legale per i privati proprio dal presidente Díaz-Canal nel 2019, si è dimostrata un’arma notevole contro il regime: il malcontento si è diffuso sui social network e le proteste sono state trasmesse in diretta, almeno fino al blocco della rete attuato dal Governo.
Le autorità cubane sono arrivate al punto di dire che, probabilmente, molti militanti pro-governativi sono scesi in campo dalla parte sbagliata, confusi dalle notizie e dalle campagne di disinformazione propugnate su Internet dai nemici della Rivoluzione, ma è evidente come il Governo abbia serie difficoltà a mantenere il controllo e a nascondere ciò che accade sull’isola dagli occhi della comunità internazionale. Manifestazioni di solidarietà si sono verificate a Miami, il cui sindaco ha chiesto un intervento degli Usa in aiuto del popolo oppresso, e molte personalità famose hanno espresso la loro solidarietà verso i manifestanti e le loro critiche al regime.
La situazione sull’isola resta molto tesa. La frangia ribelle, composta principalmente da giovani, si oppone ai più stoici sostenitori della Rivoluzione castrista. Le riserve di valuta estera del Governo cubano sono esaurite e ciò rende impossibile importare i beni di cui la nazione, ora, ha maggiormente bisogno. L’Amministrazione Biden si è detta pronta a riaprire i colloqui con Cuba, riportando i rapporti tra le due nazioni sui binari tracciati da Obama, ma fino ad ora non vi sono stati passi concreti in questa direzione.
Il rischio, per lo Stato caraibico, è che la rabbia della popolazione arrivi al punto tale da far degenerare le proteste in una vera e propria guerra civile. Resta da vedere se le manifestazioni di domenica siano state solo un fuoco di paglia, destinato a essere soffocato dal regime, oppure l’inizio di un processo che porterà l’isola a liberarsi dalle catene di una rivoluzione che ormai appartiene al passato e che ancora soffocano la nazione, impedendole di entrare a tutti gli effetti nella Comunità libera occidentale.
di Filippo Jacopo Carpani