Turchia, Russia e Iran: il futuro dell’Afghanistan in bilico

giovedì 8 luglio 2021


Si è tenuto ieri un colloquio telefonico tra il segretario della Difesa americano Lloyd Austin e la sua controparte turca, il ministro Hulusi Akar, per discutere del futuro dell’Afghanistan. I due uomini di Stato hanno affermato l’importanza della cooperazione tra Usa e Turchia per garantire alla nazione centro-asiatica un futuro di pace che, ad oggi, sembra ancora lontano.

Il ritiro delle truppe Nato, il cui completamento è previsto per l’11 settembre 2021, ha fatto piombare il Paese nel caos. Nel mese di maggio, i talebani hanno dato inizio ad un’offensiva nelle province settentrionali e, ad oggi, sono riusciti ad occupare un terzo dei 421 distretti presenti. L’esercito afghano sembra incapace di opporre una resistenza efficace. È dei giorni scorsi la notizia di un migliaio di soldati fuggiti in Tagikistan dalla provincia di Badekhshan, di cui 300 sono stati già rimpatriati dalle autorità tagike. Intanto i talebani hanno lanciato un massiccio attacco conto la città di Qala-i-Naw, capitale della provincia di Badghis, nel nord-ovest del Paese. Le forze governative sono riuscite a respingerli e a liberare alcuni edifici chiave dell’Amministrazione distrettuale grazie all’utilizzo dell’aviazione e delle forze speciali, ma la situazione arride ancora agli insorti.

La Turchia si è fatta avanti per colmare il drammatico vuoto di potere lasciato dalla ritirata delle truppe statunitensi. L’obiettivo del presidente Recep Tayyip Erdogan è l’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul, dove sono già stazionati 500 soldati turchi. La struttura è di vitale importanza per la sopravvivenza diplomatica dell’Afghanistan e una sua eventuale conquista o distruzione da parte dei talebani renderebbe lo Stato politicamente isolato. La Turchia lo sa bene e, dietro alla facciata dell’“aiuto fraterno” verso il popolo afghano, è evidente la volontà di lanciarsi sulla nuova preda, libera dall’ingombrante presenza dello zio Sam. Il controllo dell’aeroporto, unica via di comunicazione con l’esterno, garantirebbe a Erdogan di poter dettare legge sulla politica estera e i rapporti diplomatici della fragile nazione, ponendo quest’ultima in un effettivo rapporto di sudditanza nei confronti della Turchia.

Il sultano non è estraneo ad una politica estera aggressiva. Ne ha già dato prova nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Le ambizioni neo-ottomane di Erdogan sembrano puntare ad acquisire una testa di ponte anche in Asia, nell’ottica di una politica di potenza che ponga il suo Paese tra gli attori principali nello scacchiere internazionale e in alcune delle zone di conflitto più calde.

Il “cimitero degli imperi” non ha attirato solamente l’attenzione della Turchia. La Russia di Vladimir Putin si è detta pronta a sostenere e difendere i suoi alleati nella regione, in particolare il Tagikistan, il cui confine con l’Afghanistan è sotto il completo controllo degli insorti e dove sono già affluiti più di un migliaio di rifugiati. L’Iran ha ospitato le delegazioni dei talebani e del Governo afghano, dopo lo stallo dei negoziati in Qatar. Secondo il ministro degli esteri Mohammad Javad Zarif, l’Iran è pronto a favorire il dialogo tra le due parti in conflitto, nella speranza di poter giungere ad una soluzione pacifica. La Repubblica islamica confina con l’Afghanistan ed è nel suo interesse evitare un’escalation del conflitto, con il conseguente afflusso di rifugiati (secondo l’Onu, già tre milioni di profughi afghani si trovano in territorio iraniano), ma è anche evidente come lo Stato sciita voglia imporsi in un’area dove la presenza degli Usa ha frenato qualunque tentativo di penetrazione politica.

Il frettoloso ritiro americano, dopo vent’anni di parziali (e probabilmente vani) successi rischia di far scivolare dalle maglie dell’influenza occidentale un Paese in cui sono state impiegate (e forse sprecate) risorse considerevoli in termini di uomini e mezzi. Tre potenze sono pronte a contendersi il dominio sulla fragile nazione ancora dilaniata dal conflitto. Restiamo in attesa di futuri colloqui tra Usa e Turchia e delle dichiarazioni, previste per questo pomeriggio, del presidente americano Joe Biden riguardo alla decisione di abbandonare completamente l’Afghanistan al suo destino, una presa di posizione osteggiata dalle alte sfere dell’esercito, che avrebbero preferito mantenere una presenza militare forte a sostegno delle truppe governative.

Nonostante sia nell’interesse americano che il Paese resti all’interno della sfera d’influenza della Nato, la speranza è che, prima o poi, venga posto un freno alle aspirazioni egemoniche del sultano che, per ora, ha potuto agire relativamente indisturbato.


di Filippo Jacopo Carpani