L’officina Obrador: servire il popolo

mercoledì 9 giugno 2021


Come se la passa il Presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador (Amlo tout-court per i media internazionali)? Come una anatra zoppa, o lame duck, nel gergo delle presidenziali Usa. A scrutinio quasi ultimato, a due giorni di distanza dal voto del 6 giugno scorso (considerato una sorta di referendum indiretto, pro/contro il Presidente in carica), che abbinava elezioni amministrative generali al rinnovo della Camera Bassa (o dei Deputati), il bilancio si è rivelato un mezzo successo/insuccesso per Amlo, anche perché la campagna elettorale è stata funestata dalle gesta del crimine organizzato che, per proteggere i suoi loschi traffici, non ha esitato  ad assassinare 91 politici, di cui 36 candidati!

Degli Stati che andavano a rinnovo, ben 11 su 15 sono stati aggiudicati ai candidati del Partito del presidente, Morena (“Bruna”), e dei suoi alleati, mentre la stessa coalizione (formata dal Partito dei Lavoratori di Obrador e dai Verdi, contrapposta a quella di centrodestra costituita dal Partito della Rivoluzione Istituzionale, di centro, e dal Partito d’Azione Nazionale, di destra) ha perduto la maggioranza dei 2/3 alla Camera dei Deputati, passando da 334 seggi a 281 su 500. Anche nella capitale di Città del Messico, fin dal 1990 con il… cuore a sinistra, Morena & Co si fermano al 50 per cento dei voti espressi. In questo caso, l’insuccesso è stato attribuito dal presidente alla campagna antigovernativa dei media, a seguito del crollo nel maggio scorso di un ponte della metropolitana di Mexico City, che ha fatto 26 vittime.

Tuttavia, l’aver mantenuto la maggioranza assoluta in entrambe le Camere consentirà ad Amlo di portare avanti il suo processo di riforma, “per combattere la corruzione e il clientelismo dilaganti e contenere i privilegi dei potenti”. Il Governo poi non avrà problemi a far approvare le leggi d’interesse, compresa quella di bilancio, al fine di realizzare la sua promessa di una “Quarta trasformazione del Messico”, in cui le prime tre sono riferite all’Indipendenza e alle Rivoluzioni del XIX e del XX secolo. Amlo però dovrà concertare con l’opposizione il suo progetto di riforma costituzionale (che prevede l’allungamento della durata del mandato presidenziale), per la cui approvazione occorre la maggioranza dei 2/3 in entrambe le Assemblee. Questo per le sorti del presidente. Ma, come se la passa il Messico, nel suo complesso? Per capirlo, è necessario mettere tra parentesi il folklore di Obrador, ed esaminare la sostanza delle cose. E il dato oggettivo della realtà parla chiaro: in primo luogo risalta l’arroganza e la corruzione diffusa della classe politica messicana, per nulla interessata a perseguire il benessere dei propri cittadini più bisognosi. Per la sua moralizzazione, è nata e si è affermata la candidatura di López Obrador (il cui cognome tradotto in italiano significa “officina”) alla presidenza del Messico, con un programma di riforme che vanno dall'aumento dei salari, al miglioramento dei servizi pubblici e alla sempiterna lotta senza quartiere alla corruzione politica, male endemico e difficilmente curabile della società messicana.

Il problema, assai simile a quello degli altri Paesi meno sviluppati, è il “come” ci si arriva al raggiungimento di quei fini. Senza poi per questo stare a considerare la disastrosa gestione della pandemia che, per l’America Latina, vede il Messico (con più di 400mila morti stimati, pari al doppio di quelli ufficiali!) e il Brasile ai primi posti nella poco invidiabile classifica del numero di decessi nel mondo a causa del Covid-19. La blanda politica anti-pandemica di López Obrador ha latitato nel sostegno economico a imprese e famiglie, tagliando per di più i finanziamenti alla ricerca. Oggettivamente, la risposta fiscale anti-pandemica del Governo messicano è stata la più avara di tutta l’America Latina, per il letterale terrore di incorrere in un eccesso di indebitamento, motivo per cui il Pil messicano ha subito nel 2020 una contrazione dell’8,5 per cento rispetto all’anno precedente. Per di più, al pari di Jair Bolsonaro, il presidente ha dato un pessimo esempio alla cittadinanza rifiutandosi di indossare in pubblico la mascherina, con l’invito alle persone a limitare il contagio, astenendosi dal… mentire e dal rubare! Sul fronte delle chiusure scolastiche, López Obrador ha dato ampia soddisfazione al sindacato degli insegnanti (che sono tornati al lavoro soltanto dopo essere stati vaccinati!) tenendo le scuole chiuse per 14 mesi di seguito!

Per non farsi mancare un rimedio folle alla Maduro, Obrador ha proibito l’ingresso di capitali esteri nel settore petrolifero messicano, dilapidando qualcosa come 8 miliardi di dollari nella costruzione di una raffineria a Tabasco, affidandone poi la gestione alla compagnia statale Pemex, già fortemente indebitata per sostenere attività in pura perdita! Sempre sulla scia di Maduro, il presidente ha “appaltato” all’Esercito le principali attività dello Stato, quali la sorveglianza dei confini; il contrasto alla criminalità; la distribuzione dei testi scolastici e dei vaccini; la costruzione di 2.700 sportelli della Banca del Benessere per la distribuzione di aiuti ai bisognosi.

Sempre l’Esercito dovrà amministrare 7 miliardi di dollari dei contribuenti per la costruzione nello Stato di origine del Presidente di una ferrovia inutile, quanto elettoralmente redditizia. Pari sorte è toccata al piano anticorruzione di López Obrador: le misure del tutto inefficaci contro la corruzione dei funzionari pubblici non hanno fatto altro che aumentare i costi delle “mazzette”, a causa del maggior rischio. Stessi fallimentari risultati per quanto riguarda il contrasto al traffico di stupefacenti: malgrado la creazione di un “Guardia Nazionale” sotto il controllo dell’Esercito, lo slogan presidenziale di “abbracci al posto dei proiettili” ha reso le gang ancora più aggressive e invadenti, a causa della loro impunibilità di fatto.

Migliorando la tecnica del populismo alla Maduro, López Obrador ha condizionato, da un lato, i media dell’opposizione negando loro buona parte del gettito pubblicitario e del finanziamento pubblico. Dall’altro, ha fatto ricorso all’espediente dei referendum popolari (in cui gli aventi diritto al voto sono stati scelti tra i fedelissimi!) per farsi approvare scriteriate iniziative di politica economica, come la costruzione di un gasdotto e di un nuovo aeroporto, demolendo quello che stava per essere ultimato (sic!), nonché il ritiro della licenza edilizia per la realizzazione di una fabbrica americana di birra.

Identici condizionamenti hanno minato l’autonomia della magistratura e della Corte Suprema, al fine di ottenere la revisione costituzionale della durata del mandato presidenziale che, per tassativa previsione della Costituzione, non può essere rinnovato. Per di più, resta ancora in piedi il tentativo di sopprimere le istituzioni indipendenti sia dell’Agenzia per la trasparenza (a che cosa servirà mai, infatti, “se il Presidente è un onest’uomo?”), sia dell’Osservatorio elettorale, trasferendo le funzioni di controllo quest’ultimo all’interno dell’Ufficio presidenziale. Tutte iniziative profondamente antidemocratiche e antigarantiste, come si vede.


di Maurizio Guaitoli