Siria: Bashar al-Assad, rieletto per il quarto mandato

martedì 1 giugno 2021


Dieci anni di guerra in Siria hanno portato il Paese ad una frammentazione geografica: da una parte le regioni autonome curde del nord-est, dall’altra l’ultima diroccata roccaforte jihadista che si sviluppa intorno alla città di Idlib (nord-ovest), che raccoglie circa tre milioni di disperati, dove dominano l’anarchia ed il terrore. L’economia siriana è a brandelli, ma la “resistenza” dell’alawuita Bashar al-Assad, supportato dalla Russia e dall’Iran, ancora sostiene quella “colonna” del Vicino Oriente, che se “caduta”, come Iraq e Libia, avrebbe fatto deflagrare completamente quest’area.

Dieci anni di una catastrofica guerra civile hanno condotto la Siria sull’orlo del collasso socio-politico, e comunque è sopravvissuta anche se poggia su un tappeto di rovine. La grave emergenza ha costretto il suo presidente ad applicare “Il Patto Leonino” (memoria di Fedro), creando il vuoto intorno a sé, ma che gli ha permesso di arrivare alle nuove elezioni politiche. Così il 26 maggio Bashar al-Assad è stato rieletto presidente della Siria per un quarto mandato. Una rielezione, descritta venerdì da Mosca, suo principale alleato, come una “vittoria convincente” e un passo importante per rafforzare la stabilità del Paese.

Il presidente del Parlamento siriano, Hammoud Sabbagha, ha annunciato, giovedì 27 maggio, che Assad è stato rieletto con il 95,1 per cento dei voti; l’affluenza è stata del 76,64 per cento, circa 14,2 milioni di persone si sono recate alle urne su 18,1 milioni chiamati a votare; i curdi siriani hanno ignorato le votazioni.  Le elezioni si sono svolte dopo una serie di critiche espresse da Assad verso le recenti opinioni manifestate dai vari “portavoce” europei e da Washington, che le hanno giudicate “né libere né eque”. Ma il presidente siriano ha liquidato tali illazioni. dichiarando: “Le vostre opinioni non hanno valore”.

Ricordo che Assad e salito al potere nel 2000, succedendo a suo padre, Hafez, morto dopo trent’anni di governo incontrastato, e che nelle elezioni del 2014 aveva ottenuto più dell’88 per cento dei consensi. Il popolo siriano, come si vede dai video trasmessi sulle tv nazionali, ha accolto con giubilo la conferma del presidente; a Damasco, migliaia di sostenitori si sono riuniti in piazza degli Omayyadi, sventolando bandiere siriane e ritratti del presidente, manifestando un’euforia che sembrava più uno sfogo alla lunga sofferenza patita, ed una speranza per una agognata pace. Così anche nella città portuale di Tartous (ovest), come anche nella città costiera di Latakia o a Soueida, città del sud del Paese, ed anche nella martoriata Aleppo, folle di cittadini si sono radunati per suggellare quasi un plebiscito.

Gli avversari di Bashar al-Assad erano due personalità considerate “dei galoppini funzionali”: l’ex ministro e parlamentare Abdallah Salloum Abdallah e un membro dell’opposizione vicino al Governo, Mahmoud Marei. Questa è la seconda elezione presidenziale dall’inizio di una guerra devastante, iniziata nel 2011 e che ha visto sul “campo” una variegata presenza di belligeranti e potenze straniere. Un conflitto, anche se nato su basi di ricerca di una maggiore democrazia, che si è trasformato con il classico processo di degrado socio-politico: partendo da ideologi è passato in mano ad opportunisti, per poi essere rappresentato dai terroristi. Ad oggi questa guerra ha prodotto quasi 400mila morti. Le macerie del conflitto hanno una entità enorme. Un recente rapporto della Ong World Vision stima il costo economico della guerra in oltre un trilione di dollari, cifra che il Paese non ha possibilità di investire, considerando che Assad (e la Siria ovviamente), è sotto sanzioni internazionali.

Ora Bashar al-Assad, un “socialista” del partito Baʿth e ribadisco alawuita, sempre accompagnato dal significativo sorriso della moglie Asma, è una delle massime espressioni di “contestualizzata democrazia” nel Vicino Oriente, sabotato con ogni mezzo da Recep Tayyip Erdogan, si presenta come l’uomo della ricostruzione. Grazie al sostegno dei suoi alleati Russia e Iran, ha potuto riprendersi oltre i due terzi del territorio precedentemente conquistato dall’Isis ed ora, queste nazioni, saranno determinanti nel tempo del prossimo mandato presidenziale, per una ricostruzione anche politica di una Siria piatto della bilancia nel Vicino Oriente, nonostante la Turchia.


di Fabio Marco Fabbri