Crisi israelo-palestinese: il patto di Abramo imbarazza gli Stati arabi “normalizzati”

martedì 25 maggio 2021


La crisi israelo-palestinese coinvolge non solo gli Stati legati da una vicinanza geografica, ma anche quelle nazioni afro-asiatiche che vedono nel conflitto la drammaticità di un popolo, quello palestinese, flagellato dalla insicurezza e dalla frustrazione. Infatti, dalla ripresa del conflitto diversi Paesi africani hanno assistito a imponenti manifestazioni di sostegno al popolo palestinese. Le reazioni ufficiali degli Stati dove tali manifestazioni si conclamano, riflettono il rapporto che ciascuno di questi governi ha con Israele. Così l’Algeria ed il Sudafrica testimoniano la loro storica posizione di sostegno allo Stato palestinese, mentre il Marocco deve gestire una posizione delicata, poiché il regno ha recentemente normalizzato le sue relazioni con lo Stato ebraico.

Nel contempo in Senegal crescono le dimostrazioni di sostegno al popolo palestinese, ma contestualmente il suo presidente Macky Sall cerca, con un equilibrismo diplomatico abbastanza complesso, di preservare il più possibile le sue relazioni con Israele. Safwat Ibraghith, ambasciatore palestinese a Dakar, ha dichiarato che l’ambasciata è sommersa da manifestazioni di solidarietà rappresentate da politici di maggioranza e di opposizione, da organizzazioni della società civile, da autorità religiose e gente comune. Il collettivo di cittadini Noo Lank e l’Ong islamica Jamra, hanno esortato il popolo a scendere in piazza, cosa che si è puntualmente verificata venerdì 21 maggio, per protestare contro gli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, nonostante l’effimera tregua.

Il Governo sudafricano di Cyril Ramaphosa, attraverso un comunicato del suo ministero per le Relazioni internazionali e la cooperazione, ha fermamente condannato “gli ingiusti attacchi di Israele ai civili palestinesi”, chiedendo alla Comunità internazionale di aprire un’indagine – presso la Corte penale internazionale (Cpi) – sulle azioni del Governo israeliano, per possibili “crimini contro l’umanità”. Inoltre, chiede la fine delle espulsioni programmate di famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme, ribadendo il suo sostegno alla ripresa dei negoziati volti a creare uno Stato palestinese.

Il Sudafrica è nel club dei circa 130 Paesi che riconoscono la sovranità dello Stato palestinese. Il Paese ha stabilito relazioni diplomatiche con i governanti palestinesi già nel 1995, poco dopo l’ascesa al potere di Nelson Mandela. Il 12 maggio, durante una protesta a Città del Capo, il nipote di Nelson Mandela, il deputato dell’Anc, Mandla Mandela, ha chiesto la chiusura dell’ambasciata sudafricana in Israele. Anche in Marocco la ripresa del conflitto israelo-palestinese ha causato disordini; recentemente il Regno ha normalizzato le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico, in cambio del riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. Una congiuntura importante che aveva permesso di assicurarsi il consenso della maggior parte della popolazione e di rabbonire la “corrente d’opinione” filo-palestinese. Ma gli scontri di Gerusalemme hanno fatto dimenticare il successo diplomatico del Regno; così le manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese si sono conclamate a Rabat e Casablanca, per poi continuare sui social network, manifestando il rifiuto di qualsiasi normalizzazione con l’entità sionista. Rammento che il re Mohammed VI è presidente del comitato Al-Quds, che conta quindici Stati afro-asiatici e che, brevemente, ha la missione di lavorare per la conservazione del “patrimonio” di Gerusalemme, come anche l’Organizzazione per la cooperazione islamica (Oci), che conta 57 membri e che ha, sotto alcuni aspetti, i medesimi obiettivi di Al-Quds.

Inoltre, l’Arabia Saudita, che non ha ancora normalizzato le relazioni, ma ha dato il via libera ai suoi alleati del Golfo per avvicinarsi allo Stato ebraico, ha respinto la strategia di Israele di cacciare decine di palestinesi dalle loro case, riferendosi alla questione del quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Reazioni moderate rispetto a quella dell’Iran o della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, il quale ha dichiarato che farebbe tutto il possibile per mobilitare il mondo, soprattutto quello musulmano, per porre fine al terrorismo e all’occupazione israeliana. È evidente che un altro effetto collaterale della crisi, che sta coinvolgendo quei Paesi arabi che hanno normalizzato le loro relazioni con Israele, come Egitto, Giordania, Marocco, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan, è l’imbarazzo. La “divisione” è l’emblema di questa crisi, che vede da una parte i soliti Paesi antisionisti radicali, e dall’altra quelli arabo-musulmani normalizzati che con enorme difficoltà tentano di bilanciarsi tra l’imbarazzo verso le pressanti “dottrine” filopalestinesi e la convenienza a “flirtare” con Israele.


di Fabio Marco Fabbri