La crisi israelo-palestinese, tra divisione e sicurezza (video)

lunedì 24 maggio 2021


Il 14 maggio 1948, nel quadro dell’obiettivo sionista, David Ben Gurion, presidente del Consiglio nazionale ebraico, proclama l’indipendenza dello Stato di Israele; contestualmente con una frase “profetica”, pronunciata sottovoce al giovane Shimon Peres, delinea quello che sarà il futuro: “Oggi ballano, ma domani verseranno il loro sangue, ci sarà una guerra”.

La drammatica frase che Ben Gurion sussurra a Peres, viene pronunciata forse nel giorno più entusiasmante per il mondo ebraico, quello della nascita del loro Stato, e ciò la rende, se possibile, ancora più dolorosa. Da quel momento il conflitto palestinese-israeliano, oltre che seguire, purtroppo, la traccia del “sangue e della guerra”, si può circoscrivere anche nel significato di due parole: “divisione e sicurezza”. Questi ultimi due termini determinano le caratteristiche della “crisi”, infatti la ricerca di “sicurezza” e le “divisioni” sono gli elementi che fanno “vivere la questione”. Bisogna ricordare che la storia del popolo ebraico (ma anche di quello palestinese), può essere “divisa” tra prima e dopo il 1948; ovviamente la Grande Storia è antecedente a questa data, ma è da lì che viene scritta la narrativa nazionale israeliana.

Il 14 maggio 1948, tre anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei da parte dei nazisti, la popolazione del neonato Stato di Israele era composta da circa 600mila anime. Il mandato britannico era appena terminato e le truppe lasciarono la Terra Santa a loro assegnata, in modo un po’ articolato e in osservanza anche del famigerato patto segreto Sykes-Picot.

Ma dietro agli eventi che sono seguiti, dalla guerra arabo-israeliana del “giorno dopo”, passando per la guerra dei Sei giorni, 5-10 maggio 1967, che quintuplicò i territori israeliani, fino all’attuale ennesima crisi, quello che va considerato è che le “divisioni” hanno caratteristiche non solo geografico-politiche. È vero che la questione dei territori nel loro complesso divide, come è vero che divide anche la questione di Gerusalemme, ed anche la diversità religiosa e politica, ma ritengo che la “divisione” più antitetica sia a livello sociologico e “culturale”.

Considerando nella loro complessità le tradizioni e le peculiarità culturali del popolo palestinese e del popolo di Israele, la distanza maggiore si può ravvisare sotto l’aspetto della percezione del concetto di “democrazia” come entità politica, forma di Stato e di governo (sempre decantata ma oggi carica di imperfezioni, tuttavia al momento non si conosce sistema alternativo migliore), con tutti gli effetti ad essa legati, come la concezione dell’organizzazione sociale. Inoltre, generalizzando, altra divergenza è quella del rapporto con lo sviluppo scientifico nel suo complesso (nonostante l’Università Palestinese di Al Quds a Gerusalemme est e le capacità di molti palestinesi), e con le relazioni internazionali. Comunanze si hanno con la “vitale” necessità di osservare le proprie tradizioni, ma troppo poco per creare un amalgama sociologica utile per una proficua e generalizzata condivisione della propria esistenza. Inoltre i governanti palestinesi hanno chiare difficoltà a “regolare” movimenti terroristici di stampo islamista che nascono per distruggere Israele, come oggi è Hamas; una sorta di sovra Stato nello Stato che controlla vari territori (Gaza), governa istituzioni scolastiche e sanitarie e comanda un consistente gruppo armato chiamato “brigate al Qassam”, ha quindi capacità autonome di agire utilizzando strumenti militari, surrogando la prerogativa dello Stato riconosciuto. È evidente che i leader di Hamas hanno la consapevolezza che saranno drammaticamente e militarmente sconfitti, forse non politicamente, tuttavia proseguono con la loro rincorsa nell’umiliazione del popolo palestinese, verosimilmente più stanco di questo “Sovra Stato” che dei difficili rapporti con gli israeliani.


di Fabio Marco Fabbri