Il conflitto israelo-palestinese: un pungolo geopolitico

lunedì 17 maggio 2021


Il dramma israelo-palestinese è solo un aspetto di un problema “politico” mai risolto e che spesso i burattinai della geopolitica hanno scelto di ignorare. Sistematicamente la “questione” viene a galla con le solite manifestazioni più o meno appariscenti o più o meno drammatiche, ma tutto ciò è inserito nella vertiginosa spirale che caratterizza il Vicino Oriente. Le operazioni diplomatico-economiche che Israele ha portato avanti con i Paesi arabo-musulmani, prima con Egitto e Marocco, poi con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan, hanno da tempo ulteriormente isolato la Palestina, che ha subito questa normalizzazione delle relazioni del mondo arabo con Israele, come una sconfitta della propria “politica vittimistica”, determinando il fallimento di molte sue aspettative.

Infatti, nonostante le varie risoluzioni dell’Onu che riconoscono i diritti del popolo palestinese, tutti i tentativi per risolvere il conflitto israelo-palestinese per via diplomatica sono finora falliti. Dal 29 novembre 2012 la Palestina, che è uno Stato a riconoscimento limitato, è diventata Stato osservatore, non membro dell’Onu. È innegabile che le frustrazioni dei notabili palestinesi non agevolino dialoghi o compromessi con Israele, sempre più inserito politicamente nel contesto vicino-orientale, e le drammatiche violenze di questi giorni ricordano, come un pungente promemoria, che un problema geopolitico non si risolve ignorandolo, come fatto anche dagli stessi Stati Uniti.

Oggi in questo gorgo di violenze, morte, proteste, razzi che piombano da ambo le parti, di raid aerei israeliani devastanti, di suoni delle sirene che scrutano ogni angolo delle città colpite, la paura è un elemento che unisce e accomuna israeliani e palestinesi. Le banali dichiarazioni di crescente preoccupazione provenienti dall’estero riesumano le solite parole del dramma israelo-palestinese; così, nel “palcoscenico”, ogni attore ritrova il suo ruolo, senza sapere cosa accadrà domani, senza nessun piano a lungo termine, senza altra visione che l’uso della forza mortale, in attesa di un prossimo ritorno ad una calma precaria, inevitabilmente effimera.

Lunedì 10 maggio la “complessa” scintilla ha riacceso una brace mai spenta; le motivazioni sono gli scontri a Gerusalemme tra la polizia israeliana e i manifestanti palestinesi. Tali disordini, scoppiati nel quartiere di Sheikh Jarrah, sono stati imbottiti con le solite motivazioni: i dissensi palestinesi per la “politica espansionistica”, pro coloni ebrei, nel quadro delle rivendicazioni pre-1948; le restrizioni per l’accesso al complesso che ospita la moschea di al-Aqsa; le celebrazioni israeliane per le strade di Gerusalemme Est e nei quartieri arabi della città, vicino alla Porta di Damasco, per la commemorazione dell’anniversario della Guerra dei Sei giorni (5-10 giugno 1967) che permise a Israele di quasi quintuplicare il suo territorio, con l’annessione anche di Gerusalemme; ma tutto ciò fa parte di questa irrisolta questione. Così questi crescenti scontri hanno nuovamente innescato il conflitto che oggi ha assunto dimensioni, forse da parte di Hamas, non previste o cinicamente previste.

Intanto da Gaza i razzi Badr 3 “spediti” su Israele hanno ormai superato il numero di due mila. Hamas è stato il secondo gruppo armato a utilizzare questo missile, dopo “Ansar Allah”, braccio militare del movimento ribelle Houthi, che lo ha utilizzato in Yemen nel 2019. Hamas, movimento politico-militare-terroristico di resistenza palestinese, nato per “combattere Israele” e riportare la Palestina nel suo status pre-1948, ha alzato il livello di ostilità da guerriglia a guerra. Va detto che i razzi utilizzati dal gruppo terroristico di Hamas sono di fabbricazione iraniana, hanno una gittata balistica che può superare i 160 chilometri e trasportano una testata esplosiva, modificata dall’organizzazione jihadista palestinese Saraya al-Quds, di 350 chilogrammi. Inoltre, esplode quando è a circa 25 metri sopra l’obiettivo, proiettando millequattrocento schegge, rendendo massimo l’effetto devastante.

Ma, oltre la drammaticità che colpisce sia la popolazione israeliana che palestinese, dove si annoverano vittime soprattutto tra i civili di ogni età, quello che fa riflettere è la spregiudicatezza, l’incoscienza e il cinismo di tale azione prodotta da Hamas, che coscientemente non può pensare di poter sconfiggere uno degli eserciti meglio organizzati al mondo. Quindi a quale scopo innescare un conflitto, se non a esclusivo scopo propagandistico? Forse come dimostrazione di forza? Forse quella iraniana? L’unica certezza matematica è la sconfitta che pagheranno i palestinesi a carissimo prezzo, più che i mercenari terroristi di Hamas, molto spesso mal visti anche dal disperato popolo palestinese.

La Storia ha determinato, con il sangue, i confini delle nazioni e la conquista di città simbolo come Gerusalemme o come la cristiana Costantinopoli (Istanbul); queste due città hanno una Storia che le salda alla fede, la prima è contesa, ma comunque condivisa tra le tre religioni monoteiste; la seconda è stata persa nel 1453 dal Cristianesimo (Ortodosso), ma purtroppo al momento lungi dall’essere condivisa.


di Fabio Marco Fabbri