Iraq: un primo maggio con attentati jihadisti

martedì 4 maggio 2021


Come era largamente prevedibile lo Stato islamico, o Isis, in Iraq non è stato ancora debellato. L’organizzazione estremista islamica, dopo il suo ufficiale annientamento, ha avuto quella fisiologica trasformazione che ha parcellizzato i suoi resti nell’area mesopotamica; contestualmente ha favorito e “fertilizzato”, importanti aggregazioni jihadiste in centro-nord Africa, e creato diverse realtà estremiste in Europa, rendendo i gruppi tendenzialmente anarchici e mutandoli in movimenti di guerriglia.

Senza una eccessiva “propagandamediatica, appunto perché ormai considerati dalla politica, guerriglia, i jihadisti a fine settimana scorsa hanno sferrato quattro attacchi in varie parti dell’Iraq, causando almeno diciotto morti tra le forze dell’ordine ed anche uccidendo alcuni civili. Tra giovedì 28 aprile e sabato primo maggio, nella grande cintura periferica di Baghdad, precisamente nel villaggio agricolo di Tarmiyah, a circa venti chilometri a nord della capitale, i jihadisti hanno preso d’assalto un convoglio dell’esercito iracheno uccidendo due ufficiali e due soldati. Tali dichiarazioni sono state date all’Afp (Agence France Press), e in forma anonima, da un alto funzionario iracheno. Come accaduto alcuni giorni prima in un attentato jihadista in Nigeria, esattamente a Mainok, i rinforzi, venuti in soccorso, sono stati a loro volta investiti dal fuoco jihadista, che ha inferto perdite tra i militari, compreso un combattente affiliato ad a un gruppo tribale e integrato nelle forze regolari, ed un civile.

Contemporaneamente, a sud di Erbil, ad Altun Kupri, nel governatorato di Kirkuk, dove il governo federale kurdo sta combattendo efficacemente contro i residui dell’Isis, sei peshmerga (combattenti curdi), sono stati uccisi quando un gruppo di jihadisti ha attaccato, con armi leggere, la loro postazione di sorveglianza. Un altro attacco mortale ha avuto luogo nel deserto occidentale al confine con la Siria, ad Akashat, un borgo al nord-est del distretto di Ar-Rutbah nella provincia di al-Anbar.

La provincia di al-Anbar, prevalentemente desertica, si proietta verso il confine con la Siria ed è un’area difficilmente controllabile. Qui lo Stato islamico radicò alcune delle sue frange, e in questa area, già prima dell’avvento dell’Isis difficile, ancora sussistono alcune basi jihadiste. In questo contesto è stato colpito un convoglio dell’esercito iracheno che è saltato su una bomba collocata ai margini della strada. L’ultimo attacco si è verificato nella provincia di Diyala, ad est di Baghdad, dove un’esplosione ha causato alcuni morti e una decina di feriti.

Anche se questi attacchi non sono stati ancora rivendicati dai miliziani dell’ex Stato islamico, le modalità operative non fanno sorgere dubbi sulla matrice jihadista. Ricordo che lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, ha perso il proprio territorio alla fine del 2017. I gruppi jihadisti ancora più pericolosi perché anarchici operano prevalentemente nelle ore notturne, in aree isolate e con armi leggere, prendendo di mira quasi sistematicamente le forze di sicurezza.

Sabato, a valle di questi preoccupanti accadimenti, il presidente della Repubblica dell’Iraq, il curdo Barham Salih, ha chiesto, in modo accorato, di rafforzare il sostegno internazionale per porre fine alle ancora pericolose “macerie” dell’Isis. È presente in Iraq, dal 2014, una coalizione militare guidata dagli Stati Uniti con lo scopo di operare al fine di combattere, allora lo Stato islamico, oggi i suoi residui. Questi brandelli dell’Isis operano con modalità di guerriglia, raramente hanno un coordinamento parzialmente centralizzato. Tali gruppi sono connotati da un basso numero di miliziani, soggetti in prevalenza emarginati e spesso “frastornati”, che hanno fatto del terrorismo e della violenza assoluta il loro modo di percepire la sopravvivenza e la quotidianità. Il “salafismo jihadista” (terza definizione del salafismo) da loro ostentato è solo una “bandiera” strappata, ma non ne rispecchia i veri canoni, confondendosi con una realtà di disperazione, unica rotta per una temporanea sopravvivenza.

Tuttavia un voto del Parlamento iracheno, pronunciato all’inizio dell’anno passato e assunto in risposta all’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani, avvenuto il 3 gennaio 2020 durante una azione dei servizi statunitensi, ha chiesto la “cacciata” degli oltre cinquemila soldati Usa presenti nel Paese, e degli altri contingenti stranieri, tra cui quello italiano. Comunque, l’assenza nel voto parlamentare dei deputati curdi e sunniti, Soleimani era sciita, inficia in teoria il valore politico del voto; inoltre non risulta che al voto parlamentare sia seguita una legge che avrebbe reso attuabile la risoluzione parlamentare. Comunque, l’anarco-jihadismo iracheno, senza dubbio, godrebbe della mancanza di una forza militare e strategica estera, unico baluardo utile alla speranza di una eradicazione dell’estremismo islamico nel Paese.


di Fabio Marco Fabbri