Trappola di Tucidide: l’America di Biancaneve

mercoledì 28 aprile 2021


Specchio, specchio delle mie brame”. Così inizia una delle più note favole dell’Occidente, con la povera Biancaneve dal volto bianchissimo di porcellana, rigorosamente wasp (i bianchi d’America), la cui immagine in questi tempi moderni è oggetto di brutale dissacrazione per tramite di una moderna pornografia d’accatto e d’assalto, che la descrive come vittima sessuale virginale dei sadici sette nanetti. Ieri, alla fine della Guerra Fredda, c’era solo un Principe Azzurro: il Capitalismo trionfante.

Tra i Paesi in via di sviluppo (i “nanetti”, bramosi di approfittare delle grazie e dell’abbondanza della formosa America-Biancaneve, opulenta e vittoriosa sulla Regina Cattiva del Comunismo sovietico), c’erano la nuova Russia allo sbando, la Cina, l’India, la Turchia e tutti i Paesi disastrati dell’Africa e dell’America Latina, che la Cortina di Ferro e i loro governanti vassalli, mercenari e iper-corrotti avevano reso pezzenti, violenti e diseredati, pur trovandosi a vivere nei due continenti più ricchi del mondo. Potenza della geopolitica pre-1991! E oggi, dopo aver risvegliato la Bella Addormentata della Guerra Fredda, che cosa accade? Nella sua opera in cui tratta della Guerra del Peloponneso, Tucidide scrive: “Ciò che rese la guerra inevitabile fu l’ascesa della potenza di Atene e la paura che questa ascesa causò a Sparta”. Da qui l’omonima Trappola di Tucidide che, oggi, riguarda l’America-Sparta contro la Cina-Atene.

Però: quale guerra? In un circuito globale di interdipendenze e della globalizzazione di beni, merci e servizi, delocalizzazioni e impianti produttivi, nonché della competizione sulle materie prime naturali e su quelle intellettuali del know-how avanzato, guerra vuol dire decoupling brutale: tutto si interrompe all’improvviso, come avverrebbe a seguito di un embargo totale. Sicché, tanto per esemplificare, l’America divisa da una Cortina di Bambù dal Continente asiatico potrebbe restare, per un tempo non breve, senza principi attivi per la fabbricazione di antibiotici, o in drammatica carenza di parti fondamentali per la fabbricazione di macchine e computer. Tra l’altro, ai consumi ordinari delle famiglie occidentali verrebbe a mancare quel 22 per cento mondiale di manifattura tessile con il marchio made in China, provocando un significativo aumento del costo della vita per l’acquisto di prodotti equivalenti a prezzi mediamente più alti. Per evitare un disastro simile, Pechino ha avviato da tempo con la sua Belt & Road Initiative (da finanziare con almeno 5trilioni di dollari!) la conquista delle vie marittime strategiche per i suoi traffici commerciali e militari, assicurandosi la conduzione e l’affidamento in comodato d’uso di grandi infrastrutture portuali africane, asiatiche e persino europee.

Il nazionalismo (imperialista?) di Xi Jinping ritiene di fronteggiare la minaccia di decoupling da parte dell’Occidente industrializzato facendo leva su due contromisure formidabili. La prima consiste nello sfruttamento del suo miliardo e mezzo di cittadini per ampliare al massimo la base dei futuri consumatori interni di gran parte della produzione industriale cinese, con particolare riferimento ai prodotti dell’informatica e dell’agroalimentare, e all’espansione del mercato immobiliare, cosa che consentirebbe di far crescere il benessere interno e di minimizzare le perdite rilevanti derivate dalle mancate esportazioni. Per di più, dovendo provvedere ai fabbisogni alimentari crescenti di una classe media in rapida crescita, Pechino sta impiegando la più grande flotta civile al mondo di pescherecci d’altura (molti dei quali attrezzati per lo spionaggio militare!) per ampliare a dismisura, e senza alcuno scrupolo per gli ecosistemi marini, le zone di pesca inviando per di più la sua marina militare a proteggere tali sconfinamenti. Tra l’altro, la Cina ha costruito nel tempo molti milioni di metri quadrati di isole artificiali, destinate a funzionare alla stregua di trampolini di lancio per la conquista di altre isole dell’arcipelago e a ospitare nuove basi militari, al fine di contrastare efficacemente la superiorità (temporanea!) navale degli Usa.

In secondo luogo, negli ultimi dieci anni, Pechino ha aumentato in maniera notevole il proprio bilancio per gli armamenti, al fine di sfidare gli Stati Uniti nel numero e nelle qualità delle squadre navali da schierare, in particolare, nel Mar Meridionale di Cina, obbligando così l’America a notevoli sacrifici per stornare importanti risorse a favore del dipartimento della Difesa, a detrimento della spesa socio-sanitaria e del rilancio dell’occupazione interna per recuperare il contraccolpo sul Pil della recente crisi pandemica. Tuttavia, al contrario di quanto è accaduto per Hong Kong, dove il ritorno dell’isola all’interno del sistema di governo della Cina continentale ha messo fine all’accordo internazionale di “un solo Paese due sistemi” (uno autocratico del Partito Comunista cinese e l’altro democratico di derivazione anglosassone), nel caso che anche Taiwan dovesse essere riannessa alla madre patria manu militari, l’Occidente e l’America non si limiterebbero a fare la voce grossa, come è accaduto nel caso di Hong Kong che, tuttavia, non ha smesso di svolgere un ruolo di primissimo piano come piazza finanziaria internazionale. Infatti, i flussi di decine di trilioni di dollari dalla Cina verso gli altri mercati finanziari internazionali, e viceversa, non si sono mai fermati!

Tuttavia, nel caso della conquista militare di Taiwan, lo scontro armato (convenzionale, senza ricorso all’arma nucleare tattica) tra America-Sparta e Cina-Atene sarebbe molto probabile, anche se la perdita strategica di Taiwan, seppur gravissima per la sua importanza come piattaforma industriale del sistema produttivo mondiale (per quanto riguarda la componentistica elettronica, in particolare), potrebbe essere compensata dal potenziamento dei sistemi politici-industriali di Singapore e dell’Asia indocinese, che nel corso della pandemia hanno dimostrato una grandissima vitalità e ferma disciplina della loro cittadinanza. E qui, in Italia, quale percezione si ha di questi rischi immensi? Nessuna, in pratica. Come sempre, la Cina è lontana. Ma potrebbe essere solo un effetto… relativistico!


di Maurizio Guaitoli