Astrazeneca: sospeso in diversi Paesi africani

martedì 23 marzo 2021


La “querelle” su Astrazeneca, oggi, sembra rappresentare un’immagine confusa di un’epidemia “approssimativa”. Come accade in Europa, anche l’Africa sta sperimentando le decisioni europee, tra l’altro già rientrate, di prendere tempo nel continuare a cercare “qualcuno” da vaccinare. La decisione di diversi Paesi europei, prima di sospendere, poi di temporeggiare/imporre l’uso del vaccino Astrazeneca, ha creato rapidamente un putiferio in Africa. In questo caos, il governo della Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha annunciato, sabato 13 marzo, il rinvio del lancio della sua campagna di vaccinazione che era prevista per il 15 marzo. Il meccanismo di solidarietà internazionale Covax, aveva da poco consegnato alla Repubblica democratica del Congo un lotto di 1,7 milioni di dosi, ora ferme in attesa di delucidazioni, ma con la possibilità che si deteriorino.

Anche Camerun, Capo Verde, Eswatini (ex Swaziland) e Congo-Brazzaville, hanno annunciato di ritardare la somministrazione del siero Astrazeneca, in attesa di dati più certi, anche con uno sguardo attento a quanto si riesce a sapere di ciò che accade in Europa. Quello di cui vogliono essere certi è capire le ragioni della formazione di coaguli di sangue in diverse persone vaccinate con Astrazeneca. Intanto, in Madagascar continuano ad utilizzare il loro rimedio tradizionale che è basato sull’artemisia, Covid-Organics, che risulta rispondente a fronteggiare l’influenza da Covid.

Come vediamo in un’Africa dove da una parte c’è l’Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) e agenzie collegate, che indugiano nel sottolineare la letalità del virus, e dall’altra la realtà africana che recepisce il Covid-19 meno di un’influenza stagionale, i gesti di resistenza all’imposizione di un’idea di pandemia si moltiplicano e si consolidano. Così anche il Sudafrica, dove il Coronavirus determina una mortalità sotto il 4 per cento, contro l’Aids che sta al 33 per cento, si impone il non utilizzo di 1,5 milioni di dosi di Astrazeneca, anche dopo la pubblicazione di studi che mostrano un notevole calo dell’efficacia del vaccino sulla variante 501.V2 denominata “South African” ed ora rilevata in 17 Paesi del Continente.

Nonostante questi dati, da una decina di giorni l’Oms sta cercando di rassicurare che il siero prodotto dall’azienda anglo-svedese, più economico e di facile conservazione degli altri, è quello che serve all’Africa. Infatti, il siero oltre che essere nel protocollo del “meccanismo Covax”, è quello che viene distribuito alla maggior parte dei Paesi africani per vaccinare le proprie popolazioni. Al 18 marzo quasi 11 milioni di dosi erano state distribuite in tredici Paesi. Resta ora da vedere se il nuovo parere favorevole rilasciato giovedì sera dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), che ha dichiarato il vaccino Astrazeneca “sicuro ed efficace”, basterà a convincere gli Stati africani a riprendere la lenta e vacua campagna vaccinale.

Intanto il Kenya (oltre 51 milioni di abitanti), dove la campagna di vaccinazione intrapresa all’inizio di marzo ha interessato circa 20mila persone, sta optando per una implementazione del sistema di assistenza domiciliare per i pazienti che non necessitano di ossigeno, ed anche lì, coloro che soffrono o periscono per il virus, sono i molto anziani con più patologie e soggetti fragili. Ad oggi risultano altre 120mila contagiati con poco più di 2mila decessi (meno di 1,7 per cento). Per il direttore dell’African union center for disease control and prevention (Africa Cdc), John Nkengasong, la situazione in Kenya rispecchia la realtà del continente. C’è, tuttavia, la consapevolezza che i governi non possono mantenere le misure di restrizione a tempo indeterminato per ragioni sociali ed economiche.

La Somalia (circa 15 milioni di abitanti) ha ricevuto 300mila dosi di vaccino da Covax, che dovrà fornire un totale di 1,2 milioni di dosi. I dati aggiornati riportano che attualmente i contaminati sono appena 10mila, con poco più di 400 morti, il 4 per cento. Come vediamo l’aspetto sanitario, creato dal Covid, quantomeno in Africa, non è causa determinate né di stragi né di sofferenze indomabili; infatti, è l’aspetto socio-economico, legato all’epidemia, che sta stramazzando enormemente la società. La situazione umanitaria in Somalia è drammatica; infatti, secondo le Nazioni Unite, quasi 2,7 milioni di persone (ricordo su una popolazione di 15 milioni) sperimenteranno gravi carenze alimentari nei prossimi mesi a causa della siccità. Tra questi, 860mila bambini sotto i 5 anni. Sempre secondo l’Onu, decine di migliaia di persone (senza mascherina!) hanno già lasciato le loro case per cercare acqua e pascoli per loro e per il bestiame.

Ad oggi 1,7 milioni di kenioti hanno perso il lavoro. Con una popolazione dove il 54 per cento è disoccupata e l’80 per cento di quella attiva lavora nel settore informale, il rischio di morire di fame è quasi una certezza. Va detto che inizialmente gli occhi del mondo erano puntati sull’Africa, considerata il “tallone d’Achille del pianeta”, come scritto in un mio articolo circa un anno fa. Ma ad oggi gli africani il virus nemmeno lo hanno visto, ma molti rischiano di morire di fame.

Per concludere, contrariamente alla “dottrina” corrente, in Africa il dramma sociale e le crisi umanitarie in crescita sono provocati dalla sete e dalla fame, “corroborati” dal blocco economico Covid, e dalle guerre, non dal Coronavirus.


di Fabio Marco Fabbri