La difficile riconciliazione in Libia

lunedì 22 marzo 2021


Mercoledì 10 marzo in una Libia avvolta da “nebbie” di sospetti e compromessi, il Parlamento di Sirte ha votato la fiducia al nuovo Governo di unità nazionale (Gun), con alla guida Abdel Hamid Dbeibah. Dbeibah è un imprenditore molto accreditato e senza dubbio di successo, ha 61 anni ed è di Misurata, importante città portuale nella Libia occidentale.

Lungo il percorso che ha portato Abdel Hamid Dbeibah ad ottenere la fiducia per governare, ha avuto un peso notevole anche l’avallo del confinante Egitto; infatti, il 18 febbraio Dbeibah si era incontrato al Cairo, in una riunione di rafforzamento preparatoria al suo progetto per l’Esecutivo, con l’influente presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi. Il “pacchetto” completo del nuovo gruppo al potere in Libia include anche tre membri di un nuovo Consiglio presidenziale, il cui leader è Mohamed Younes Menfi, di Bengasi. Dbeibah e Menfi rappresentano, ora, questo esecutivo a due teste, dove la carica di capo del Governo è comunque più influente, in sostituzione di Fayez Muṣṭafā al-Sarrāj che, in teoria, ricopriva entrambe le funzioni.

Da quanto si percepisce dalle congiunture, sia interne che esterne alla Libia, il nuovo Governo di unità nazionale pare goda di buone possibilità di durata. In un comunicato congiunto, i ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito, Germania, Stati Uniti e Italia hanno approvato, con soddisfazione, questo importante passo in avanti dei nuovi leader libici, ritenendolo “essenziale” per una “soluzione politica globale”. Un aspetto con rilevante significato, che ha contribuito ad accrescere il consenso delle cancellerie occidentali, è quello che vede all’interno dell’Esecutivo la presenza di quattro donne di cui due a capo di dicasteri chiave come Halima Abdulrahman, ministra per la Giustizia e Najla al-Mangoush, ministra per gli Affari esteri.

Il percorso di Abdel Hamid Dbeibah non è stato né semplice né scontato. Infatti quello che oggi è definito “l’uomo forte” della Libia, quasi come contrappeso all’altro “uomo forte” (ex antagonista?), Khalifa Belqasim Haftar, ma distinguendolo dal suo predecessore Fayez Muṣṭafā al-Sarrāj, mai ritenuto “forte”, è stato eletto contro ogni previsione a capo del Governo di unità nazionale. Il primo ministro libico era stato votato il 5 febbraio da un collegio di elettori composto da una ridotta assemblea di 74 delegati rappresentanti il Libyan political dialogue forum, i quali si sono riuniti a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite che ne avevano determinato la composizione. In questo contesto è stato dato alla compagine libica ogni tipo di supporto, con ogni tipo di strumento negoziale.

Lo scoglio più alto da superare dal Governo di Dbeibah è la necessità di avviare un percorso, complesso, di riconciliazione tra la Tripolitania e la Cirenaica, martoriate dalle ferite di quattordici mesi di guerra (aprile 2019-giugno 2020), durata della “Battaglia di Tripoli”. Ricordo che l’assalto a Tripoli fu innescato dall’Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar con lo scopo di riunificare la nazione, non ebbe successo soprattutto grazie al ponderoso aiuto dato dalla Turchia all’esercito tripolino. Questa guerra civile ha fatto piombare il palcoscenico nordafricano in un “pantano geopolitico” dal quale poche nazioni sono rimaste fuori, facendo rimpiangere, a molti libici, i tempi di Muammar Gheddafi.

È verosimile che il nuovo Governo libico abbia firmato, agli “sponsor internazionali”, una “cambiale di fiducia” a scadenza. Infatti l’Esecutivo è definito provvisorio, in quanto la sua missione dovrebbe durare al massimo fino a fine anno. La data delle elezioni, sia presidenziali che politiche, è fissata per il 24 dicembre 2021. Dopo questa data, se le elezioni saranno celebrate, il Governo potrà essere l’espressione della volontà dei libici. Intanto, un grande risultato è stato raggiunto: un voto di fiducia a un Parlamento riunificato, anche se sotto la “tutela” delle Nazioni Unite, dopo il grande scisma del 2014, che ha creato, di fatto, una spartizione del Paese, tra Cirenaica e Tripolitania, ma anche Fezzan che era sotto un articolato controllo cirenaico. Questo scisma ha diviso anche la geopolitica, così abbiamo visto protagonisti ed antagonisti, come Russia e Turchia, solo per citare i più esposti, combattersi utilizzando mercenari e droni. In questo duello tra mercenari Wagner filo-russi contro miliziani, anche jihadisti, siriani filo-turchi, Mosca era a fianco di Haftar e Ankara a guida di Sarraj.

Tuttavia, alla “luce” di queste grandi speranze ed entusiasmi internazionali, qualche ombra già si staglia sull’orizzonte. Sembra che il nuovo Esecutivo soffra di una “sindrome politica” molto diffusa, una sorta di vera pandemia etica, cioè quella che vede combinarsi, sul tavolo delle trattative “politiche”, accordi trasversali e propedeutici con ragioni ed obiettivi tendenzialmente legati agli affari ed alla corruzione.

Due incontri destano questi sospetti: quello avvenuto a metà novembre a Tunisi e l’altro, come scritto, a inizio febbraio a Ginevra dove il ristretto collegio elettorale, il Libyan political dialogue forum, fece cadere la scelta del premier su Dbeibah. A tal proposito, l’osservazione di Mohamed Eljarh, che si occupa di analisi politiche per il Libya outlook research and consulting, parla chiaramente di “accuse di corruzione che indeboliscono la stessa legittimità del governo”, addebitate principalmente al neo-premier. Tali dubbi inquinano un processo politico complesso e delicatissimo, soprattutto alla luce di ciò che la Libia è diventata, una “piazza affari” dove armi, petrolio, minerali pregiati, droga, oro e pietre preziose, migranti ed affari di ogni genere, circolano indisturbati in un sistema di mercato di contrabbando, con evidenti effetti, non collaterali, sul sistema socio-economico sia africano che occidentale.

Per concludere, va rilevato che nel “piatto” del nuovo Governo di unità nazionale sembra che manchino alcuni “ingredienti” sostanziali, affinché si possa sperare in una riuscita: tra questi, alcuni influenti personaggi, sia della Cirenaica che del Fezzan, ma soprattutto un certo Seif al-islam Gheddafi.


di Fabio Marco Fabbri