Cauto ottimismo in Libia

giovedì 18 febbraio 2021


I primi riscontri relativi alla situazione in Libia, da quando è entrato in vigore l’assetto istituzionale di transizione concepito a Ginevra lo scorso 5 febbraio, sono confortanti. Il meccanismo proposto dall’Onu al forum libico-svizzero per la formazione del governo e del Consiglio presidenziale, i due organismi temporanei che guideranno la Libia sino alle elezioni del 24 dicembre 2021, al momento non ha trovato ostacoli. Abdulhamid Hamid Mohammed Dbeibeh, nominato primo ministro e Mohamed al-Menfi, capo del Consiglio di presidenza, hanno assicurato il loro impegno a porre fine ad una divisione che in Libia oramai dura da molti anni, con due Governi rivali e i loro eserciti che gestiscono la spartizione del Paese.

L’aspetto innovativo è che i candidati favoriti a livello internazionale non sono riusciti ad ottenere i voti dei delegati, che invece hanno preferito un gruppo di leader piuttosto sconosciuti ma più legati al proprio Paese. Un candidato molto gettonato, Aguila Saleh Issa, vicino a Khalīfa Belqāsim Haftar e considerato legato all’Egitto è stato il grande sconfitto. Il nuovo primo ministro, Abdulhamid Hamid Mohammed Dbeibeh, è un uomo d’affari proveniente da una ricca famiglia di Misurata, cresciuta nel campo dell’edilizia nell’era di Muammar Gheddafi e l’altro vincitore, Mohamed al-Menfi, di Tobruk è un fervente critico di Haftar e sostenitore dell’accordo tra Libia e Turchia.

I perdenti di questo assetto – Emirati Arabi, Russia e Francia – ancora non si sono espressi a favore dei nuovi leader e i mercenari russi ancora non hanno lasciato Sirte. In un modo o nell’altro, c’è fiducia che questo Governo di transizione decollerà e che contestualmente si porrà fine alla guerra civile in Libia iniziata all’indomani della deposizione di Gheddafi nel 2011 e sospesa l’ultima volta con il “cessate il fuoco” siglato a Berlino lo scorso mese di ottobre e rispettato sino ad oggi. Se per far rispettare il “cessate il fuoco” l’Unione europea si era proposta come garante della tregua, tanto da far dichiarare a Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica estera Ue, che il rispetto della misura richiede qualcuno che se ne prenda cura e che debba monitorarlo e gestirlo, in questo momento di dialogo interlibico un intervento potrebbe generare il rifiuto da parte della poplazione libica e minare il processo di unificazione. L’Italia, già presente in Libia con il personale sanitario dell’ospedale di Misurata, sarebbe pronta a partecipare con una forza di interposizione sul modello della missione Unifil (United nations interim force in Lebanon) in Libano, ma se un intervento militare europeo era in agenda sino a qualche settimana fa, ora non è più del tutto chiaro se sia opportuno interferire con una presenza militare nel delicato processo.

L’idea della forza di interposizione europea era nata anche per evitare che la transizione avvenisse solo sotto l’egida di turchi e russi. La Turchia, alleata del Governo già riconosciuto internazionalmente, avrebbe avuto piacere che Fayez al-Sarraj, fosse rimasto al potere, così da salvaguardare gli accordi siglati nel 2019 con Tripoli, volti ad intensificare la cooperazione in materia di sicurezza e nel settore delle attività marittime nella contesa area del Mediterraneo orientale e ad avere il monopolio dell’area. Le Nazioni Unite, soddisfatte del risultato ottenuto, ancora non si sono espresse riguardo ad una forza di qualsiasi tipologia da impiegare per monitorare la situazione. Il nostro Paese sicuramente continuerà il programma di addestramento a favore delle forze armate libiche recentemente concordato tra i rispettivi ministeri della Difesa e non mancherà di confermare l’assistenza sanitaria, garantita ormai da anni. Ma il processo di unificazione appena avviato con l’impegno delle parti avrà buone possibilità di successo solo se gli attori internazionali, per una volta, non si ingeriranno nella sovranità di un Paese stanco di conflitti.


di Ferdinando Fedi