Lo stillicidio del jihadismo nel Sahel e il commercio dei blindati

lunedì 8 febbraio 2021


Una delle armi più efficaci del jihadismo è la propaganda fatta tramite i più disparati mezzi di comunicazione; tra essi il Tadayt che è una organizzazione di propaganda vicino ad Al-Qaeda, la quale ha attribuito al Gruppo di sostegno per l’Islam e i musulmani, Gsim o Jnim in arabo, l’uccisione di dieci soldati maliani il 3 febbraio. La postazione governativa era una sorta di checkpoint fortificato posizionato tra le località di Douentza e Hombori, denominato Boni, nella regione di Mopti ed è stata attaccata, nelle primissime ore del giorno, con le ormai consuete modalità operative.

I mezzi da combattimento in dotazione ai jihadisti, che ricordo sono legati ad Al-Qaeda, sono ormai da tempo di alto livello tecnologico; infatti l’attacco è stato sferrato, oltre che con agili motociclette e pick-up armati, anche con blindati pesantemente equipaggiati, i quali hanno avuto facilmente ragione dei militari maliani, che come scritto precedentemente su questa testata, fanno fatica a sostenere il confronto con i terroristi islamici senza l’ausilio delle forze militari francesi e straniere. I dieci corpi dei soldati morti sono stati trasportati da un elicottero in assegnazione alla missione delle Nazioni Unite Minusma”, all’aeroporto di Sévaré, vicino a Mopti, mentre un’altra decina di feriti sono stati trasferiti in un altro ospedale; inoltre, il violento attacco ha causato significativi danni alla postazione dei soldati maliani. Un portavoce dell’esercito del Mali ha comunicato, tramite i social media, che durante lo scontro sono intervenuti in supporto ai militari, mezzi dell’aviazione facenti parte della dotazione dell’operazione Barkhane, la forza anti-jihadista francese nel Sahel. Nonostante che una fonte militare maliana ha sottolineato che i jihadisti hanno subito “perdite significative”, senza fornire ulteriori dettagli, i dubbi maggiori sorgono sempre sulla dotazione offensiva jihadista che risulta in netta crescita, sia dal punto di vista tecnologico che numerico. Infatti, fanno presente i rappresentanti maliani, che non si conosce “l’origine” dei veicoli blindati. Tuttavia, è noto che uno degli scopi di questi attacchi contro le forze militari regolari e organizzate è quello di entrare in possesso dei mezzi da combattimento dell’esercito e, come avvenuto in altre occasioni, i jihadisti arrivano con pick-up e motociclette. E spesso ripartono con blindati e bazooka Rpg.

Dalle analisi elaborate dalla ricercatrice Héni Nsaibia dell’Acled (Armed conflict location & event data), l’istituto che si occupa dei conflitti dell’area saheliana, risulta che negli ultimi anni i jihadisti hanno rubato almeno una quindicina di veicoli blindati alle forze del Burkinabé e all’esercito del Mali e della Nigeria. Sulla bilancia degli scontri tra i terroristi del Gsim e gli eserciti regolari, il ruolo dell’operazione “Eclipse” risulta in questa fase determinante; infatti, tale operazione, che unisce gli eserciti maliani e francesi, risulta abbia “neutralizzato”, solo nel mese di gennaio, oltre 100 jihadisti come da dichiarazione ufficiale del portavoce delle Forze maliane fatta il 26 gennaio. Il Mali sta affrontando una crisi “multiforme”; dal 2012 è investita da una serie di instabilità e di violenze; i disordini di matrice jihadista partite dal nord del Paese, hanno imperversato su tutta la regione anche nel Burkina Faso e Niger, e questa destabilizzazione, così composita, ha lasciato migliaia di morti, sia civili che combattenti, oltre a centinaia di migliaia di sfollati, nonostante il sostegno degli Stati Uniti, della Comunità internazionale ed un robusto intervento delle forze Onu africane e francesi.

I gruppi armati, comparsi nel 2015 nel Mali centrale, hanno prosperato sui vecchi rancori e antagonismi nati sulle questioni fondiarie e sullo sfruttamento della terra fertile, ancora in atto tra pastori e contadini e tra le etnie Fulani, Bambara e Dogon. I jihadisti attaccano e tentano di distruggere tutto ciò che resta della rappresentazione dello Stato e fomentano o provocano tensioni; inoltre, anche i “gruppi di vigilanti”, una sorta di milizia civica espressione della comunità, sono accusati di abusi e violenze. Il 15 e 16 febbraio a N’Djamena si riunirà un vertice dei paesi del G5 Sahel (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), per fare il punto sulla situazione della sicurezza nella sotto-regione, con all’orizzonte una possibile riconsiderazione della forza “Barkhane”. Intanto, il traffico delle armi traccia un ciclo perverso che parte dalla fornitura di blindati, armi pesanti e leggere e mezzi agili agli eserciti locali da parte della Francia e della Comunità internazionale; molti di questi equipaggiamenti vengono rubati dai jihadisti nelle varie azioni di guerriglia, i quali, come nel caso del gruppo jihadista di Boko Haram, rivendono in parte a gruppi militari inseriti nell’esercito nazionale nigeriano, creando un spregiudicato business delle armi a ciclo continuo.


di Fabio Marco Fabbri