giovedì 26 novembre 2020
Il 27 novembre un diplomatico del regime iraniano, Assadollah Assadi, sarà processato da un tribunale ad Anversa, in Belgio. È la prima volta che un diplomatico in carica viene processato in Europa per un coinvolgimento diretto nel terrorismo. Assadi è un pezzo importante del ministero delle Informazioni del regime; è il capo della stazione in Austria, in pratica il capo dei servizi del regime in Europa. Lavorando sotto le spoglie di terzo segretario dell’ambasciata, il 28 giugno 2018, Assadi a Lussemburgo ha consegnato personalmente i potenti esplosivi Tatp ad Amir Saadouni e Nasimeh Naami, che avrebbero dovuto utilizzare durante il raduno annuale della Resistenza iraniana di Villepinte, dove erano presenti decine di migliaia di persone compresi molti bambini e centinaia di personalità da ogni parte del mondo; la bomba doveva esplodere sotto il balco dei vip; l’intenzione era “spazzare via i vip!”, non curandosi degli effetti collaterali. L’attentato doveva essere eseguito il 30 giugno del 2018 e molti esperti lo paragonano, se avesse avuto successo, agli attentati dell’11 settembre o alla serie dei drammatici attentati del 2015 a Parigi. L’obiettivo principale era Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio nazionale della Resistenza iraniana, donna democratica, musulmana e nemico numero uno della dittatura teocratica al potere in Iran.
Amir Saadouni, un ex marinaio 38enne, si incontrava con Assadollah Assadi (alias Danial) dal 2015. Amir, insieme a sua moglie Nasimeh Naami, si incontrava con Danial in un bar a Salisburgo e anche a Milano, dove riceveva anche una quantità di denaro in contati. Torniamo all’ultima fase del mancato attentato; Assadollah Assadi, 47 anni, entra con il suo passaporto diplomatico all’aeroporto di Schwechat a Vienna, il 22 giugno 2018, arrivando da Teheran con una valigia 24 ore. La polizia di frontiera non potrà controllare la valigia, che i computer segnalavano anomala. Sfortunatamente per Assadi, l’antiterrorismo austriaco Bvt tiene sott’occhio il diplomatico. Sanno che il suo incarico di terzo segretario a Vienna, dove vive con la sua famiglia, in realtà è una copertura per le sue attività più importanti. Tant’è che Assadi in sei mesi aveva viaggiato sei volte a Teheran. Il navigatore dell’automobile, preso a noleggio da Assadi nel 2017, mostrava come lui avesse frequentato la sala del raduno della Resistenza e gli alberghi dove pernottavano i dissidenti iraniani e i loro importanti ospiti.
Il 25 giugno 2018 il direttore generale dell’Intelligence nazionale belga (Vvse), Jaak Raes invia una e-mail al procuratore federale Frédéric Van Leeuw: “Siamo stati in grado di apprendere quanto segue da un servizio partner che Amir S. e Nasimeh N. potrebbero essere coinvolti nell'esecuzione o nei tentativi di atti di violenza in Francia”. Nasimeh e Amir nel frattempo si sono iscritti presso gli organizzatori di Villepinte come volontari per gestire lo stand degli hot dog, accanto allo stand vip. Hanno un pass per l’ingresso del personale. Non devono passare attraverso la sicurezza. Il 28 giugno 2018 Amir e Nasimeh, seguiti dagli agenti del Dsu, partono da Bruxelles con la loro Mercedes passando la frontiera ed entrano in Lussemburgo, qui seguiti dalle forze speciali lussemburghesi. La coppia fa perdere le proprie tracce ma vengono rintracciati alle 14,48 in un panificio insieme a un terzo uomo dalle sembianze di un turista; è il diplomatico iraniano, Assadollah Assadi. Dopo qualche minuto, la coppia torna in macchina e la donna prende posto dietro, per poi scendere dopo pochi minuti e sedere acconto al marito. Gli agenti lussemburghesi non ci badano, ma la donna avrebbe nascosto accuratamente qualcosa sotto il sedile posteriore della Mercedes. La coppia ha ricevuto da Assadi anche un telefono cellulare con un sim card austriaca. Verso le 15,21 ricevono, sul cellulare austriaco, una sms in farsì, “Dio sia con voi!”, e la sera tardi: “Quando domenica avrete venduto tutto, cioè il giorno dopo del matrimonio, vi incontrerò nella terra di Ali. Saremo ricompensati”. Terra di Ali, voleva dire l’Iran.Il 28 giugno Assadi si trova a Bonn con la moglie e i figli; alle 20,08 scrive, Assadi, alla coppia: “State bene? Il gioco è stato installato?”. Risponde Nasimeh: “Sì, il gioco è installato. Domattina giocheremo la partita”. In Lussemburgo, la coppia aveva ricevuto istruzioni dalla bocca di Assadi su come caricare il telecomando della bomba. Sono stati sollecitati da lui a lasciare la sala del raduno per attivare la “cosa” e a tenersi ad almeno 200 metri di distanza.
Il 30 giugno la coppia parte per la missione con la Mercedes. Nasimeh scrive a Assadi: “Vinceremo la coppa! È tutto sistemato!”. Riceve da questi: “Se Dio vuole, la vostra squadra vincerà”. La Mercedes intrappolata nell’ingorgo dell’anello di Bruxelles, Amir tenta una scorciatoia; alle 12,30 la Mercedes viene fermata dalla polizia speciale, Dsu, e nel beauty-case di Nasimeh scopre il telecomando, un detonatore e una bomba contenente 550 grammi di polvere Tatp, lo stesso potentissimo esplosivo artigianale usato dall’Isis nel 2015. Una quarta persona, Mehrdad Arefani, con la cittadinanza belga, in contatto con l’intelligence dei mullà e da molto tempo infiltrato tra i simpatizzanti dei Mojahedin del popolo, doveva osservare e fare un reportage sulla strage nella sala di Villepinte. Mehrdad Arefani è stato arrestato il pomeriggio dagli agenti antiterrorismo francesi. Nel suo cellulare Nokia c’era un solo contatto: “Dadash”, il fratello, col numero austriaco, cioè del diplomatico iraniano, Assadollah Assadi.
Dopo l’arresto Amir deve spiegare il perché di quei materiali. Allora dirà che dal 2015 che si incontrava con Danial e diverse volte accompagnato da Nasimeh. Gli incontri avvenivano a Monaco, Salisburgo, Milano, Venezia, Teheran e più recentemente in Lussemburgo. Dirà che Danial gli aveva parlato del raduno di Parigi e dell’intenzione di fare qualcosa lì. La moglie Nasimeh si crede più furba; parla e racconta del padre malato che l’ha motivata, per poter curarlo, a partecipare a ciò che “pensavo fosse una festa con fuochi d'artificio”. Aveva chiesto, dirà Nasimeh, se ciò avrebbe danneggiato le persone o causato vittime. Le hanno risposto che i medici in Iran l’hanno testato e che avrebbe solo fatto molto rumore. Le avrebbero detto che “non era permesso stare vicino al fuoco con la borsa, ma questo non avrebbe causato alcun danno”.
Il primo luglio, il giorno dopo del raduno della Resistenza iraniana, Assadi è in ansia perché non aveva udito nulla nei notiziari di un attentato dinamitardo a Villepinte. Il programma della giornata di Assadi prevedeva una visita allo zoo, insieme a moglie e i figli, a Colonia. Appena passati da Francoforte, Assadi si ferma ad un’area di servizi, a Aral Spessart Süd lungo la A3 a Rohnbrun. Prima che qualcuno scendesse, l’auto è circondata da unità speciali tedesche. In risposta agli agenti, Assadi sostiene “sono in vacanza con la mia famiglia” e precisa che gode dello status diplomatico. La polizia tedesca trova, tra le cose di Assadi, un taccuino rosso pieno di nomi iraniani, e nella penultima pagina un manuale per l’utilizzo del telecomando. Assadi portava anche una specie di contabilità scritta a mano del denaro che aveva fornito alla coppia Nasimeh e Amir. Il diplomatico non parla e non dà altre spiegazioni.
Il giudice istruttore di Anversa, Isa Van Hoeylandt, tesse la trama: Nasimeh rifugiata in Belgio, nel 2010, si era recata a Teheran, per 13 volte dal 2010 al 2013; otto volte da sola e cinque con Amir, con un passaporto iraniano creato appositamente per lei senza alcun timbro sul suo passaporto iraniano! Quando marito e moglie si incontrano dopo l’arresto, quest’ultima gli rimprovera di aver parlato troppo. Si deduce che Nasimeh era più vicina ai servizi e addirittura il loro matrimonio facesse parte del piano. Anche Farzin Hashemi del Consiglio nazionale della Resistenza Iraniana sostiene che “questa era un’operazione comandata da un’organizzazione creata a Teheran. Sarebbe bello se l’Austria e altri paesi mettessero in dubbio cosa sta succedendo nelle ambasciate iraniane nei loro Paesi!”. Assadi ha continuato a non dire molto, se non minacciare: “Se la decisione del tribunale belga fosse sfavorevole i gruppi armati sarebbero pronti ad agire!”. Si è anche parlato di uno scambio con il professore Ahmadreza Djalali, in carcere in Iran e condannato alla pena di morte nel 2017 con l’accusa di spionaggio. Nulla di fatto. Il povero professore questi ultimi giorni avrebbe chiamato la moglie in Svezia, dicendo che verrebbe impiccato a breve; un ricatto? Al processo del 27 novembre in 29 si sono costituiti 29 parte civile, compresa Maryam Rajavi, che ha già reso una testimonianza di sette ore. Questo è anche un banco di prova per la giustizia dei Paesi democratici, se sia indipendente realmente e per le Cancellerie europee se vogliano ancora negare l’evidenza.
di Esmail Mohades