Armenia: dal successo della “rivoluzione di velluto” al dramma del Nagorno-Karabakh

mercoledì 25 novembre 2020


Nel 2018 l’Armenia ottenne un grande successo di politica interna riuscendo ad estromettere dal potere un regime di impostazione post-sovietica, giudicato autocratico, tendenzialmente corrotto e troppo legato al Cremlino, rappresentato dall’allora primo ministro Serge Sarkissian, portando così al Governo, non senza articolate manovre, Nikol Pashinyan visto come una speranza per un futuro stabile e trasparente. Nikol Pashinyan, eletto primo ministro, godette di un consenso politico e di una popolarità rilevanti. La promessa e la speranza di un’era diversa inebriava la popolazione armena che iniziava a credere che si potesse realizzare una nuova Armenia, costruita da questo giornalista diventato capo del governo, generata con le fondamenta gettate su una pacifica e speranzosa rivoluzione.

A poco più di due anni da quella felice rivoluzione, la guerra per il Nagorno-Karabakh tra armeni e l’Azerbaigian ha frantumato le speranze di un continuo miglioramento della vita in Armenia, lasciando il suo popolo in uno stato di sconcerto e di dolore. Le riforme adottate da Pashinyan contro la corruzione e l’assoggettamento a politiche estere, si sarebbero dovute estendere ad altri ambiti dove il sistema affaristico autoctono ancora resisteva. Oggi purtroppo i conti gli armeni devono farli con un Paese che è stato costretto a firmare una pace con fisionomia di capitolazione, non perché sconfitta dall’esercito azero, ma perché ferita gravemente da quello mercenario turco. La guerra ha lasciato sul campo oltre duemiladuecento patrioti armeni e creato circa centomila sfollati che dal Nagorno-Karabakh si sono rifugiati in Armenia. Così la crisi economica globale trova anche nell’Armenia il suo “campo”, fertilizzato dagli effetti della guerra ed anche dal Covid-19. La desolazione ha preso il sopravvento sull’euforia e sulle speranze gettate dalla Rivoluzione di velluto; l’interferenza turca ha cambiato il destino di una guerra che avrebbe avuto altro esito, ma soprattutto ha bloccato un processo che, se rafforzava l’Armenia, senza dubbio avrebbe consolidato anche gli equilibri nel Nagorno-Karabakh.

Ora gli strateghi armeni hanno avuto coscienza di avere affrontato questa guerra non con la piena consapevolezza, non tanto delle proprie forze, ma di quelle che sono intervenute a sostegno dell’Azerbaigian. Gli armeni, nel ricordo dei combattimenti del 1992-1994, pensavano che il loro esercito fosse superiore alle forze azere, e probabilmente è ancora vero, ma il massiccio intervento dell’esercito turco con il supporto di oltre duemila mercenari siriani, hanno sbilanciato le forze, decretando la superiorità degli articolati avversari. Così la simbolica e strategica fortezza di Shushi, molto amata dagli armeni ma ambita anche dagli azeri, è stata conquistata da Baku. Stepanakert, la capitale della Repubblica dell’Artsakh, Nagorno-Karabakh, ora rappresenta uno Stato ridimensionato e circondato da un territorio occupato dagli azeri; solo una flebile lingua di terra protetta da soldati e carri armati russi, unisce il ridotto territorio del Nagorno-Karabakh all’Armenia. Il conflitto che ha causato la perdita di molto territorio karabakho, ha causato una quarantina di vittime civili armene e circa cento azere e come ricordato, migliaia di militari morti da ambo le parti.

Per sapere con chiarezza cosa non ha funzionato nell’esercito armeno in quel lasso di tempo che va dal 27 settembre al 9 novembre, forse occorrerà far passare tempo; tuttavia potrebbe essere indicativo considerare che, non solo la poca consapevolezza della composita forza degli avversari ha determinato gli esiti del conflitto, ma probabilmente non avere organizzato una preventiva strategia, magari su base di accordi internazionali ampi, Russia e Francia per primi, che avrebbe potuto valorizzare l’eroicità dei patrioti armeni, o magari dirottato ambizioni e annichilito tensioni, considerando inoltre che la Turchia, dopo aver armato e sostenuto l’Azerbaigian contro l’Armenia, collabora alle operazioni di mantenimento della pace. Ma come sappiamo i contorni del ruolo della Turchia rimangano poco chiari in ogni “scacchiere geostrategico” dove è presente; in questo contesto si auspica che Mosca abbia la volontà di controllare le sue azioni.

 


di Fabio Marco Fabbri