mercoledì 28 ottobre 2020
Il progetto pan-turkista di Ankara e Baku, che prevede un piano di annessione all’Arzerbaigian della Repubblica del Nagorno-Karabakh costituita dalla comunità armena, ha allarmato anche un gruppo di circa cinquanta intellettuali che, al “World economic forum” di ottobre, hanno sollecitato la Comunità internazionale a riconoscere il diritto all’autodeterminazione degli armeni karabakhi. Dal 27 settembre l’Azerbaigian, fomentato e pesantemente sostenuto dalle composite milizie del turco Recep Tayyip Erdogan, ha aggredito con una ingente forza la Repubblica del Nagorno-Karabakh. L’obiettivo della strategia del fronte caucasico della Turchia è quello di far rientrare sotto il totale controllo azero, “con le buone o con le cattive” come dichiarato due giorni fa dal presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev in carica da diciassette anni, i territori riconquistati dagli armeni nella guerra del 1993-1994 ed anche tutto il Nagorno-Karabakh.
Le autorità azere ed il loro padrino e socio turco non hanno mai fatto mistero di volere rimettere in discussione l’autonomia di un popolo, quello armeno karabakho, stanziato da sempre su un altipiano nel quale, “sotto la luce del crocefisso” è cresciuta la sua cultura e la sua società. Oggi gli armeni del Karabakh sono costretti ad affrontare non solo una guerra di aggressione, ma un tentativo di annichilimento. Ricordo, brevemente, che il genocidio del popolo armeno avvenne in due fasi: la prima fase, che potremmo definire propedeutica, tra il 1890 ed il 1896, dove l’antica comunità cristiana degli armeni iniziò a subire una prima forte oppressione da parte “turca”; la seconda inizia il 23-24 aprile 1915 con l’arresto, a Costantinopoli, di quasi 3000 armeni: leader di comunità, funzionari pubblici, studenti, commercianti, uomini d’affari, dirigenti politici, intellettuali e giornalisti, e segna l’inizio del “genocidio”. La “pulizia etnica” dell’Anatolia, della Cilicia, della città di Zeytun, della regione di Van, verso il Mar Nero, fino al confine persiano, non può essere negata; come non può essere negato il numero degli armeni morti nel secondo massacro, dove fonti turche, quelle non negazioniste, sbarrano il numero delle vittime a duecentomila, mentre quelle armene arrivano a 2,5 milioni. Mediamente gli storici stimano una cifra tra i 500mila e due milioni di morti, ma l’atrocità dell’evento non può essere commisurata dai numeri.
Adesso si sta delineando, nei progetti turco-azero, un tentativo, forse, di riproporre una storia già vista, ma con alcune differenze. La prima è che tale aggressione si sta celebrando sotto gli occhi del mondo e l’altra è che, rispetto al 1915, il Nagorno-Karabakh e l’Armenia hanno due eserciti eccellenti, organizzati, addestrati e composti da professionisti e non sono soli a livello internazionale, quindi sicuramente in grado di fare fronte anche alle milizie mercenarie siriane filo-turche oltre che azere. Il popolo karabakho conta meno di tre milioni di persone, la Repubblica non ha uno sbocco al mare ed è incastrata tra Stati potenti ed aggressivi. Ancora questo conflitto non ha assunto le connotazioni, e ci si augura che non l’assuma mai, di una guerra religiosa tra cristiani e musulmani, ma il presidente Erdogan sta riesumando, nei suoi discorsi, gli aspetti peggiori del movimento politico nazionalista dei “Giovani turchi” del primo presidente della Repubblica di Turchia, Kemal Atatürk. Questo atteggiamento è usato dal presidente turco per tenere alta, con clamore, l’opinione pubblica che a volte è disorientata dai suoi atteggiamenti. Il 14 ottobre la guerra ha assunto la dimensione di una lotta per la sopravvivenza degli abitanti dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh) alle prese con un nemico che risulta utilizzi armi di distruzione generalmente proibite, come le bombe a grappolo. Sin dai primi giorni di ottobre, la numerosa comunità armena francese si è mobilitata in aiuto ai fratelli armeni del Caucaso; molti studenti franco-armeni sono già partiti per il “fronte” karabakho, e già si contano tra di essi alcune vittime, nonostante i tentativi di dissuasione della diplomazia armena che non favorisce l’afflusso di combattenti stranieri o di origine armena nella zona del conflitto.
Purtroppo, anche la non incisiva azione della Russia, che non impedisce ai suoi due alleati, l’Armenia (cristiana) e l’Arzerbaigian (ex Repubblica sovietica), di cessare i combattimenti, può solo aumentare la minaccia di un allargamento delle dimensioni del conflitto. Al momento è in gioco l’obbligo di frenare il dilagante imperialismo pan-turco che costituisce un grave pericolo per la pace e per la sicurezza globale. Non oso immaginare che la politica professata da Erdogan possa prendere spunto dall’ideologia pan-turca che si era sviluppata sotto il regno del sultano Abdul Hamid II (1876-1909), ma certo è che delle spettrali assonanze si notano.
di Fabio Marco Fabbri