Africa: la corruzione e l’evasione affondano gli investimenti

giovedì 1 ottobre 2020


Come sappiamo l’Africa subisce una serie di condizionamenti da molteplici fonti. Tali influenze la mostrano come un continente dove dilaga corruzione, malgoverno, terrorismo, affari sporchi, analfabetismo ed una sanità frastagliata e sufficiente solo per alcuni ed in alcune aree. Questa situazione se causata da atteggiamenti “distratti” o voluti dai suoi governanti e da una congenita difficoltà a gestire un territorio complesso, è anche aggravata da una corruzione radicata che non sfrutta le vere potenzialità economiche degli Stati a favore della popolazione, soprattutto non applicando controlli sulla fuga dei capitali illeciti. Secondo nuovi resoconti dell’Onu, il contrabbando, la corruzione, la sotto-fatturazione, l’evasione fiscale, causano perdite equivalenti alla somma degli aiuti pubblici destinati allo sviluppo erogati dalle varie Comunità internazionali.

Il flusso in uscita degli enormi capitali illeciti dall’Africa, sta compromettendo le capacità di molti governi di fornire servizi minimi alle loro popolazioni. Secondo l’ultima valutazione elaborata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo (Unctad), contenuta nel rapporto 2020 inerente lo sviluppo economico dell’Africa, pubblicato lunedì 28 settembre, la perdita economica è quantificata, a mio avviso sottostimata, in oltre 76 miliardi di euro all’anno. Tale entità di denaro si avvicina alla somma stanziata per l’assistenza allo sviluppo ed agli investimenti, erogata e soprattutto incassata dai governi africani tra il 2013 e il 2015. Gli autori del rapporto affermano che: “Questi flussi, che privano le tesorerie pubbliche delle risorse necessarie al finanziamento dello sviluppo, sono considerevoli e continuano a crescere” aggiungendo, inoltre, che sono la metà dei 200 miliardi di dollari all’anno ritenuti necessari affinché l’Africa sia in grado di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs) entro il 2030.

Questi deflussi di capitali utilizzano diversi percorsi; i più noti sono la corruzione, il contrabbando, l’evasione fiscale, ma il più consistente riguarda la manipolazione delle fatture nel settore delle industrie estrattive che rappresentano appunto il principale aspetto di questo illecito. L’Unctad, nel suo rapporto, stima che la somma di queste frodi consente di sottrarre 40 miliardi di dollari all’anno agli occhi delle amministrazioni doganali, quindi allo Stato. Tali operazioni hanno una articolata e fantasiosa, ma tuttavia semplice, dinamica; le società coinvolte sono di vario “taglio” ma spesso sono multinazionali che sotto-fatturano l’ammontare delle esportazioni al fine di ricevere l’utile della transazione su un altro conto aperto in un paese terzo; inoltre c’è l’aspetto della fatturazione eccessiva delle importazioni, che consente di svincolare in modo nascosto il reddito acquisito. Dal rapporto Unctad emerge che il settore maggiormente coinvolto in queste operazioni criminali è quello dell’oro che rappresenta oltre i due terzi del capitale distratto, segue il commercio dei diamanti con il 12 per cento delle frodi e quello del platino con il 6 per cento. È evidente che minore è il peso e l’ingombro di un minerale ed alto è il suo valore, tanto è più attraente per le attività criminali.

Junior Davis, direttore dell’ufficio Africa di Unctad e responsabile del “rapporto”, ha fatto presente che solo 43 paesi su 54 del continente africano, pubblicano regolarmente i dati del proprio commercio internazionale, nella banca dati delle Nazioni Unite, affermando, tuttavia, che questa modalità rende difficoltoso cogliere i flussi illeciti legati allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Ha sottolineato Davis che le esportazioni di greggio, che passano attraverso gli oleodotti, non sono registrate presso le autorità doganali e una volta raffinato, il petrolio perde ogni traccia della sua origine, rendendo molto difficile rintracciarlo nelle statistiche internazionali. Si evince quindi che la stima fatta dal rapporto Unctad è sicuramente molto inferiore a quella che sarebbe stata se i dati mancanti, circa il petrolio ed il gas, fossero stati inclusi nell’analisi.

Va ricordato che la presenza di questa economia sommersa in uno Stato è spesso parallela alla scarsità delle risorse dedicate ai servizi essenziali. Sempre nel rapporto Unctad risulta anche che nei Paesi in cui i flussi illeciti di capitali sono rilevanti, i fondi destinati al settore sanitario sono inferiori in media del 25 per cento del fabbisogno, mentre per l’istruzione almeno del 58 per cento inferiori; due fattori che direttamente soggiogano la popolazione. La necessità di un controllo di questa “economia mafiosa” non riguarda quindi solo l’aspetto economico, ma soprattutto quello sociale ad esso legato. La carenza di risorse nazionali che vengono distratte da operazioni di contrabbando, impoverendo i “tesori nazionali”, contribuiscono sia a creare i processi migratori che proprio grazie all’assenza dello Stato nell’erogazione servizi di base si sviluppano, sia sciogliere una parte del collante che lega la popolazione al proprio Stato. La perplessità maggiore nasce dalla considerazione che questa emorragia di capitali illeciti equipara, se non supera, la “trasfusione” di capitali “leciti” internazionali destinati al sostentamento e alla crescita degli Stati africani; uno scambio improprio che rende ovviamente vani gli aiuti delle varie Comunità internazionali verso i sofferenti Stati africani; una insanabile condizione che contribuisce a disegnare il “quadro africano” dove la gestione del caos è la norma.


di Fabio Marco Fabbri