Dal Niger al Nilo: il “compasso” del jihadismo

lunedì 8 giugno 2020


Per gli interessi internazionali non tutto il jihadismo desta la stessa attenzione e preoccupazione. La regione del Sahara-Sahel è da alcuni anni centro di crescita dell’estremismo islamico, soprattutto dopo il forte ridimensionamento dell’Isis, ma solo in casi particolari come l’eliminazione in quell’area di un leader jihadista, sale alla ribalta dei media mondiali. La soppressione del leader di Al-Qaida nel Maghreb islamico, Aqmi, l’algerino Abdelmalek Droukdal, ucciso mercoledì dalle forze francesi in Mali, osannato come un successo contro il terrorismo islamico, è solo un “calcio nel formicaio jihadista” i cui effetti possono essere anche irrilevanti.

Il blitz condotto dalle forze speciali francesi, come dichiarato dal portavoce dello Stato Maggiore transalpino, il colonnello Frédéric Barbry, è stato organizzato con truppe terresti supportate dall’aviazione leggera; l’operazione è stata rapida e si è svolta nella distesa desertica dell’estremo nord del Mali, a circa 25 chilometri dal confine con l’Algeria, nell’area di Ourdjane, poco a sud del villaggio di Talhandak, mercoledì 3 giugno in tarda serata. Nell’assalto sono morti anche altri jihadisti di spicco dell’Aqmi, alcuni risulta si siano arresi. La zona di Talhandak è estremamente cruciale per i contatti con l’Algeria, è una sorta di area di stoccaggio per gli scambi tra la zona del Sahara-Sahel ed il Maghreb, dove armi, materiali di ogni genere ed esseri umani, specialmente migranti, stanziano anche per settimane; la zona desertica si converte in un hub o punto di raccordo per le attività di contrabbando globale. L’uccisione di Abdelmalek Droukdal non sarà determinate per l’indebolimento del jihadismo nel Sahel a causa della grande frammentazione delle espressioni organizzate dell’estremismo islamico nell’area, ed anche perché il jihadismo prevede una immediata sostituzione dei loro leader eliminati.

Tutta l’area del Sahara-Sahel dal 2012 è interessata dalla proliferazione di violenze di matrice terroristico islamica ed è culla di numerose organizzazioni jihadiste: tra le principali ricordo il gruppo di Katiba Macina fondato da Amadou Koufa, inizialmente associato con Ansar Eddine, il cui fondatore e guida è Iyad Ag Ghali, poi resisi autonomi; ambe due i gruppi sono armati ed osservanti del salafismo jihadista, ed il Gruppo di Supporto per islam e musulmani, Gsmi o Jnim, tentacolo, come Aqmi, di Al-Qaida. Tutti questi gruppi sono collegati con lo Stato islamico del Grande Sahara, Isgs, affiliato all’Is, il cui capo è Adnan Abou Walid al-Sahraoui, prevalentemente operante nell’area dei tre confini, Niger, Burkina Faso e Mali.

Il Niger è stato più a lungo resiliente alle aggressioni guidate dallo Stato islamico del Grande Sahara, da Al-Qaida e dall’Is; nonostante tale reazione, l’esercito nigerino ha subito gravi perdite che hanno provocato centinaia di morti, mettendo in evidenza come il ramo saheliano dell’Is, che è particolarmente attivo tra il Mali e la regione nigerina di Tillabéri, si sia rafforzato sfruttando il crescente distacco tra il potere centrale e le comunità locali.

In verità, le offensive delle forze del Barkhane e del G5 Sahel stanno rimettendo in moto i conflitti intercomunitari che lo Stato islamico del Grande Sahara e i suoi vari tentacoli, sanno abilmente sfruttare, presentandosi come paladini delle comunità e come alternativa ad uno Stato inadatto a rispondere alle lagnanze della gran parte della popolazione che vive lontana dai contesti urbani. Le recriminazioni si concentrano sulla difficoltà dell’accesso alle risorse del “suolo”, alla sotto rappresentanza delle comunità negli ambiti della pubblica sicurezza, come quella dei nomadi Fulani all’interno delle forze di polizia; inoltre le note accuse di abusi commessi dalle forze di sicurezza contro i civili, incrementatesi in questi ultimi mesi, hanno portato al reclutamento di nuovi jihadisti tra la popolazione emarginata e abbandonata dallo Stato. Proprio un dossier di circa un mese fa, sfuggito al controllo dei servizi di sicurezza nigerini, riportava di un centinaio di civili dispersi appartenenti alle comunità nomadi e semi-nomadi, probabilmente uccisi dall’esercito nigerino. Il ministro della Difesa Issoufou Katambe ha garantito che un’indagine assolverà l’esercito dalla responsabilità, ma in pratica il divario continua ad allargarsi tra le comunità nomadi e lo Stato.

Fino ad ora i tentativi di dialogo con le comunità della regione di Tillabéri hanno registrato scarsi progressi, ed anche quando il dialogo era l’opzione guida e privilegiata, era indebolito da una mancanza di coordinamento e consenso all’interno dei “cenacoli” del potere centrale.

Il governo nigerino come altri governi del Sahel, dovrebbero privilegiare il dialogo con le popolazioni nomadi, facilitando nel contempo gli accordi tra e all’interno delle diverse comunità. Niamey dovrebbe inoltre sviluppare soluzioni per risolvere l’antagonismo sulle risorse terrestri e sul bestiame, che alimenta la maggior parte dei conflitti tra le comunità della regione.

È auspicabile che nell’aerea degli Stati del Sahel, oltre all’azione militare utile per decapitare provvisoriamente i gruppi jihadisti, che è necessaria, i governi incrementino gli sforzi politici per ripristinare la pace tra le comunità e soprattutto riaccendere costruttivi legami con la parte più soggetta al plagio jihadista che è quella più emarginata, considerando che il jihadismo del Sahara-Sahel è a lungo termine, più globalmente insidioso del jihadismo del Vicino Oriente, quantomeno perché molto parcellizzato ed in forte espansione e che attualmente congiunge con una catena di terrore il Niger al Nilo.


di Fabio Marco Fabbri