Quando si tratta di condannare Israele, l’Ue è sempre pronta

lunedì 18 maggio 2020


L’Unione europea, quando occorre prendere una posizione circa le mosse di Israele e l’eterno conflitto con i palestinesi, di solito non è mai tenera nei confronti dello Stato ebraico. Ciò si concretizza solitamente attraverso le dichiarazioni ufficiali delle Istituzioni comunitarie, vale a dire nel momento in cui l’Ue parla con una voce sola, anche se poi emergono distinguo fra i vari Paesi membri. C’è chi non vede l’ora di poter trattare Israele quasi come uno Stato terrorista e criminale, ma vi sono anche governi del Vecchio Continente assai più cauti e ponderati. Si avverte tuttavia l’esistenza in Europa di una sorta di costante pregiudizio che quando non è palese, diventa almeno strisciante e si cela dietro a tante affermazioni ipocrite e di circostanza. Già la cosiddetta equidistanza europea fra Israele e il fronte arabo-palestinese, perorata da molti esponenti della politica presente e passata del nostro continente, rappresenta un atteggiamento abbastanza abominevole. Lo Stato d’Israele è l’unica e vera democrazia del Medio Oriente, che offre peraltro opportunità di lavoro e di un’esistenza migliore anche a tanti arabi.

“La libertà dell’Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”, così diceva Ugo La Malfa, e non aveva affatto torto. Proprio per la sua natura, lo Stato ebraico non può mai essere messo sullo stesso piano non solo di Hamas, ma anche dei cosiddetti “moderati” di Al-Fatah, dell’Anp e del leader palestinese Abu Mazen, i quali restano comunque lontani anni luce dallo Stato di diritto e dalla democrazia liberale. Negli ultimi anni sono stati lanciati a più riprese dalla Striscia di Gaza, sotto il pieno controllo dei terroristi, perché questo sono, di Hamas, missili e razzi su alcune città israeliane come Sderot e Ashkelon, con la deliberata intenzione di colpire civili inermi ed abitazioni private. Israele ha reagito militarmente più di una volta colpendo obiettivi di Hamas a Gaza, e del resto non avrebbe potuto fare in altro modo perché una completa inazione sarebbe stata deleteria per la sicurezza del popolo israeliano e ai fini del contenimento delle mire criminali di chi ha in pugno la Striscia. Il governo di Benjamin Netanyahu, durante le risposte militari dei tempi più recenti, non è andato oltre all’eliminazione di quelle basi operative di Hamas più pericolose per il territorio israeliano ed ha evitato quindi, pur potendolo fare, una totale rioccupazione della Striscia di Gaza con conseguente cacciata dei loschi figuri di Isma’il Haniyeh.

Netanyahu si è attirato persino qualche critica interna da parte di coloro i quali ritengono, non del tutto a torto, non sufficiente il semplice contenimento dei terroristi di Gaza perché questi, dopo ogni raid israeliano, tornano puntualmente e sistematicamente a riarmarsi e ad attaccare di nuovo. Ma le Istituzioni europee tendono quasi sempre a vedere le reazioni da parte di Israele come eccessive e sproporzionate, invitando lo Stato ebraico alla calma, cioè di fatto a soccombere, mentre non stigmatizzano con altrettanta convinzione i razzi Qassam provenienti da Gaza e l’uso di donne e bambini come scudi umani. Poi capita che il rappresentante Ue presso la Striscia di Gaza e la Cisgiordania scriva alle Ong palestinesi circa la possibilità di ottenere fondi europei anche da parte di persone fisiche affiliate o sostenitrici in qualche modo di organizzazioni presenti nella lista nera del terrorismo internazionale redatta dalla stessa Unione europea. Per dirla in parole semplici, Hamas, il cui nome compare nella citata lista, non può chiedere alcunché se si presenta nel suo complesso come organizzazione paramilitare o partito, ma un militante della stessa sarebbe autorizzato a richiedere singolarmente per sé i finanziamenti europei.

Una follia destinata a foraggiare il terrorismo e chi vuole cancellare Israele dalle carte geografiche. Occorre precisare che il rappresentante dell’Unione presso i Territori palestinesi, tale Sven Kühn von Burgsdorff, è stato smentito da Bruxelles, ma il contenuto della sua missiva inviata alle Ong è un segnale che inquieta. Si tratta di una notizia di pochi giorni fa passata quasi inosservata in un mondo concentrato solo sul Covid-19, ma sempre non molti giorni fa la nostra Ue, pur presa dal Coronavirus, è riuscita comunque a trovare il tempo per tornare su Israele, e con intenti non proprio amichevoli. Il governo israeliano di unità nazionale di Netanyahu e Benny Gantz, fra l’altro appena insediatosi, sarebbe deciso a procedere con l’annessione degli insediamenti ebraici in parti della Cisgiordania e nella Valle del Giordano. L’Europa, per bocca di Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue Josep Borrell, minaccia sanzioni e ritorsioni come se avesse a che fare con l’Iran o qualche altro Stato canaglia, rivelando per l’ennesima volta di non comprendere o di non voler comprendere i particolari bisogni di sicurezza dello Stato d’Israele. Quest’ultimo non combatte un nemico convenzionale, che magari spera soltanto in una vittoria militare e in un ridimensionamento altrui, bensì si confronta da sempre con chi intende cancellarlo dalla faccia della terra.


di Roberto Penna