Tunisia, Turchia e Qatar: il rischio di pericolosi accordi commerciali

mercoledì 13 maggio 2020


A fine febbraio dopo cinque mesi dalle elezioni legislative tra difficoltose trattative e un preoccupante vuoto politico, la Tunisia ha avuto finalmente un governo. Ma il governo originato è sorto sulla necessità di farlo nascere per non dovere ritornare alle urne, e si sa che in questi casi il voto rischia di mutarsi in una espressione demagogica con troppe incognite e dopo il lungo strascico dei postumi della “Primavera araba”, ma meglio “autunno”, del 2011, era necessario un segno di concretezza politica. Così Elyes Fakhfakh, con 129 voti a favore e 77 contrari più una astensione, diventa l’ottavo capo del governo della Tunisia dopo la “Rivoluzione” del 2011. La nuova Guida del Governo ha dovuto negoziare forse con l’interlocutore meno desiderato, il partito islamista di Ennahdha (Rinascimento) che in parlamento è maggioritario con i suoi 52 seggi e nell’esecutivo, scaturito dagli accordi, ha sei ministeri con portafogli. Inoltre nel panorama di maggioranza parlamentare si allocano il partito della Corrente Democratica, il Partito della Riforma nazionale, il Movimento popolare Tahya Tounes ed una serie di parlamentari molto sensibili al tema dei “diritti umani”. Come nella maggior parte dei programmi governativi, l’aspetto economico è stato messo al centro dei progetti da realizzare.

Il capo e fondatore del partito Ennahdha e Presidente del Parlamento tunisino, l’islamista Rached Ghannouchi, ritenuto un personaggio controverso, ha in questi ultimi giorni mostrato un atteggiamento che conferma le perplessità di molti politici e analisti che vedono innaturale, fragile e azzardata l’ardita coalizione di governo. Colpisce il riassetto generale che Ghannouchi, detto lo Sceicco, ha apportato al suoUfficio Esecutivo”, “organo personale” con mansioni politiche, del movimento islamico tunisino Ennahdha, che durante l’ultima riunione ha provveduto a liquidare. Ghannouchi ha motivato la decisone come necessaria per il prossimo Congresso del Partito Ennahdha. Smembrato l’Ufficio Esecutivo, ne ha costituito uno provvisorio e ha chiesto al Consiglio della Choura, che ricordo è stato l’organo che ha scelto i ministri del Governo per il partito Ennahdha, l’elezione di un nuovo Ufficio Esecutivo in pochi giorni, questo per prepararsi al nuovo congresso del partito, rimandato più volte probabilmente per timore di perdere la leadership. Questa è la motivazione ufficiale, ma in realtà i fatti sono che Ghannouchi, in questo momento sotto attacco politico, non ha trovato nei membri dell’Ufficio Esecutivo e altri dirigenti del partito, quella reazione di difesa che si aspettava e che avrebbe dato l’impressione di compattezza politica intorno alla sua figura. Da una osservazione politica, con la disgregazione dell’Ufficio Esecutivo, e la sua immediata ricostituzione, si evince che lo “sceicco” ha voluto ribadire il suo potere sul partito e su tutti gli organi collegati compreso il “Consiglio della Choura”. Sembra, da indiscrezioni, che i nuovi membri dell’Ufficio Esecutivo non siano frutto di libere elezioni da parte dei membri della Choura, ma la “ratifica” dei nominativi imposti da Ghannouchi.

Queste tensioni all’interno del maggior partito di maggioranza nascono dal rinvio, avvenuto alla fine di aprile, di due progetti di legge che riguardano rapporti di “cooperazione” internazionale con Stati tendenzialmente islamisti, rivelando inoltre i punti deboli della coalizione governativa guidata appunto da Ennahdha. Le “proposte” di legge sarebbero dovute essere approvate all’unanimità il 29 e il 30 aprile dall’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (Arp), organo legislativo della repubblica di Tunisia; esse prevedono una serie di accordi bilaterali di investimento e convenzioni che concedono a stati esteri l’insediamento di “sistemi operativi” e strutture varie in Tunisia. In questo caso la debolezza della coalizione governativa, compresa quella del partito Ennahdha, e la forza dell’opposizione, espressi nell’ambito democratico dall’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo (Arp), hanno impedito che la proposta diventasse Legge. Le forti perplessità circa i partner previsti nell’operazione di cooperazione, sono nella fattispecie rivolti verso il coinvolgimento della Turchia e del Qatar Fund for Development (Qfd, agenzia di sviluppo del Qatar).

La battagliera Abir Moussi, presidente del Partito Destouriano Libero, (Pdl), di opposizione, e punto di riferimento per molti nostalgici del vecchio regime, è stata la prima a sollevare critiche su queste ipotesi di accordi, dichiarando che danneggerebbero gravemente la sovranità nazionale, consentendo agli investitori del Qfb del Qatar e turchi, di trasferire fondi senza limitazioni e restrizioni. Va inoltre considerato che questi due Paesi tramite i loro enormi investimenti, con questi accordi porterebbero sostegno economico e politico al partito islamista Ennahdha di Rached Ghannouchi. In ultima analisi la Turchia ed il Qatar sono alleati in Libia, e sono sostenitori del governo di Tripoli, e la Libia confina, pericolosamente con la Tunisia; inoltre è noto che i Fratelli Musulmani godono di “comprensione” e di ingenti finanziamenti, sempre meno celati, provenienti dai governi della Turchia e del Qatar e che potrebbero rendere la Tunisia una base logistica per sostenere lì i Fratelli Musulmani.

Come abbiamo visto nell’ambiguo caso di Silvia Romano (dove tra l’altro il sorriso contrasta con le conformità di una conversione al salafismo jihadista ed altro), la Turchia ha dimostrato una assoluta autorità anche nel Corno d’Africa; forti segni di una volontà di rinascita dopo quasi cento anni dalla fine dell’Impero Ottomano.


di Fabio Marco Fabbri