L’Africa diplomatica in aiuto alla Libia

lunedì 4 maggio 2020


Si potrebbe immaginare che in fase di Covid-19 qualsiasi azione diplomatica legata al tentativo di pacificare il “pantano libico” possa essere inopportuna ed inutile; tuttavia analizzando ciò che importanti “organizzazioni africane” stanno “rimettendo” in piedi, si notano interessanti programmi, di matrice africana, tesi a trovare una soluzione “continentale” alla “questione libica”. I fallimenti delle diplomazie internazionali dal 2011 in poi, data della deposizione e morte di Muammar Gheddafi, causata esclusivamente da interessi internazionali attratti dalle prodigiose ricchezze del sottosuolo libico, sia terrestre che marittimo, ha condotto la Libia su una strada disseminata di disgrazie e sofferenze per la sua popolazione, trasformando il Paese in un campo di battaglia regionale. Qui si confrontano, nel complesso, dieci Stati: Russia, Usa, Paesi europei, e Paesi del Medio e Vicino Oriente, tra essi Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, i quali misurano la loro potenza offensiva e politica senza correre il rischio di una guerra diretta tra di loro. 

In effetti i libici non sono più i protagonisti dei combattimenti che si svolgono sul proprio territorio, ma ne sono le vittime, avvolti dall’ipocrisia della comunità internazionale che esorta i belligeranti a cessare le ostilità, creandosi così un alibi pubblico di “buona coscienza”, ma allo stesso tempo non impediscono ai vari “padrini operativi” dell’una o dell’altra fazione, di alimentare il fuoco della morte. Si assiste quindi ad una macabra infantilizzazione” delle azioni diplomatiche internazionali, che fino ad ora hanno agito con patetiche convocazioni dei due contendenti: il feldmaresciallo Khalifa Haftar, dotato di una “leadership naturale” e forte fascinazione sul popolo libico, con concrete possibilità di estendere il suo dominio su tutto il Paese e l’artificiale, debole e soggiogato Governo di Unità Nazionale, rappresentato da al-Sarraj, costruito e riconosciuto dalle Nazioni Unite. I pranzi, le finte strette di mano tra Haftar e Sarraj,  gli accordi, le promesse di aiuti, le sfilate di improvvisati rappresentanti delle diplomazie europee, le dimissioni, nel marzo 2020, dell’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia Ghassan Salamé, hanno solo creato visibilità ai partecipanti, ma mantenuto l’invisibilità ed allungato l’agonia del popolo libico. In ultimo, il primo di aprile, “l’operazione marittima Irini” “pace” in greco antico, mirata ad un controllo capillare sull’embargo delle armi, è stata l’ennesima mezza misura applicata dall’Unione europea, in quanto è violata sistematicamente e palesemente dalla Turchia. Tale situazione incoraggia, nonostante il coronavirus, a sbarcare in Europa i circa 3/4milioni di pseudo rifugiati presenti in Libia. È quindi questa la strategia di Ankara, stimolare l’Europa a “guardare altrove” per avere campo libero per perseguire il suo “califfale” disegno. Visti i cinici e cronici fallimenti della diplomazia internazionale, potrebbe sembrare insensato considerato ideale tale periodo storico per avviare negoziati utili, ma coraggiosamente l'Unione Africana (Ua) si sta riproponendo, come attore diplomatico, per restituire la Libia ai libici, attraverso una consultazione paziente e inclusiva tra di loro.

Lo scopo dell’Unione Africana è quello di pacificare questa parte del continente, salvando vite umane e permettere di riavviare una ricostruzione del Paese, basando il consenso su tre obiettivi fondamentali: pace, patriottismo e ricostruzione, escludendo necessariamente interferenze esterne. Ricordo che a maggio 2018, la Fondazione Brazzaville, supportata dall’Unione Africana organizzò, a Dakar, con lo spirito del “razionale dialogo inclusivo”, un semplice incontro tra “libici”; erano presenti i protagonisti della rivoluzione del 2011, nonché le fondamentali figure dell'ex regime di Gheddafi, tra cui il figlio di Saïf al-Islam Gheddafi. Nella riunione  furono escluse le “condizionalità”, ovvero le condizioni preliminari al “dialogo”, ma nonostante il clima teso il colloquio fra gli antagonisti fu avviato senza l’inutile ausilio di un “maestro delle cerimonie” extra e di una pianificazione dei lavori. Superarono, allora, molte ostilità, le rivendicazioni del passato, pensando ad un Governo unico, ad una organizzazione militare unica e con uno sguardo fondamentale al popolo libico. Si interruppe il dialogo “grazie” agli “aiuti internazionali”.

Ora in epoca pandemica, l’Unione Africana e la Fondazione Brazzaville, tentano di riaprire il dialogo interrotto; si prevedono incontri con “geometrie variabili” che dovranno portare ad un Forum nazionale, ma dovranno assolutamente evitare di accettare “tizzoni” proposti da Paesi stranieri come fonte di “luce”, ma che in realtà alimenterebbero il “fuoco”.


di Fabio Marco Fabbri