In Iran si muore in silenzio

venerdì 17 aprile 2020


Come sarebbe bello far svanire le brutte cose negandole. In Iran migliaia di persone muoiono con il Covid-19, il regime non le conta e quindi non le vede e così pure la stampa dei Paesi liberi e democratici non le vede e su quel Paese esercita l’indifferenza, non ne parla. Stando alle cifre ufficiali della dittatura al potere in Iran il numero delle vittime, alla data del 16 aprile, ammontano a 4.869. Le autorità del regime forniscono, ognuna la sua interpretazione dei fatti. Il giornale governativo Jahan-e Sanàt, il 13 aprile, scrive che il governo di Rouhani è confuso tra salute, pane e lavoro. Prendendo il termine “confuso” un eufemismo, come credergli. L’altro girono il ministero della Sanità del regime annunciava che nelle ultime 24 ore i morti da coronavirus nel Paese erano 94 e nello stesso giorno la presidente del comitato della Salute del Consiglio comunale della capitale, Nahid Khodakarami, dichiarava che solo a Teheran muoiono da 70 a 100 persone al giorno con coronavirus.

Il presidente del regime, Hassan Rouhani, annuncia che vuole combattere il coronavirus contemporaneamente alla disoccupazione. Il bronzeo presidente mentre enumera e irride tutti i Paesi democratici in affanno con gli scaffali vuoti nei supermercati, aggiunge che la preoccupazione principale della gente è la salute, ma anche il pane. Non si capisce quale sia il compito del suo governo in mezzo ad una pandemia senza precedenti, se non assistere persone in difficoltà.

In Iran, su 85 milioni di abitanti, circa 32 milioni vivono ai margini della società e in povertà assoluta. Questa gente se non lavora muore letteralmente di fame. In una situazione economica critica Rouhani, dall’alto della sua irresponsabilità endemica, ha annunciato la fine del blocco per il coronavirus al 18 aprile, rischiando una vera e propria catastrofe umanitaria mettendo in circolazione un bomba ad orologeria. Lo scopo è chiaro: evitare una rivolta della fame. Perché il numero delle vittime da Covid-19, tra contagiati e deceduti supera centinaia di migliaia di persone.

La Resistenza iraniana, i Mojahedin del popolo, ha fornito il drammatico numero dei decessi, rilevati in 294 città del Paese alla data del al 16 aprile, almeno 30mila. Questo doloroso numero di persone che muoiono, è stimato con molta cautela e in difetto. In questa angosciosa situazione in Iran confrontare il “metodo” iraniano con quello cinese, europeo o americano è del tutto forviante. Perché mentre gli altri Paesi in ogni caso danno la priorità alla salute della loro popolazione, ciò che per la teocrazia iraniana ha priorità assoluta è la sua sopravvivenza e non lo nasconde neanche.

Il numero elevato delle vittime non è neanche un male per il regime, come chiamava la guerra “la manna del cielo”; lo userà come una leva per chiedere di togliere le sanzioni – che gli sono state imposte per bloccare la sua folle corsa per produrre armi nucleari e missili e che non comprendono medicinali e generi alimentari – e per rivendicarlo nelle eventuali negoziazioni future. Per questo il regime rifiuta gli aiuti umanitari statunitensi, ignora il canale di trasferimento bancario in Svizzera per l’Iran, Shta, che sostituisce lo Swift per l’acquisto di medicinali ed espelle Medici senza frontiere che erano andati in soccorso agli iraniani. E per voce del suo ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif chiede al Fondo Monetario Internazionale la concessione di 5 miliardi di dollari di finanziamenti per affrontare l’emergenza da coronavirus. Il regime iraniano vuole “cash”! Chissà perché il regime rifiuta tutti gli aiuti e vuole solo i contanti? Perché non attinge alle varie fondazioni riferite ad Ali Khamenei che vantano centinaia di miliardi in cassa? Un membro della Commissione di bilancio del Majlès a proposito di queste fondazioni in una intervista con l’agenzia Ilna ha dichiarato: “Credo che l’unica via d’uscita sia che alcuni di questi enti che hanno ingenti capitali soccorrano il governo, anche perché questi soldi sono patrimonio della nazione e del Paese”.

È la prima volta che Khamenei, la Guida del regime, viene interpellato pubblicamente da un membro del Majlès. Ali Khamenei ha impiegato 11 giorni prima di dare il suo consenso al prelevamento di un miliardo di dollari dalla Cassa dello sviluppo. Forse il regime è in crisi acuta e Khamenei indebolito visibilmente? Forse l’esercito della fame è in procinto di una nuova rivolta? La stampa di quaggiù può continuare a fare da eco alle dichiarazioni del regime costruite ad hoc per individuare un nemico esterno e ripetere che la crisi iraniana è colpa delle sanzioni statunitensi. Ma gli uomini del regime sanno dov’è la fonte della crisi e se la rinfacciano nelle loro beghe interne. In questi giorni di drammatica difficoltà hanno indicato dove prelevare il denaro: dai numerosi enti e fondazioni cosiddetti “santi” che generano profitti enormi e che non pagano neanche le tasse.

Nella pandemia il regime religioso al potere in Iran incapace di dare sussidi necessari alla quarantena, spinge l’esercito degli affamati al lavoro; possiamo anche chiudere gli occhi, ma la gente muore e muore in silenzio.


di Esmail Mohades