venerdì 3 aprile 2020
Taiwan l’isola che avrebbe potuto essere spazzata via dalla veemenza del Covid-19, ha raccolto applausi e attestati di merito in quanto è riuscita ad arginare l’ondata del virus. Come ha fatto? Questa è la domanda che molti si sono posti seguendo il grafico dei contagi che non saliva come ci si attendeva. D’altro canto, l’isola giace solo poco più di cento chilometri dalle coste cinesi e, cosa molto più importante, è estremamente connessa con il gigante cinese. Alcuni numeri spiegano meglio di ogni parola la portata delle relazioni. Dei 23 milioni di cittadini taiwanesi ben 850mila risiedono in Cina e 404mila lavorano in Cina, nel 2019 ben 2.170.000 turisti hanno visitato Taiwan, il numero di voli aerei tra i due paesi è notevole e dall’epicentro Wuhan in alcuni giorni decollavano ben tre voli con destinazione Taipei. Gli ingredienti per un disastro c’erano tutti.
Ma le autorità taiwanesi hanno messo in pratica una strategia preventiva che ha fatto da argine all’espansione del Covid-19. Fin dal 31 dicembre hanno iniziato a fare controlli sui passeggeri che provenivano da Wuhan. I report di una polmonite aggressiva che giungevano dall’Organizzazione mondiale della sanità, hanno messo in allarme i taiwanesi. Fin dal 5 gennaio i casi sospetti provenienti dalla Cina venivano messi in quarantena dopo essere stati testati per ben 26 tipi di virus inclusi Sars e Mers. Quindi il primo elemento della ricetta taiwanese è senza ombra di dubbio una spiccata proattività combinata con la diffidenza nei confronti delle autorità cinesi, diffidenza che nasce da anni di tensioni politiche tra Pechino e Taipei.
Secondo punto è ciò che l’epidemia di Sars del 2003, ha lasciato in eredità: il National Health Command Center (Centro di comando salute nazionale) che coordina tutte le operazioni tra le autorità centrali, regionali e locali. Ed infine il massiccio uso della tecnologia per incrociare i dati degli archivi dell’amministrazione sanitaria con quelli dell’agenzia immigrazione, l’utilizzo dei codici QR, la messa a disposizione dei dati a tutte le cliniche, ospedali, farmacie e la questione più annosa in occidente, il monitoraggio elettronico tramite cellulare dei casi ad alto rischio e quindi posti in quarantena.
E la popolazione apprezza, l’indice di gradimento della riconfermata Tsai-Ing Wen è salito proprio grazie alla gestione dell’emergenza. Jeffrey, un giovane studente di ingegneria aerospaziale all’università di Prescott in Arizona, qualche giorno fa (16 Marzo), prima che lo tsunami coronavirus travolgesse in maniera perentoria gli Stati Uniti, ha deciso di fare ritorno in patria. Su Facebook ha raccontato il suo rientro sottolineando l’efficienza riscontrata a Taiwan rispetto al lassismo statunitense dove ancora trionfavano le frasi “è solo un’influenza”, “le mascherine non servono a nulla”, “basta lavarsi le mani”. “All’aeroporto di Los Angeles, al check-in della compagnia taiwanese China Airlines mi è stato chiesto se possedevo un numero di telefono cellulare taiwanese per poter ricevere un questionario sviluppato dal Centers for Disease Control accessibile attraverso un codice QR”.
Jeffrey spiega che tra le domande del questionario, figurava la richiesta della storia di viaggio nelle ultime due settimane e l’attenzione era centrata su possibili visite in Cina, Hong Kong o Europa. Mascherine per tutti sull’aereo e l’annuncio che il numero 1922 del Centers for Disease Control era attivo per chiunque avesse avuto qualunque sintomo riconducibile al coronavirus. “All’arrivo a Taipei ho ricevuto dal Centers for Disease Control un pass via messaggio che mi escludeva dalla quarantena (perché non proveniente da una zona ad alto rischio), ma per legge sono obbligato ad indossare la mascherina in pubblico e tenere sotto controllo il mio stato di salute, misurando la febbre due volte al giorno e tenendo traccia dei luoghi visitati per facilitare il tracciamento qualora contraessi il virus”. Jeffrey racconta che l’intera procedura all’aeroporto è durata pochissimo ma aggiunge che è atterrato alle quattro di mattina. Tra i fatti che dimostrano la serietà dell’approccio taiwanese è bene menzionare l’organizzazione dei taxi che attendono i passeggeri. “Ci sono due tipi di taxi, quelli normali e quelli per le persone che devono osservare la quarantena, con questi ultimi sovvenzionati dal governo in quanto i soggetti in quarantena non possono usare i mezzi pubblici”.
Alcuni amici di Jeffrey, rientrati dagli Stati Uniti quando questi ultimi erano stati inseriti nel gruppo di paesi di “Livello 3” per cui a maggior rischio, sono tutt’ora in quarantena. “A quanto pare la loro posizione è tracciata con la rete telefonica, la polizia controlla le immagini delle tivù a circuito chiuso e in ogni momento è possibile che le autorità chiamino per verificare condizioni e posizione del soggetto in quarantena. Il governo offre mille dollari taiwanesi (circa 30 euro) al giorno per chi è costretto in quarantena e invia un pacco contenente cibo in scatola, noodles, snack e perfino libri. Un mio amico ha ricevuto un libro di poesia cinese”. Infrangere la quarantena può costare molto caro come dimostrano le pene comminate a quattro persone che non hanno seguito le ferree regole del governo. Un milione di dollari taiwanesi di multa, circa 30mila euro con il premier Su Tseng-chang che precisa in un post su Facebook che “il governo non è debole e che tutte le imposizioni non sono fatte giusto per mettere in piedi uno show”.
Lo stesso governo riceve l’approvazione di Jeffrey, solitamente scettico nei confronti delle autorità taiwanesi. “Questa volta il governo ha dimostrato di essere in grado di agire in maniera rapida ed efficace, e ha dato prova di tenere ai propri cittadini. E’ strano guardare il resto del mondo chiudersi nel vero senso della parola e vedere l’economia mondiale collassare mentre qui la vita procede grosso modo in maniera normale come se Taiwan possedesse il segreto per sopravvivere ad una pandemia. È come guardare un film, come se il mondo fosse stato colpito da un meteorite o invischiato in una guerra nucleare ma tu sei il pubblico che assiste a questo film”. Un film di cui si spera di osservare presto i titoli di coda.
di Paolo Zambon